di Gabriele Vecchioni
Qualche giorno fa, con la cerimonia della consegna simbolica delle chiavi della città da parte del sindaco Marco Fioravanti alla Regina Carnevale è iniziato, “in maniera ufficiale” il periodo delle tradizionali feste carnascialesche ascolane. È stata come una liberazione (sociale) per la città, dopo il periodo di stasi per il lockdown dovuto alla pandemia. Nell’occasione, è stata consegnata anche la Mascherina d’oro 2020” a Carmelita Galiè, vera anima del carnevale cittadino.
La voce Carnevale deriva dal latino (da carnem levare, eliminare la carne o, meglio, sollevare [dall’ “impegno” di mangiare] la carne) e ricorda che l’ultimo giorno di carnevale, il cosiddetto “martedì grasso” si mangia la carne per l’ultima volta perché dal giorno successivo (il “Mercoledì delle Ceneri”) inizia l’astinenza e il digiuno della Quaresima, fino alla liberazione, con le festività pasquali. Un proverbio dialettale del vicino Abruzzo recita: “Carnevale valente oggi la ciccia domani la lente [lenticchia]”.
Esiste una letteratura sterminata sul Carnevale, sulle sue origini e le sue implicazioni sociali, oltretutto facilmente reperibile in Rete; pertanto, senza dilungarci, vediamo brevemente come questa tradizionale discontinuità dalla vita di tutti i giorni è arrivata fino a noi.
Il Carnevale, festa rituale di passaggio (“… il Carnevale ha a che fare con l’andamento ciclico della natura (D. Boriati, 2017)”), trasformazione e sconvolgimento delle parti, ha origini pagane e deriva dai Saturnalia (i Saturnali) che, fin dal 263 AC, celebravano la data di costruzione del tempo dedicato a Saturno, rievocando la cosiddetta “età dell’oro”, quando tutti gli uomini erano uguali, senza alcuna distinzione sociale. Durante i festeggiamenti, poveri e ricchi si scambiavano i ruoli, con i padroni che servivano (scherzosamente) gli schiavi. Anche l’usanza di indossare maschere e di travestirsi (per non farsi riconoscere) è di epoca romana e deriva dai Bacchanalia (i Baccanali), le feste orgiastiche che venivano organizzate in onore di Bacco, dio del vino. La parola “maschera” [ad Ascoli, per Carnevale, le persone “si mascherano”] è relativamente recente (latino tardo, sec. XIV) e deriva dal termine longobardo masca, che significa “strega”.
Le feste di Carnevale terminano con la Quaresima, un periodo che, quest’anno, inizia il 22 febbraio (mercoledì delle Ceneri) e termina il 6 aprile (Giovedì santo). La Quaresima è il periodo liturgico che, nella chiesa cattolica, indica i quaranta giorni – giorni di penitenza e di preghiera – che precedono la celebrazione della Pasqua [il lemma deriva dal latino ecclesiastico quadragesimam diem, quarantesimo giorno]. È una festività cattolica chiaramente simbolica, che ricorda i quaranta giorni che Gesù, dopo essere stato battezzato da Giovanni Battista, passò nel deserto e subì le tentazioni di Satana. Il mercoledì i devoti partecipano alla Messa e vendono segnati sulla fronte con la cenere, che simboleggia la condizione umile dell’uomo e la sua debolezza.
Ma torniamo al Carnevale ascolano. La manifestazione è concentrata nel centro storico e in Piazza del Popolo, uno scenario “logico”, per essere lo storico luogo d’incontro cittadino. La piazza, addobbata per l’occasione, diventa teatro e, su questo palcoscenico ideale si esibiscono singoli e gruppi mascherati: proprio nella teatralità e nella capacità di coinvolgere gli spettatori sta l’unicità del Carnevale ascolano.
Come ogni “città del Carnevale” che si rispetti, Ascoli Piceno ha due maschere caratteristiche, iscritte nel Registro storico delle maschere storiche, a conferma della lunga tradizione della manifestazione cittadina. La prima è Lu sfrigne [una voce dialettale traducibile con lo strano], un personaggio vestito di stracci colorati che porta un ombrello aperto al quale sono appese aringhe che offre; il secondo personaggio, dalla “divisa” altrettanto “colorata”, è Buonumor Favorito, un signore munito di trombetta per “svegliare“ i passanti. Entrambe le tipizzazioni erano presenti alla manifestazione della quale abbiamo detto in apertura dell’articolo (leggi qui l’articolo).
I carnevali storici – Il Piceno vanta, oltre a quello di Ascoli, altre manifestazioni carnascialesche che possiamo definire “storiche” perché affondano radici feconde nel passato.
GLI ZANNI DI POZZA E UMITO
A questa manifestazione, che si svolge nell’Acquasantano, Cronache Picene ha dedicato un articolo (leggilo qui). È un carnevale di montagna assai interessante, per la ritualità che si ritrova anche in altre manifestazioni simili, in altre località della Penisola. Rileggiamo le interessanti riflessioni di Franco Laganà che più volte scritto ha della manifestazione.
“Gli Zanni si caratterizzano per l’alto copricapo pieno di strisce colorate e si sa che è a maschera più antica della Commedia dell’Arte, di origine lombarda (Zuan, Giovanni, dalla quale si sono sviluppate la altre – Brighella, Arlecchino, Pulcinella – e che potrebbe essere giunto dalle nostre parti nel Medioevo, attraverso i lapicidi comacini”.
Gli Zanni [Li Zanne in dialetto], ricorda ancora Laganà, sono piuttosto diffusi nell’Italia centro-meridionale, in Lazio, in Abruzzo, in Basilicata. L’importanza socio-antropologica del rito è testimoniata dall’inserimento dello stesso nel catalogo dei Beni Culturali del Mibac.
I MOCCOLI DI CASTIGNANO
Il Carnevale di Castignano, borgo alle falde del Monte dell’Ascensione che si caratterizza per il bel centro storico, parzialmente danneggiato dal sisma del 2016-17, vanta una tradizione secolare, quella della sfilata dei moccoli (leggi qui l’articolo). La tradizione risale al Seicento ed è attestata nella Roma dei Papi; la processione dei moccoli chiudeva il Carnevale, come ricorda una poesia del Belli (1847): “Er Carnevale è morto e seppellito, Li moccoli hanno chiuso la funzione…”.
In Italia, la tradizione (ri)vive solo a Castignano, dove i moccoli in dialetto] vengono costruiti artigianalmente con canne e carta velina multicolore e portati in processione dalla popolazione la sera del Martedì grasso: la sfilata, con i moccoli illuminati dal lumino acceso all’interno, si snoda, suggestiva, per le vie del paese, lasciato al buio per l’occasione. Non è un corteo silenziose, ma accompagnato dal rullo di tamburi e dal clangore metallico dei piatti. Al termine della sfilata, viene improvvisata una “battaglia dei moccoli” con un falò finale, una sorta di fuoco purificatore.
Il fuoco e il rumore (elementi presenti anche negli altri due carnevali storici) accompagnano spesso i riti di passaggio come il Carnevale; è come se si volesse celebrare la fine dell’inverno e accelerare il ritorno della primavera.
IL CARNEVALE DI OFFIDA
Qui si svolgono ben due manifestazioni legate al Carnevale, dopo che il sindaco ha affidato le chiavi della città alle Congreghe, entrambe con una grande partecipazione di folla. La prima è denominata Lu bove finte, cioè “Il bue finto” (leggi qui l’articolo). Vediamo di cosa si tratta.
Il Venerdì grasso, di pomeriggio, un grezzo simulacro di bovino viene portato, a spalla, in giro per le vie adiacenti la piazza principale del paese, dove lo attende una folla di spettatori vestiti con la veste dei contadini del Piceno, lu guazzarò, (un rozzo saio bianco con il fazzoletto rosso al collo). Comincia una sorta di corrida, molto partecipata, grazie anche all’alto tasso alcolico di molti partecipanti. A sera, il bue tocca con le corna il palazzo municipale, viene “ucciso” e portato in processione per le vie del paese.
Sembra che la tradizione, le cui origini si perdono tra le nebbie del tempo, derivi dal ricordo della donazione al popolo, l’ultimo giorno prima della Quaresima, di tagli di carne bovina. Per altri, è la rievocazione delle corride spagnole (c’è chi si traveste da torero…).
Il Martedì, ultimo giorno di Carnevale, per le vie del borgo sfilano centinaia di figuranti, vestiti con il tipico guazzarò, che trasportano fasci di canne accese (Li v’lurde, un termine che viene da “bagordi”), anche qui dopo il tramonto del sole e con le luci spente. La processione è silenziosa (quasi…) e molto suggestiva: il serpente di fuoco avanza tra le case in un turbinìo di scintille e, al termine, tutto finisce in un gigantesco falò, in Piazza del Popolo con qualcuno che salta tra le fiamme quasi spente (più che una sfida, un gesto apotropaico).
Ascoli e il suo territorio, dopo un lungo stop (di tre anni), tornano a vivere l’atmosfera del Carnevale; quella di quest’anno è un’edizione attesa perché è quella della ripartenza, del ritorno alla normalità. In un mondo globalizzato e ormai social(izzato) il mantenimento delle tradizioni (e il rito collettivo del Carnevale è una di queste) costituisce un bene immateriale da preservare con cura.
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