di Maria Nerina Galiè
«Ero morta, mi hanno riportato alla vita. E’ giusto che la gente vigili sul funzionamento della Sanità, ma è anche giusto che si riconosca il merito di una eccellenza, come quella dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli».
Con queste parole Luigina Perozzi, originaria delle Marche e residente a Lecco, inizia e chiude una toccante lettera di ringraziamento al reparto di Anestesia e Rianimazione del capoluogo piceno, diretto dalla dottoressa Ida Di Giacinto, per essere stata letteralmente salvata, dopo un grave malore che l’ha colpita mentre era in piscina lo scorso 7 agosto a Montedinove.
«La cosa più bella è stato vedere che la signora sta davvero bene», il commento della primaria che fin da subito non si è voluta arrendere ad una sentenza che sembrava inappellabile.
L’ha ribaltata piuttosto, facendo ricorso anche ad un metodo, supportato dalla scienza, in cui la professionista crede fermamente: l’umanizzazione delle cure, con il coinvolgimento della famiglia attraverso la Terapia Intensiva aperta.
La storia – finita alla ribalta della cronaca di Lecco, dove la donna (74 anni) è molto conosciuta l’impegno in politica suo e del figlio Gianluca Corti – merita che si vada con ordine.
Oggi, 21 aprile, la signora Perozzi si è recata al “Mazzoni” per ringraziare di persona coloro a cui deve la vita.
Ecco le sue parole: «Per me è stato importantissimo questo incontro, oggi ero emozionatissima, finalmente stavo per conoscere chi ha contribuito al mio ritorno alla vita.
La dottoressa Di Giacinto e tutto il suo staff del reparto rianimazione del “Mazzoni” di Ascoli Piceno
Il 7 agosto scorso sono annegata nella piscina di Montedinove, il magnifico paese sulle colline picene dove tutti gli anni ritorno.
Mi è stato detto che praticamente ero morta, ma non era il mio momento.
Mi ha rianimato una turista inglese, Sharon. Poi con l’elicottero sono stata trasferita all’ospedale di Torrette di Ancona e da lì, per mia fortuna, al “Mazzoni”, dove sono stata curata con amorevolezza e attenzione».
E’ corretto che la signora Perozzi parli di fortuna, perché da Torrette al “Mazzoni” è arrivata con flebili speranze di sopravvivenza.
Decisamente non era “il suo momento”, perché lo staff capeggiato dalla Di Giacinto ha trovato in lei il problema: una cosiddetta “aritmia maligna”.
«Per prima cosa, però – spiega la primaria – dovevamo curare la polmonite da annegamento. Una volta che la signora ha risposto alla terapia, abbiamo potuto farle impiantare un pace maker e, ripartendo il cuore, pian piano tutto l’apparato cardio-respiratorio ha ripreso la normale attività».
Tutto questo, mentre Luigina Perozzi era in coma farmacologico. Infatti non ricorda nulla di tutto quello che ha passato. Ma lo ricordano bene il marito Franco e il figlio Gianluca «che tutti i giorni venivano informati dalla dottoressa Di Giacinto sull’evolversi del mio quadro clinico».
Qui si innesta quello che si può definire “il cavallo di battaglia” della dottoressa Di Giacinto: «Quando abbiamo svegliato la signora Perozzi dal coma, ed è sempre un momento molto delicato per il paziente, abbiamo aperto la Terapia Intensiva per diverse ore al marito.
Scientificamente è provato l’effetto benefico della vicinanza dei familiari per la ripresa del paziente, poiché si sprigionano gli “ormoni della speranza”.
Credo fermamente che il coinvolgimento delle famiglie sia parte integrante della cura. L’estate scorsa avevamo gli ingressi contingentati per il Covid. Ho fatto in modo di far entrare il marito tutti i giorni e per più ore, bardandolo dalla testa ai piedi».
«Io non ricordo nulla – continua la lettera di Luigina Perozzi – di quelle due settimane trascorse in coma farmacologico, ricordo solo il viaggio».
Si riferisce al trasferimento dal “Mazzoni” a Lecco.
Passato il peggio infatti, la dottoressa Di Giacinto ha capito che per lei e per i suoi cari sarebbe stato utile continuare la riabilitazione riavvicinandosi a casa. Così ha personalmente preso contatti con i colleghi del capoluogo lombardo, per la continuazione della terapia più adeguata, ed ha organizzato il viaggio di rientro.
Se ne sono occupati, accompagnando la donna in ambulanza da volontari, il medico anestesista Giulio Filipponi e l’infermiere Luigi Coccia.
«Anche i medici di Lecco – è la Perozzi che parla – non riuscivano a farsene una ragione di come possa essere sopravvissuta. Mi hanno detto che sono riusciti a prendermi con l’ultimo ciuffo di capelli.
Devo ringraziare tanta gente per l’aiuto che mi è stato dato, a partire dal sindaco di Montedinove Antonio Del Duca e tanti altri.
Sono orgogliosa di essere nata nelle Marche e per me è un vanto quando la gente di Lecco mi chiede notizie su quello che è capitato. Grazie ancora e sarete sempre nel mio cuore».
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