di Andrea Ferretti
Quarantacinque punti dovrebbero bastare per disputare un altro campionato di Serie B. E’ questo l’obiettivo (minimo) dell’Ascoli che sta approssimandosi al finale di una stagione tormentata e caratterizzata anche da un cambio di allenatore. Figlio, quest’ultimo, di una scelta (Bucchi) che la scorsa estate sembrava azzeccata ma che si è poi rivelata un flop, non solo per motivi strettamente tecnici. Fanno riflettere, e non poco, i cori che si sono levati dalla Curva Nord nei primi minuti di gioco e dopo il triplice fischio di Ascoli-Sudtirol. “Noi vogliamo questa salvezza”. Il patron Pulcinelli e i suoi collaboratori non possono non fare di necessità virtù, dopo che ad inizio stagione nessuno, loro per primi, avrebbe scommesso un euro falso sulla salvezza come obiettivo. Soprattutto dopo che nel passato campionato – occhio, l’ossatura è rimasta quella – la squadra di Sottil di questi tempi stava ragionando sulla posizione finale nella griglia che conta. Playoff sacrosanti, agganciati con forza e determinazione, dopo aver chiuso la regular season con ben 65 punti.
Poi è accaduto che il nuovo allenatore (Bucchi) da una parte ripeteva di voler proseguire sulle orme di Sottil e dall’altra, ovviamente con l’avallo della società, approntava una squadra impostata su un 4-3-3 che non prevedeva l’impiego di Dionisi (!?), anima e cuore dell’Ascoli, attaccante capace di attirare su di sé anche quattro avversari pure se gioca con una stampella. Il 4-3-3 di Bucchi ha avuto risvolti suicidi. Anche se nella sua seconda fase capì, applicandolo, che forse era meglio il 3-5-2. Poi Breda, più esperto e saggio, ha rimesso in piedi la baracca nonostante prevedibili e scontati sbandamenti. Il tridente di Bucchi? Gondo è il capocannoniere della squadra e i gol li ha segnati con entrambi gli allenatori, ma che dire dei famosi esterni alti che, noi compresi, esagerando, osannammo prima ancora di vederli all’opera?
In ordine alfabetico: Bidaoui, Ciciretti, Falzerano, Lungoyi. Il primo è stato messo da parte come un appestato e poi dato al Frosinone probabilmente per regalargli come Tfr la gioia di una promozione in A. Il secondo ha trascorso più tempo in infermeria che in campo. Il terzo era stato messo fuori squadra nell’ultima settimana di Bucchi per non aver accettato di traferirsi a Cosenza in cambio di D’Urso, e poi passato in pochi giorni da emarginato a titolare nell’inedito ruolo di trequartista. Il quarto, dopo qualche sparuto sprazzo di inizio stagione, è scomparso dai radar.
Ecco allora che Palazzino e Re – della loro età tra i migliori in circolazione – continuano a fare i “primavera”, purtroppo per loro (e per l’Ascoli) incappati nella stagione sbagliata. La stessa in cui altre squadre stanno facendo esordire in B, ma anche in A, ragazzi addirittura più giovani di loro. La società Ascoli sa bene che in questi casi è facilissimo che la quotazione di un baby può passare in meno di ventiquattr’ore da zero a qualche milione di euro. Amen. Ci riproverà nel prossimo campionato, una stagione che dovrà ripartire non dopo una salvezza conquistata all’ultima giornata e, soprattutto, con Breda in panchina.
E veniamo al Sudtirol, pronto a godersi i playoff e scrivere un altro capitolo della sua favola, quella di una quadra che quando l’Ascoli giocava la sua prima Serie A disputava la Terza Categoria. Per carità, nulla da togliere agli altoatesini. Anzi, onore e merito ad una società e una squadra che stanno ripetendo quello che prima di loro ha fatto anche l’Ascoli che in ventiquattro mesi passò dalla C alla A a sedici squadre combattendo contro avversari che hanno fatto la storia del calcio italiano.
Sorprende però non poco che una squadra che occupa la quarta posizione della B si presenti al “Del Duca” senza uno straccio di gioco, senza concludere un’azione, senza provare a ripartire, con difensori che buttavano via la palla alla viva il parroco. Bisoli, come suo solito e come quando era un (ottimo) calciatore, si è sbracciato di continuo. Ad un certo punto avrebbe messo non una ma tre firme per portarsi a casa il punto. Poi, siccome è un uomo di calcio, ha accettato la sconfitta, anche se l’1-0 è riduttivo rispetto a quello che si è visto nel corso dei 99 minuti di gioco.
I calci d’angolo, che ancora quasi tutti gli organi di informazione riportano sui tabellini delle partite, non sono numeri da giocare al lotto ma spesso ben fotografano il match. Andare al riposo con l’Ascoli che ne aveva battuti otto – senza contare il palo, le parate decisive del portiere ospite e il Sudtirol che in 46 minuti aveva superato la metà campo al massimo tre volte – non è un dato da sottovalutare. L’andazzo della ripresa è stato lo stesso e dispiace che tra qualche anno, ma basta anche qualche settimana, l’1-0 di Ascoli-Sudtirol possa magari essere scambiato per una striminzita vittoria conquistata con mezzo rigore allo scadere.
Qualche altro numero? Alla fine i corner sono stati 10-3, il possesso palla parla di un 62% contro 38% (tipo Barcellona-Poggese), i tiri 25-4 di cui 9-2 in porta (mai l’Ascoli quest’anno era stato così caparbio, mentre la prima parata di Leali è avvenuta dopo 68 minuti), 326-149 (ben più del doppio) i passaggi, 24-12 i cross, 15-11 i dribbling. Aggiungiamoci il 15-12 nei falli commessi e il 6-4 nelle ammonizioni.
Una nota finale per l’arbitro Minelli, insufficiente e con scarse possibilità di rimediare a settembre. Le responsabilità vanno comunque equamente divise con la terna, pardon la quaterna, pardon la sestina. A lui e ai suoi collaboratori nella ripresa sono ad esempio sfuggiti un evidente fallo laterale e un calcio d’angolo, entrambi a favore del Sudtirol. Stava poi quasi per non ammonire Masiello – che arrancando ha steso Gondo. Sfortunato poi quando ha ammonito un giocatore del Suditirol, facendo giustamente concludere l’azione. Non l’ha fatto di corsa come forse avrebbe dovuto e come fanno molti suoi colleghi, ma se l’è presa comoda estraendo il giallo dopo che erano insorti i seimila del “Del Duca”.
Ma situazioni di questo tipo ne accadono a bizzeffe su tutti i campi di A e B. Ecco allora l’arcano di questi ultimi cinque anni: ma il Var è un alleato o un nemico degli arbitri?
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