di Walter Luzi
Più trenta per cento negli ultimi dieci anni. La cremazione prende piede anche alle nostre latitudini. Pratica ormai abituale al nord, con Bologna e Milano all’avanguardia, si azzera progressivamente scendendo verso il profondo sud.
A lungo osteggiata dalla chiesa cattolica, che solo di recente ha aggiornato i messali inserendo una formula ad hoc per le esequie dedicate, la cremazione delle salme è diventata ormai molto diffusa. Il servizio presso il cimitero di Ascoli è stato inaugurato nel 2005, quando all’Arengo siede per il suo secondo mandato Piero Celani, ma il progetto era nato con la giunta di Roberto Allevi, alla guida della prima e unica giunta di sinistra nella storia della città.
La cooperativa che, con otto addetti fra soci e dipendenti, gestisce tutti i servizi cimiteriali si chiama Il capitano, ed è una delle più longeve del centro Italia. Nasce infatti nel 1986. Si occupa di riforestazione e gestisce l’omonimo locale a Piagge, poi divenuta Il Maialetto prima della definitiva chiusura. Dino Ragazzoni, oggi presidente, ne è stato fra i co-fondatori insieme a Giuliano Giuliani, primo storico presidente, Adelmo Faini, il padre di Dario, in arte Dardust, e ad una folta schiera di ragazzi della frazione Piagge. Tutti giovani, forti e disoccupati. La collaborazione con il Comune di Ascoli dura fin dai primi anni Novanta.
«Nato per servire solo l’ascolano – illustra Ragazzoni – l’impianto di cremazione non avrebbe mai coperto i costi ingenti, di realizzazione ed esercizio, restando entro questi confini. Oggi abbiamo un bacino di utenza di almeno quattro province con gli impianti più vicini a San Benedetto, il primo a sorgere nel Piceno, Fano, Perugia e Bari. Una soluzione che attenua il problema della scarsissima disponibilità sia di loculi che di spazio disponibile per edificare nuovi lotti nel nostro cimitero».
Un impianto che ha originato, in passato, anche le vibrate proteste degli abitanti del vicinato. «Sì, siamo rimasti chiusi quasi due anni – continua Ragazzoni – per i lavori di manutenzione e potenziamento del sistema di filtraggio dei fumi. Oggi i valori delle emissioni nell’atmosfera sono di molto inferiori ai minimi consentiti dalla legge. Grazie alla camera di post-combustione e ai filtri, che vengono periodicamente sostituiti, emettiamo, in otto ore, insieme al vapore, gli stessi inquinanti che libera lo scarico di un autotreno in pochi minuti».
Questo grazie anche al tetto massimo di cremazioni imposto dalla convenzione comunale, pari a quattro salme giornaliere per duecentoventi giorni lavorativi all’anno. Un limite imposto nel rispetto dell’ambiente che potrebbe generare un allungamento dei tempi di attesa? «Non direi – prosegue – perché pur lavorando al limite strutturale dell’impianto, riusciamo a stare entro gli otto giorni al massimo di attesa, che sono ragionevolissimi rispetto alla media nazionale».
Una attesa, che soprattutto in estate, può generare cattivi odori all’interno della struttura. «Effettivamente disponiamo di sole quattro celle frigorifere – ammette il presidente della cooperativa – per il resto le bare vengono momentaneamente “parcheggiate” in appositi loculi, ma la mancanza della protezione sigillata in zinco interna durante la stagione calda può originare, a volte, questo problema».
Un progetto di ampliamento e ristrutturazione della struttura per ovviare anche a questa carenza giace da tempo in Comune. L’Amministrazione comunale percepisce un aggio di circa 150 euro per ogni cremazione che, all’utente ne costa, ad oggi, quasi 500. Salvo probabili futuri ritocchi alle tariffe dovuti al caro energia. E per portare un forno a quasi mille gradi di temperatura ce ne vuole tanta. In qualche ora le ceneri del caro estinto sono disponibili per la dispersione, ultimo tabù per la Chiesa questo ancora a resistere. Se si deve provvedere alla tumulazione delle stesse invece, ai servizi cimiteriali occorre ancora qualche giorno di tempo.
La grande sala all’ingresso della struttura è adibita all’ultimo, commosso momento di raccoglimento intorno al feretro. Non è un luogo consacrato, quindi utilizzato da fedeli di ogni etnìa e Credo religioso. La morte accomuna, indistintamente, tutti gli uomini nell’ultimo saluto prima della cremazione nel locale attiguo. Una porta con due oblò separa le due stanze. Attraverso il vetro di questi i congiunti possono assistere, se lo desiderano, all’introduzione della bara nella bocca forno. Le tendine delle due finestrelle vengono aperte, su richiesta, a questo scopo. Quella porta sarebbe il limite invalicabile per i non addetti. L’ingresso agli estranei precluso per ragioni di sicurezza. Le conseguenze del mancato rispetto di questa norma ci sono state segnalate, con sdegno, da parte di alcuni congiunti.
Riferiscono della presenza di altre bare intorno, un’aria irrespirabile e la temperatura elevata nel locale che hanno rovinato l’ultimo addio al loro caro. «E’ capitato purtroppo – conclude Dino Ragazzoni – che per una errata comunicazione dell’orario ai congiunti da parte dell’agenzia di pompe funebri, oppure per un’arrivo all’ultimo momento, magari da molto lontano, di qualche parente stretto abbiamo, eccezionalmente, concesso deroghe a questa disposizione. Lo abbiamo fatto solo per venire incontro al desiderio di congiunti più stretti dello scomparso in un momento così straziante. Abbiamo aperto qualche volta quella porta per non negare l’ultimo saluto a chi non è potuto arrivare in tempo utile. Abbiamo tempi stretti e obbligati per l’utilizzo ottimale di esercizio del forno, e per evitare accavallamenti di appuntamenti al fine di salvaguardare la riservatezza di tutti in certi dolorosi momenti, ma la pietà umana, di fronte a qualche minuto di ritardo, ha prevalso. Riconosco che le condizioni ambientali in quel locale possano risultare, per forza di cose, e per più fattori, scioccanti per alcuni, ma la concessione, ripeto, del tutto eccezionale, è stata fatta solo per venire incontro alle loro accorate richieste».
(prima puntata)
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