di Gabriele Vecchioni
Con questo articolo si chiude la trilogia dedicata alle porte ascolane. Dopo le prime quattro (in fondo al testo i link degli articoli), il tour prosegue con le porte che permettevano l’ingresso in Ascoli risalendo dalle sponde del Castellano e con quella situata nel punto più elevato della città.
PORTA TORRICELLA è una delle porte meridionali della città. Secondo l’attenta ricostruzione del Cesari, che analizza sia opere inedite conservate nell’Archivio di Stato sia il lavoro della Conta in Asculum e la pianta del Ferretti (sec. XVII), Porta Torricella (conosciuta dagli Ascolani anche come Porta Vescovo, per la vicinanza con la sede vescovile) era servita da un ponte medievale (prima romano) in uso ancora nel sec. XV. L’autore ricostruisce il percorso che, uscendo dalla città per quella porta, passava per la contrada Pennile e, toccando la serie di borghi alle falde orientali della Montagna d’Ascoli, si dirigeva verso Civitella del Tronto. Dopo la rovina del ponte, che l’autore pone in contrada Lame (una voce dialettale che indica la franosità del sito) la porta fu “sostituita” da quella denominata “di San Germano” che vedremo più avanti. All’altezza della grossa costruzione (la ex-Filanda, un edificio risalente ai secc. XVI-XVII), “sul muraglione di sostegno dell’attuale Lungo Castellano Sisto V, è visibile la cornice di una porta antica con orientamento SSO, quindi verso i resti supposti del ponte medievale e verso quelli del ponte romano. Questa cornice, per antica vox populi, rappresenterebbe il residuo dell’antica Porta Torricella”.
Il Cesari, a questo punto, disquisisce sulla posizione della porta e sul collegamento della città picena con Interamnia (Teramo), con un itinerario separato dalla Salaria che usciva dalla città passando proprio per questo varco. L’interessante assunto esula dagli scopi dell’articolo e quindi rimandiamo chi fosse interessato all’argomento al predetto lavoro.
IL NOME – Sul nome della porta non c’è chiarezza. Probabilmente deriva da una piccola torre (una “torricella”, appunto) a difesa della stessa oppure da un cognome «come quello del vescovo del 1373 Pietro III Torricella, originario di Narbona in Francia».
La porta – e la via ad essa collegata (in epoca medievale) – è conosciuta anche come Tornasacco. Ecco la spiegazione che ne dà il Rodilossi: “La denominazione risale al sec. XIII riallacciandosi al saccheggio della città, il terzo e più feroce compiuto da Federico II nel 1242, il quale dopo aver posto invano l’assedio ad Ascoli con poderoso esercito, finse di rinunciare all’impresa di espugnarla. Mentre i difensori avevano allentata la sorveglianza, le orde di Federico irruppero di notte, da Porta Torricella, e penetrarono nel cuore della città sottoponendola al più orrendo massacro registrato nella storia ascolana. Da quello stesso anno, la via fu chiamata dal popolo Tornasacco, cioè “torna il sacco” o saccheggio”. Dopo l’episodio, avvenuto in realtà in assenza di Federico, furono mozzate le torri (circa novanta!) appartenenti ai capi del partito guelfo, avverso all’imperatore.
PORTA CARTARA – In origine era conosciuta come “Porta di San Nicolò in Ponticello” e poi “di Santo Spirito” dal nome della chiesa e del convento adiacenti. Prese poi il nome attuale dalla Cartiera papale costruita nel 1512 su un’ansa del Castellano, esteso anche al ponte e al borgo stesso. La porta era individuata anche come Porta Molinara perché nelle vicinanze c’era un antico mulino (il Castellano ha sempre avuto una buona portata d’acqua e lungo il suo corso c’erano diversi mulini) appartenuto alle potenti monache benedettine (le “reverende contesse”) di Sant’Angelo Magno e attestato fin dall’anno 1104.
Alla Cartiera Papale che dava il nome (tuttora in uso) alla porta cittadina è stato dedicato un articolo qualche tempo fa (leggilo qui).
Alla Porta era associata la chiesa della Madonna del Ponte (secc. XVII-XVIII), a pianta ottagonale (all’esterno ha forma cilindrica) decorata dall’ascolano Biagio Miniera con tempere andate perdute. La lanterna della cupola è parzialmente crollata col terremoto del 2016 ed è in attesa di sistemazione.
IL PONTE – Il ponte Cartaro era quello che collegava Ascoli con le aree montane della Valle Castellana. Sul ponte, l’architetto Gabrielli aveva costruito (sec. XIX) l’acquedotto su alti archi a tutto sesto, ispirandosi a quelli della romanità. Il manufatto fu minato, come altri, dai tedeschi in ritirata. Il ponte non crollò del tutto e il Cesari riporta le ironiche parole di Federico Bellini che scrisse che “La distruzione del ponte di Porta Cartara, nonché dello spettacolare acquedotto (1850) del geniale Gabriele Gabrielli, l’ultimo grande maestro pontiere piceno, è stata compiuta dal Genio Civile, col sostegno del Comune e il nullaosta della Soprintendenza, portando così a perfezione quell’opera vandalica che ai nazisti, nella fretta, era riuscito solo di iniziare”.
PORTA CORBARA, così denominata dalla probabile frequentazione di corvi nelle vicinanze (era situata in una zona “agricola”), era aperta nelle mura medievali ed era una delle sette porte principali della città: ad essa era assegnato un clavigero col compito di chiuderla di sera e riaprirla al mattino. È rinvenibile la cornice murata dell’ingresso, sormontata dalle strutture difensive in aggètto. Porta Corbara perse gradualmente importanza; in epoca moderna: il traffico utilizza(va) la strada più a monte, per la costruzione della quale fu aperta una breccia nelle mura medievali.
LE PORTE “DI RISERVA” – Come ricorda il Cesari, “sono le porte per le quali non erano previsti i “clavigeri” stipendiati dalla municipalità, che provvedevano alla loro apertura mattutina e alla chiusura serale. Esse sono quella di San Germano sul Castellano, quella Summa sul Colle Pelasgico e le due contigue sul Tronto di Santa Margherita e di San Pietro in Castello, quasi sicuramente utilizzate solo in successione, cioè la seconda in sostituzione della prima ormai diruta”.
PORTA DI SAN GERMANO (o delle chiaviche). Il primo nome deriva da Germano, uno dei compagni (insieme con Euplo e Valentino) di Sant’Emidio, martire come lui nel sec. IV; il secondo da quello della contrada dove era situata (nei pressi della chiesa di San Vittore). Fu in uso dopo la distruzione del ponte medievale di Porta Torricella (sec. XVI); non molto conosciuta dagli ascolani (più giovani) si può localizzare (virtualmente, perché è stata demolita definitivamente nel 1978) poco sotto il parcheggio ex-Seminario. Dopo la descrizione, Giuseppe Cesari riporta un brano del Fabiani relativo a un episodio storico: la fuga dalla città, nel 1799, del brigante Sciabolone, utilizzando una “chiavica” – una fogna – che da San Gregorio lo portò fino alle sponde del Castellano, sotto la porta suddetta.
PORTA SUMMA – Questo ingresso, situato sul lato settentrionale della Fortezza Pia, permetteva a chi proveniva dall’area alto-collinare di Rosara di raggiungere il rione della Piazzarola; “Probabilmente, dopo il potenziamento militare della Fortezza, il traffico proveniente dalla frazione di Rosara, di Coperso e dalle altre minori della zona, deve essere stato deviato alla nuova sottostante Porta Corbara”.
La Porta era (ed è) in diretto contatto con la Fortezza Pia (dal nome del pontefice Pio IV Medici, che la fece ricostruire nella seconda metà del sec. XVI), un fortilizio imponente con una storia travagliata di costruzioni, distruzioni e ricostruzioni, alla quale è stato dedicato ampio spazio in diversi articoli, ai quali si rimanda.
PORTA SANTA MARGHERITA – La porta era situata sulla direttrice viaria cittadina (il Cardo maximus) che univa il Cassero superiore (la Fortezza Pia) con quello inferiore (San Pietro in Castello), nell’area dove ora si trova il monastero delle Benedettine di Sant’Onofrio. Il nome deriva dalla chiesa di Santa Margherita da Cortona, annessa a un monastero francescano. Della porta non esiste “descrizione storica”; probabilmente l’uso della porta e del relativo guado sul Tronto furono dismessi a favore della più recente porta di San Pietro in Castello. A tale proposito, lo storico settecentesco Ciannavei scrisse che “alla fine del ‘600”, a causa dell’erosione prodotta dal fiume, erano franati l’orto del convento e la strada sotto le mura dello stesso.
PORTA DI SAN PIETRO IN CASTELLO – La chiesa omonima sorge su un’ansa del Tronto, dov’era il Cassero inferiore della città che aveva sostituito una torre del sec. XI; lì c’era una porta di piccole dimensioni, attraversata da una mulattiera che arrivava fino alle sponde del fiume. Cesari scrive che “Essa ha rappresentato nei secoli l’ingresso notturno [era un ingresso non sorvegliato, nda] più frequente per il rientro in città dei cosiddetti “banditi”, cioè gli esuli politici, ovvero addirittura dei banditi veri”. Anche di questa “porta urbana di San Pietro in Castello (Ciannavei, 1797)” non è facile trovare traccia, avendo la zona subìto una pesante urbanizzazione; in realtà, tra le foto a corredo dello scritto ce n’è una della porta in questione.
Le porte di Ascoli: Porta Solestà, Porta Tufilla, Porta Maggiore
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