di Walter Luzi
Dentro il Supercinema ha fatto di tutto: venditore di caramelle, addetto alle pulizie, maschera, cassiere, controllore, e operatore di proiezione. Più, e più a lungo, di Totò, il giovane protagonista del film Nuovo Cinema Paradiso. Lui è Fernando Luzi. Meglio conosciuto con il nomignolo di Furchia. Che è da intendersi come una gran buona forchetta a tavola. Dentro quel cinema ha conosciuto la ragazza che sarebbe diventata sua moglie, e condiviso a lungo con il proprietario Nazzareno Saladini e il collega Pietro Stipa una grande amicizia, e l’appassionante lavoro di ogni giorno. Lì dentro ha visto proiettare sullo schermo decenni di storia del cinema, e mutare radicalmente i costumi della società. Testimone di un’epoca tramontata per sempre, nel 2021 con le sue testimonianze, ha dato buon contributo anche alla stesura della tesi di laurea di Nicolò Piccioni. Titolo: storie e memorie cinematografiche della città di Ascoli nel secondo dopoguerra. Materia sua. A novantaquattro anni Fernando ha ancora lo spirito di un ragazzino, e, insieme alla moglie Teresa, ci ha raccontato, con un pizzico di inevitabile emozione, la storia della sua lunga vita trascorsa, interamente, dentro il Supercinema di Ascoli. Chiamato Super, con i suoi quasi millecinquecento posti a sedere, non a caso.
NATO QUASI DENTRO IL FILARMONICI
Fernando Luzi, dopo quarantacinque anni di ininterrotto e onorato servizio, è in pensione da un bel pezzo ormai, ma, almeno quelli con i capelli più ingrigiti, se lo ricordano bene ancora tutti, sorridente, all’ingresso del Supercinema di Ascoli. Una vita la sua, legata a doppio filo con quella enorme sala cinematografica, ma anche tempio dell’avanspettacolo, teatro di concerti musicali e feste di Carnevale. Una vita, quella di Fernando, che nasce a Piazza San Tommaso, nel cuore di Ascoli, in Via di Corfinio, proprio dietro al cine-teatro Filarmonici, nel 1928. Anzi, a dirla tutta, quella abitazione un po’ malmessa di poche stanze, dove vivono in sette, comunica addirittura, attraverso una porticina, con il cinema adiacente. In pratica c’è quasi nato dentro.
E’ il penultimo di cinque figli. Quella casa fatiscente l’ha affittata ai suoi genitori la nobile famiglia Marini presso la quale la mamma Maria, detta Marietta, sarta per vocazione, fa la sguattera per necessità. Oddio, qualcosa riesce anche a confezionare, su misura, per i suoi agiati datori di lavoro. Che la ricompensano con gli avanzi dei loro lauti pasti. La miseria è nera. Il papà Giuseppe ha dovuto infatti lasciare presto il suo lavoro di muratore per problemi di salute che, in verità, non mancano neanche a sua moglie. A tirarlo fuori dalle osterie era arrivato il lavoro, offertogli da Giovanni Sabatucci, il gestore delle due sale, come addetto alle pulizie quotidiane del Filarmonici e del Supercinema, che da poco, nel 1935, ha aperto i battenti.
IL VENDITORE DI CARAMELLE
Il proprietario del Supercinema è il conte Nazzareno Saladini. Lo ha ereditato dalla famiglia della mamma, la nobildonna Merli, che, pare, discendesse addirittura dai serenissimi doge di Venezia. E così il piccolo Fernando comincia presto a dare una mano ai genitori nelle pulizie della sala, e, poco più che adolescente, con regolari contratti annuali. Comincia vendendo caramelle agli spettatori, dalla scatola dei dolciumi legata al collo con una cordicella. Sono i tempi della visione di due pellicole a otto soldi. Una quarantina di centesimi di lira. Sullo schermo scorrono, in bianco e nero, le immagini di un giovanissimo Marlon Brando fra gli ammutinati del Bounty e di Marlene Dietrich conturbante Angelo azzurro. Dei Tempi moderni di Charlie Chaplin si ride a crepapelle senza sapere che un giorno, purtroppo, fra le ruote dentate di quei perversi ingranaggi della modernità saremmo finiti, tutti quanti, per davvero.
Sono i tempi di Ombre rosse, di Via col vento e dei primi classici, destinati a diventare successi immortali, della Walt Disney. Intanto gli studi di Fernando si interrompono dopo il triennio alle scuole Industriali di viale Dino Angelini. La sua giornata è dedicata tutta al Supercinema. E alla sala biliardi di Bizz’ca, che sta poco distante. Da Bizz’ca, popolare ed affollato ritrovo di perdigiorno e studenti che hanno “salato” le lezioni a scuola, Fernando passa, in effetti, molto del suo tempo libero con la stecca, o le boccette, in mano. La mamma, chioccia come quasi tutte, qualche volta arriva persino a portargli lì dentro anche la merenda. Passano veloci gli anni da scapolo impenitente per Fernando. Dall’America sbarcano sugli schermi le Vacanze romane di Gregory Peck e i thriller di Alfred Hitchcock . Anche su quello del Supercinema nascono in quegli anni i miti di Peppone e Don Camillo e l’indimenticabile serie di Pane, amore e… Anche nella vita di Fernando sta per affacciarsi l’amore.
L’INCONTRO CON TERESA
Al Supercinema, nei primi anni Sessanta, dal suo ufficio di via Trento capita spesso una giovanissima impiegata della locale Siae a controllare i borderò delle pellicole in programmazione. Fernando glieli consegna. Lei scorre l’elenco, spunta i nomi. Lui, sottecchi, per tutto il tempo la squadra dalla testa ai piedi. E’ davvero una gran bella ragazza. Lei, ovviamente, lo ha notato, e non disdegna l’attenzione. Si chiama Teresa Antonini, classe 1943. E’ nativa di Montegallo da una famiglia benestante per i tempi, originaria di Abetito che abita ad Uscerno. Il padre, Antonio, un gigante scolpito nella roccia di quei monti, profondo conoscitore di alberi e boschi, commercia con legna e carbone. Il futuro suocero di Fernando con la moglie Luigia, detta Gina, sono perplessi di fronte a questo aspirante alla mano della figlia che lavora dentro un cinema e che, sarà anche per colpa della precoce calvizie, oltre che per l’effettivo gap anagrafico, appare loro spasimante troppo attempato per la figliola.
Ma Teresa è innamorata. Le sue certezze sembrano vacillare solo per un giorno. Quando apprende, casualmente, delle assidue frequentazioni che il suo fidanzato ha con i biliardi di Bizz’ca. Fuori di sé dalla rabbia e dalla delusione, si sfila la fedina dal dito, gliela tira e scappa via. Lui, pur colto in ludica flagranza, la insegue disperato fino alla fermata dell’autobus. Lei, già a seduta a bordo, lo ignora platealmente. Lui la supplica. E’ disposto a tutto pur di non perderla. E alla fine, l’amore, come sempre accadeva nelle belle favole di una volta, trionfa. Si sposano nel settembre del 1965 al Santuario dell’Ambro. Romantica luna di miele a Venezia. L’anno dopo nasce Maria Antonietta, la loro unica figlia.
TEMPIO DELL’AVANSPETTACOLO
Il Supercinema è stato per molti decenni un vero tempio dell’avanspettacolo. Cinema&varietà come si chiamava allora. «C’era un comico di cabaret – ricorda Fernando – che attaccava sempre così le sue gag: cambiano i governi, cambiano le stagioni, ma le facce in prima fila sono sempre le stesse!… Era vero. C’erano gli abbonati fissi ai posti più vicini alla passerella in quelle sere. Erano i grandi estimatori della bellezza femminile, come Morganti lu s’ch’pì, fra gli immancabili».
Erano tantissimi infatti a sbavare, puntuali, in quelle imperdibili serate, a pochi centimetri dalle caviglie affusolate, e dalle gambe chilometriche, delle ballerine. La legge Merlin del 1958 ha gettato infatti nello sconforto ampie schiere di maschi italici, e per poter godere ancora della vista di bellissime signorine molto sorridenti e molto poco vestite, si può approfittare solo in queste occasioni. E al Supercinema la passerella che si insinua fra le poltroncine rosse della platea è lunga ben diciassette metri. Oltre che da formose ballerine quella passerella è stata calcata anche da grandi nomi del teatro italiano come, fra i tantissimi altri, il trio De Vico, Macario, i fratelli Giuffrè, Franca Rame, Nino Manfredi, Renato Rascel, Carlo Dapporto, Antonella Steni, i fratelli De Filippo, Mariangela Melato, Lando Buzzanca, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Anche l’elenco dei grandi cantanti che si sono esibiti al Supercinema sarebbe lungo. Da Claudio Villa a Gianni Morandi, da Claudio Baglioni ai Pooh. Quando questi ultimi arrivano per la prima volta al Supercinema gratificano la figlia, ancora piccina, di Fernando, Maria Antonietta, con la loro dedica in palcoscenico, prima di attaccare con le note del successone del momento, “Piccola Katy”. Al concerto di Claudio Villa invece Teresa porta anche la madre fra gli spettatori delle prime file. Per la grande occasione fa da prologo lo show delle ballerine. I minuscoli tanga, e i piccoli ornamenti a coprire solo i capezzoli dei seni, indossati delle artiste, scandalizzano l’anziana signora Gina che commenta sgomenta: “Povera nùù!… Dov’ iarem’ a f’nìì!…”
QUELLA PARTITA A BILIARDO CON DUSTIN HOFFMAN
Quando Teresa perde il lavoro alla Siae, nel 1971 frequenta subito un corso per infermiera generica. Il suo diploma da ragioniera le è di grande aiuto per conquistarsi subito la fiducia e la stima del primario di Medicina Generale, e docente universitario, il dottor Marconi, che presiede anche la commissione di esame. Alla prova scritta Teresa si supera con un tema sulla piccola e la grande circolazione grazie alle sue reminiscenze scolastiche di Scienze. Resterà, molto apprezzata, operatrice nel nosocomio ascolano fino alla pensione, nel 1999.
Nel 1972 Fernando gioca invece la partita di biliardo della vita. Incrocia la stecca infatti con un avversario d’eccezione. Dustin Hoffman. Durante le pause delle riprese del film Alfredo Alfredo, girato completamente in città, l’attore americano passa infatti volentieri qualche ora di svago in città. Entra nella piccola sala biliardo nella rua a fianco del bar Petrillo, in Piazza del Popolo. Vuole misurarsi con il miglior giocatore della città. Fernando si bullerà con parenti e amici per tutta la vita di quella partita con il divo hollywoodiano. Il Supercinema intanto attraversa la storia del grande schermo. Dopo il passaggio, rivoluzionario, dal bianco e nero al colore, ora anche la grande novità del cinemascope sta per essere superata dal progredire delle tecniche di ripresa.
Gli anni Sessanta sono d’oro per il cinema italiano. Titoli come La dolce vita, Il gattopardo, La ciociara, Tutti a casa, entreranno nella storia. Sergio Leone fa scuola con i suoi leggendari western, arricchiti dalle musiche immortali di Ennio Morricone, che sono un valore aggiunto rispetto alle tante classiche pellicole americane piene di indiani cattivi che arrivano da oltre oceano, insieme alle meraviglie di Mary Poppins e alle avventure del fascinoso Lawrence d’Arabia. Le sale cinematografiche sono sempre piene.
«Olimpia, Piceno, Roma, Filarmonici e Supercinema – ricordano Fernando e Teresa – facevano registrare, puntualmente, tutti, il pienone. La concorrenza era spietata. Il CineRoma negli anni Sessanta con cento lire ti faceva vedere due film. Solitamente una comica di Stanlio & Ollio e un western. Quelli di Totò furoreggiavano, ma i signorotti ascolani snobbavano il principe De Curtis. La sala del CineRoma poi, ospitata nel complesso dell’ex Gioventù italiana del littorio, era riservata alle classi meno abbienti. Operai e contadini. I nobili, le autorità, gli ascolani più facoltosi erano invece immancabili alle proiezioni dei colossal impegnati, come Ben Hur, o I dieci comandamenti, oppure alle opere liriche del Ventidio Basso. Soprattutto il giorno dopo Natale in tutti i cinema c’era sempre il tutto esaurito, e i ritardatari spesso dovevano accontentarsi del posto in piedi». In sala si fuma liberamente, e, nelle ultime file, le coppiette si regalano nel buio momenti di eccitata intimità. Le loro effusioni amorose li distraggono da tutta la trama del film. Ma vuoi mettere.
PIETRO STIPA E GLI AMICI DEL BILIARDINO
La signorina Carolina, Alfiero Brunori, Armando “Raffaele” Borrelli, Gualtiero “’u c’llitt’” sono alcuni degli “storici” fra i tanti dipendenti del Supercinema che si succederanno negli anni. Ma il collega di Fernando che più di tutti lascerà la sua impronta, umana e professionale, si chiama Pietro Stipa. Preparatissimo nel suo lavoro in cabina di proiezione, è tecnico esperto anche in luci, audio, e ogni altra materia tecnica, nonché uomo di fiducia e primo, fedele consigliere del conte Saladini, che fa riferimento a lui per ogni problema. Metterà successivamente la sua grande esperienza professionale, e la sua debordante umanità, entrambe straordinarie, anche al servizio di altri cinema, e verrà ricordato in un bel libro che la figlia Carla gli dedicherà dopo la sua scomparsa.
E’ anche un grande giocatore di calcio balilla, Pietro. Fa coppia con l’amico fraterno Elvezio, ma ha coinvolto nella sua passione ragazzi più giovani come, fra gli altri, Vincenzo “‘u baffitt’”, i fratelli Ermanno e Giorgio Verzilli, Andrea Tombini, Adriano Fazzini, detto “scrella”, e Mauro Carpani. Questi ultimi due diventeranno campioni italiani di calcio balilla nel 2017. Si ritrovano spesso tutti in una saletta all’interno del cinema, dove hanno piazzato un biliardino per le loro interminabili sfide. Uno dei passatempi giovanili più diffusi negli anni Settanta, quando anche sulla vetrina del Supercinema vengono appese le locandine de “La febbre del sabato sera”. Oltreoceano prendono il via anche le fortunate saghe de Il Padrino, Lo squalo e Rocky. Soldato blu invece spiega bene, finalmente, che, da quelle parti, i veri cattivi non erano stati gli indiani. Inquietano la violenza gratuita di Arancia meccanica, e l’insensatezza di ogni guerra con Il cacciatore. In Italia i capolavori di Fellini, Montaldo, Leone e Scola devono competere con le zingarate di Monicelli e la vitaccia di Fantozzi. Ma i costumi si stanno evolvendo rapidamente. Cadono i tabù, grazie anche alla rivoluzione sessuale. Aumenta il contenuto erotico delle produzioni cinematografiche. Arginato a stento dalla censura che ne vieta la visione ai minori di quattordici anni o, se insopportabilmente troppo osè, di diciotto.
Per Fernando Luzi in questi casi aumenta il lavoro con il rituale controllo della carte d’identità all’ingresso dei clienti più imberbi che tentano di imbucarsi. Fioriscono le pruriginose sexy commedie all’italiana, dove abbondano le fantasie erotiche che vedono cugine, cognate, zie, dottoresse, infermiere, studentesse e professoresse puntualmente, più volte, sotto la doccia. E spogliarsi lascive, sempre davanti all’immancabile e provvidenziale buco della serratura. Il voyerismo impera. Il porno incombe.
LA CHIUSURA
Linda Lovelace con la sua Gola profonda inaugura oltreoceano, nel 1972, la moderna stagione dell’hard-core. Le sale a luci rosse si moltiplicano, e si riempiono a tutte le ore. Anche il Supercinema si adegua alla richiesta del pubblico con qualche programmazione in questa corposa e redditizia nicchia di mercato. Il cinema è ancora l’unico luogo per scoprire questo mondo lussurioso, fino a quando, nel decennio successivo, non arriveranno le casette VHS da potersi guardare comodamente a casa propria e, molto più tardi, la Rete, a sdoganare e diffondere universalmente, definitivamente, e senza scrupoli, la pornografia.
I primi professionisti del settore diventano star planetarie anche fuori dai bollenti set. Nei bar di Ascoli si favoleggerà a lungo delle performances estreme di Cicciolina su quella passerella. Con il tutto esaurito registrato per lo spettacolo live di una pornostar così popolare e disinibita, furono in tanti i presenti quella notte al Supercinema a poter dire, dopo, vantandosene, “Io c’ero”. Gli anni Ottanta saranno caratterizzati da una eccezionale produzione cinematografica. Ricca nel filone fantasy e horror, e mitica per le colonne sonore. Da Dirty Dancing a C’era una volta in America, fino a Flashdance. E’ il decennio che vede i sequel di Rambo, Terminator, Alien, I predatori dell’arca perduta, Arma letale e Rocky. La guerra vera di Platoon e Full Metal Jacket e lo spot dolciastro sulla guerra stessa di Top Gun. E’ il decennio dell’Attimo fuggente, Blade Runner, Ghostbuster, ET e Ritorno al futuro, mentre in Italia nascono i cinepanettoni e i primi successi di Carlo Verdone. E’ anche l’ultimo decennio di vita del Supercinema. Il 30 giugno 1988 l’ultimo film proiettato su quello schermo è “Giardini di pietra” firmato da Francis Ford Coppola.
Dopo cinquantatrè anni il Supercinema chiude per sempre nell’indifferenza generale. La sua lenta agonia era iniziata poco più di sei anni prima, nel febbraio del 1982, con la prematura scomparsa, a soli quarantasette anni, del conte Nazzareno Saladini. Un vero signore, innamorato, come i suoi più stretti collaboratori, del grande schermo. Il fascino del buio della sala, tagliato dal fascio di luce del proiettore, cominciava già ad essere oscurato dal progredire delle tecnologie e dal proliferare selvaggio dei mezzi di comunicazione. Mortificato dall’espandersi, prepotente e volgare, della televisione commerciale. Tette, culi, programmi trash e una montagna di spot pubblicitari idioti riempiono ora il piccolo schermo, e cominciano a tenerci incollato, a rincoglionire, un popolo intero.
Solo qualche mese dopo la chiusura del Supercinema esce nelle sale “Nuovo cinema Paradiso”, il commuovente capolavoro firmato da Giuseppe Tornatore. Storia di un grande amore che due giovani si portano dentro per tutta la vita pur senza essere mai riusciti a viverlo. E atto d’amore, forte, incondizionato, sublime e commuovente per il cinema Paradiso di Giancaldo, nella Sicilia più sperduta, e per tutto il cinema del mondo, dei due protagonisti. Il giovane Totò e il vecchio proiezionista Alfredo. La colonna sonora di Ennio Morricone, come sempre, arriva fino al cuore, e consegna il film alla leggenda del cinema mondiale. Due anni dopo, nel 1990, vincerà Oscar e Golden globe come miglior film straniero. Porterà occhi lucidi nelle sale di tutto il mondo. Lacrime di amore e nostalgia per un tempo migliore, che non potrà tornare più. Nel buio della sala cinematografica nel vedere quel film Fernando e Pietro rivivono la loro vita dentro il Supercinema. Si riconoscono nella passione immensa, e nella nostalgia struggente, dei due protagonisti. Piangono Fernando e Pietro. Come noi. Come tutti quelli che, nella loro vita, hanno amato davvero.
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