di Andrea Braconi
«Siamo in cammino e siamo al lavoro anche per il Fermano». Con questa considerazione, Guido Castelli, commissario straordinario per la ricostruzione, ha aperto, ieri, la puntata di “Zoom”, rubrica settimanale di “Radio Fermo1” condotta dal direttore Giorgio Fedeli.
«Il senso di responsabilità che ho avvertito quando il presidente del Consiglio mi ha indicato come commissario straordinario è stato massimo – ha commentato rispetto ai complimenti bipartisan per la sua nomina – perché quando capita di vedere nell’obitorio di Ascoli le madri con i bambini morti in braccio, capisci che se hai la possibilità o se ti viene assegnato un incarico simile, ciò impone che tutto te stesso venga messo in campo, per onorare questa responsabilità al meglio. Questa cosa è scritta nel mio Dna e sento mia questa ferita, che è stata la ferita dell’Italia. Questo mio impegno è la dimostrazione di come io da Roma continui a presidiare un tema che credo, insieme alle infrastrutture, sia uno dei 3 dossier su cui il presidente Acquaroli si sta impegno di più». Perché da sindaco, dalle 3.36 di quel terribile 24 agosto 2016, ha gestito prima l’emergenza, poi la prima fase della ricostruzione.
«Ho dovuto accordare ai paesi più colpiti le necessarie attività amministrative in termini di cooperazione. Ricordo soltanto che fu il nostro Comune ad emettere i certificati di morte per i paesi devastati dal terremoto».
Nelle vesti di assessore regionale con delega alla ricostruzione, Castelli ha lavorato per 2 anni a stretto contatto con il suo predecessore Giovanni Legnini.
«Abbiamo costruito insieme le premesse per una serie di norme ed ordinanze, superando le molte contraddizioni della normativa. Quando mi sono insediato, ho avuto così la possibilità di non far decelerare il treno della ricostruzione. Oggi da un punto di vista normativo abbiamo un set di regole adeguato ad affrontare quello che resta da fare, cioè l’attuazione. Penso ad uno slogan: ‘Dobbiamo passare dalle norme ai cantieri, dai codici ai collaudi’. È l’auspicio che spero di poter soddisfare».
I costi della ricostruzione, tra pubblica e privata, sono stimati in 27 miliardi.
«Il tema del rincaro dei prezzi ha prodotto stime più ampie rispetto a quelle degli scorsi anni ed ad oggi sono stati liquidati per la ricostruzione privata 2,5 miliardi nelle quattro regioni del cratere, una cifra pari al 12% del totale. Diciamo che i primissimi anni post sisma non sono stati gli anni della velocità e della tempestività».
La cosiddetta ricostruzione leggera, che riguarda edifici lesionati solo debolmente, per quanto concerne l’ambito privato dentro e fuori del cratere è stata soddisfatta per un 47%.
«Qui siamo a metà, mentre siamo molto indietro su quella pesante, cioè quella che riguarda edifici lesionati in maniera molto importante, dove ci attestiamo al 6%». Resta molto indietro la ricostruzione pubblica, così come l’attuazione nei borghi più devastati come Arquata del Tronto, Camerino, Ussita, Visso e Castelsantangelo sul Nera.
Sul caso Castelsantangelo sul Nera si è soffermato il direttore Fedeli, ricordando uno studio che stima in circa 300 anni il periodo necessario per una ricostruzione del borgo.
«I dati vanno letti con molta cautela – ha sottolineato Castelli – e maneggiati con cura. Può essere facile dimostrare che tutto sta andando bene o che tutto sta andando male. Per una parte consistente del 2017 non era neanche pensabile di iniziare la ricostruzione, mentre nel periodo 2018-2019 c’è stata una difficoltà, perché il modello operativo che i Governi del tempo avevano proposto era una gestione del sisma molto simile a quello dell’Emilia del 2012. Oggi possiamo dire che è stato un grande errore, perché un conto è ricostruire nella pianura padana, un conto qui. Noi abbiamo rivisto le regole che non andavano, riordinato le materie, stabilito regole meno complicate. I piani attuativi a Castelsantangelo sul Nera sono stati fatti, c’è un lavoro istruttorio che consente di dire che ora ci sono gli strumenti amministrativamente necessari. La parte attuativa è però la più complessa: nei paesi più devastati prima si deve rimettere in piedi la rete dei sottoservizi (come gas, luce ed acqua), per poi fare un basamento su cui poi saranno fatte le case. C’è poi il rapporto tra proprietà pubblica e privata, ci sono le comproprietà e la necessità di costituire gli aggregati, cioè i condomini. Tutte questioni che possono far venire il mal di testa, ma il mio compito è metterle in fila, senza sosta e con i giusti tempi. È difficile oggi stimare quello che accade, sarebbe poco serio farlo in quanto l’imprevedibile è dietro l’angolo. È un grande sudoku, in cui bisogna trovare il bandolo della matassa».
I soldi, ricorda, non sono un problema. «Abbiamo ciò che è necessario per affrontare tutto e lo Stato sa che non può sottrarsi».
Oltre il sisma, nei territori montani riecheggiano fortissime perplessità rispetto a diversi progetti reputati impattanti e pensati utilizzando i fondi del Pnrr.
«Questo è uno strumento di straordinaria importanza, decisivo per il futuro dell’Italia, ma è stato concepito prima che la guerra ed il caro prezzi facessero il loro debutto nell’attualità. Il ministro Fitto cercherà di attualizzare le cifre e le finalizzazioni concrete delle risorse da spendere. Ci sono anche nuove risorse per nuove opere, perché ci siamo resi conto che con la guerra la nostra indipendenza deve essere anche autonomia energetica. Fitto e Meloni sono i protagonisti di questa azione. E ci sono anche altri fondi che si intende coordinare. La sfida è rendere insieme finanziamenti interoperabili, sui quali è necessario applicare delle regole molto ma molto più snelle. Ci sarà un decreto legge su questo e bisognerà anche capire che queste opere, che non riguardano il terremoto, andranno mantenute in esercizio».
A chiudere l’intervista una riflessione (“molto preoccupata”) sul Superbonus 110%.
«Da circa un anno e mezzo ai terremotati è consentito utilizzare il 110 per poter pagare le quote di accollo, cioè le quote per le lavorazioni che devono essere fatte nelle case che il bonus sisma non copre. Se sono necessari ulteriori lavori per rendere più strutturale la difesa, è possibile far luogo al 110. Il fatto è che tutti sanno di poter esercitare questo diritto, che però è impedito dal blocco delle cessioni dei crediti d’imposta. Il blocco del 110 sta così bloccando anche la ricostruzione, un vero paradosso. Mi sto molto impegnando su questo e sto cercando la soluzione. Sembra che l’Italia sia bloccata su una situazione che vede i cassetti fiscali pieni, ma le casse vuote».
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