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Le storie di Walter: Cesare Marcantoni, una vita sulle montagne

ASCOLI - Una vita passata in buona parte a camminare sui nostri monti appenninici più vicini. A 92 anni non ha perso lo smalto e continua a frequentare la montagna con  il suo gruppetto di vecchi appassionati. Insieme a lui un altro ascolano ultranovantenne, Gino Mancini, testimonia ancora oggi l’amore puro e smisurato per le nostre montagne, e la passione antica per quello che oggi chiamano trekking. Una lunga storia iniziata quando si partiva tutti insieme, a piedi, da Porta Cartara
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Cesare Marcantoni sul Pian grande di Castelluccio nel 1995

 

di Walter Luzi

 

Quando muore un appassionato di montagna ascolano i suoi amici vanno a salutarlo al suo funerale con un vecchio canto di montagna che in realtà è una vera preghiera. Il Signore delle cime. E’ uno dei tanti che tante volte hanno intonato insieme, fianco a fianco, bicchiere di vino in mano, intorno alle tavolate di un pranzo condiviso dopo le camminate. Una emozionante tradizione che dura dal 1985. E’ stata un’idea di Cesare Marcantoni. Classe 1931. Novantadue anni oggi, 16 maggio. E sessantasei passati a scorrazzare a piedi su tutte le montagne del nostro Appennino. Una sana passione che non ha mai abbandonato. Che, anzi, continua fino ai giorni nostri, grazie a Dio, nonostante la veneranda età. Nel suo gruppo di escursionisti di lungo corso, fino a poche settimane fa, figurava anche Gino Mancini. Che di anni ne ha addirittura novantatrè. “Ginetto” come lo chiamano tutti, ha dovuto, da poco, rinunciare alle lunghe camminate in montagna insieme al gruppetto di amici affezionati. Il suo cuore è quello di sempre, ma sono state le articolazioni delle sue ginocchia doloranti, infine, a ribellarsi. Loro due sono gli highlanders dell’escursionismo montano ascolano. Con Cesare Marcantoni ne abbiamo ripercorso la storia. E appurata la straordinaria passione che non è mai venuta meno, e che, al contrario, è cresciuta negli anni, con lo scorrere delle tante primavere.

 

Con Ginetto Mancini (a sinistra) nel 2015

 

GLI ALBORI

 

Il papà di Cesare Marcantoni, Pietro, classe 1896, originario di Palmiano, aveva combattuto nella Grande Guerra. Era fortunatamente sopravvissuto alle fucilate dei cecchini austriaci, quando correndo da una trincea all’altra consegnava i dispacci agli ufficiali in comando. Avevano scelto lui perchè era analfabeta, e, anche volendo, non avrebbe mai potuto comprenderne e rivelarne i contenuti. Mamma Nazzarena, che invece era originaria della campagna di Valle Venere, mette al mondo Cesare grazie al primo parto cesareo eseguito nel nosocomio ascolano dall’esimio professor Scornavacca. E’ il 16 maggio del 1931. Oggi sono novantadue. Auguroni.

 

Cesare cresce alla Piazzarola. Fa in tempo a conoscere, da bambino, le paure della guerra, i fuggi fuggi nel timore dei rastrellamenti dei tedeschi in città, i fremiti e l’olocausto della Resistenza ascolana. Molla gli studi durante il primo anno di frequenza all’Istituto Tecnico Industriale di Via Dino Angelini per imparare un mestiere. Intanto gioca al calcio. Figura nella prima formazione della Pro Calcio, anno di fondazione 1947, che disputa il campionato di Promozione Marche.

 

Nella prima Pro Calcio del 1947

 

Di quella squadra sono ancora in vita solo in due, lui e Guido Biondi. Tempi durissimi. Gioca all’ala destra. Correre dietro ad un pallone gli piace, ma in casa, come in tutte, è un problema mettere insieme il pranzo con la cena. Comincia ad andare in montagna in quegli anni, quando ancora non c’erano strade per salire verso colle San Marco e la Montagna dei fiori. Dove lui lavorerà, per un periodo, anche ai lavori di rimboschimento. «Mi ricordo, io ero solo un bambino, –racconta Cesare – i pionieri dello sci ascolano che si cimentavano, in inverno, sulla neve della costa dell’ospedale, e la domenica partivano poi con gli sci e le rudimentali attrezzature dell’epoca in spalla verso San Marco. Alla ricerca, fino a tarda primavera, di una lingua di neve dove poter sciare. Salivano fino all’altezza del Rifugio Paci, dove, più tardi, fu costruita la prima sciovia, con l’immancabile sosta di ristoro nella casa colonica di Sirocchi, sul pianoro. Anche noi camminatori si partiva a piedi in gruppo da Porta Cartara – ricorda sempre Cesare – lungo gli antichi sentieri. Avevo sedici anni. I primi compagni di avventura sono stati i ragazzi della Piazzarola, che gravitavano intorno alla chiesa di Sant’Angelo Magno. Claudio Perini, Giovanni Bellini, i fratelli Luigi ed Emidio “Mimì” Nicolai, fra gli altri».

 

Con Giovanni Bellini ed Emidio Nicolai nel 1947

Con Claudio Perini e Giovanni Bellini nel 1947

 

IL LAVORO E I TANTI INTERESSI

 

Anche durante il servizio di leva prestato nella Fanteria in Lombardia, gioca al calcio nell’Alzano Lombardo in Prima Divisione. Ma la naja la passa quasi tutta dietro il bancone del bar del circolo ufficiali nella sua caserma di Legnano. Una esperienza che gli torna utile, dopo il congedo, per trovare lavoro, al Caffè San Marco, in Piazza del Popolo, dove viene assunto come cameriere percentualista. Cioè senza uno stipendio fisso, ma legato solo ad una percentuale sulle consumazioni dei clienti. «La mia busta paga me la riempivo da solo – ricorda Cesare – e ci riuscivo anche bene perchè gli allievi ufficiali della locale caserma spendevano, e rappresentavano una bella risorsa per tutta l’economia della città». Al San Marco ci resta sei anni. Quindi passa al Bar Salaria, sul viale della Stazione che restava aperto, all’epoca, tutta la notte. Per una decina di anni, proprio a causa di questi impegni lavorativi, anche festivi, è costretto a tralasciare momentaneamente le sue uscite in montagna. Poi la svolta occupazionale.

 

Ai rally della pesca negli anni ’60

Sul Corno Grande del Gran Sasso nel 1980

 

Il posto statale. Viene assunto infatti come bidello, dal primo gennaio 1966, alla “Luciani” prima e alla “D’Azeglio” poi. Sempre come custode delle palestre delle due scuole. Ci resterà per un trentennio tondo. Quasi tutti i suoi fine settimana li passa in montagna. Non solo. Pratica la pesca sportiva, e va pure a cercare funghi. La moglie Edda lo segue spesso nelle sue trasferte per le gare, fin nelle acque del Biferno in Molise, soprattutto in occasione dei rally di pesca che la Pescasportiva Salaria organizza.

 

In versione fungarolo nel 2002

 

Con la moglie e uno dei nipotini

 

Anche i suoi due figli, Sandro e Piero, non avranno di che annoiarsi dietro a un papà iperattivo come lui. In casa, in pratica, non c’è mai, ma è bravo a coinvolgere tutta la famiglia nelle tante passioni della sua vita. A Carnevale Cesare è stato sempre, fino agli anni tristi dell’era covid, fra le maschere in piazza. Premiato con la “mascherina d’oro alla carriera” nel 2008. Memorabile la mascherata del 1990 tristemente ispirata, tanto per restare in tema montanaro, dal recente rogo del bellissimo rifugio di Monte Piselli.

 

Con il fratello al Carnevale 1990 dopo il rogo del rifugio di Monte Piselli

 

Sulla cronaca cittadina per il Carnevale 1990

Un gioiello andato misteriosamente in fumo insieme alle speranze di una degna valorizzazione della nostra montagna. Cultore dell’escursionismo montano e poeta dialettale. Scrive, da autodidatta, oltre una decina di canzoni e poesie in vernacolo ascolano. I figli gli hanno dato una mano a musicarle. Nella seconda metà degli anni Novanta, calca il palcoscenico del Teatro Ventidio Basso partecipando a quattro edizioni del “Festival della canzone dialettale”. Una inclinazione naturale per il canto che lo porta, come detto, a insegnare i canti di montagna a tutte le comitive di escursionisti che lo seguono. Che delizia, ogni volta, anche con le sue apprezzate doti culinarie, dispensate, per altro, anche in casa.

 

Con il fratello Vittorio e Carlo Coltamai sul Gran Sasso nel 1985

 

Sul massiccio del Gran Sasso nel 1991

 

LE METE

 

Con la pensione, arrivata nel 1993, Cesare ha più tempo da dedicare alle sue montagne e ai suoi tanti interessi. Oltre alle tradizionali uscite nel week-end si inventa per la sua compagnia le uscite infrasettimanali. «In inverno – continua sempre Marcantoni – la palestra di allenamento è la nostra vicina montagna dei fiori, una palestra immensa che offre di tutto all’escursionista. Adatta infatti ad ogni livello, offre la  possibilità di potersi scegliere il punto di partenza e la lunghezza dei vari itinerari. Uno spettacolo». Ma da maggio a ottobre si apre anche alla grande montagna. Gran Sasso, Sibillini e Monti della Laga. Sul Vettore via sud-est e lungo il Mezzi Litri. Verso il Torrone, oppure su per la Costa della Monna o il Canalino verso la montagna più alta delle Marche. Tante giornate indimenticabili. Passione autentica. Amore viscerale per la montagna.

 

Sui Monti Sibillini con il Vettore sullo sfondo nel 1995

 

Lungo il sentiero dei mietitori dei Sibillini, sullo sfondo il Vettore

 

Sul Gran Sasso è salito per mezzo secolo. Sia dal versante di Prati di Tivo che da quello di Campo Imperatore. «Facendomi una botta di conti – continua Cesare – sono arrivato in cima al Corno Grande per quasi duecento volte. Arrivavamo a Prati in auto alle sette di mattina. Mai preso la seggiovia per salire fino alla Madonnina. Sempre a piedi. Da qui proseguivamo verso il Rifugio Franchetti e quindi verso la vetta del Corno Grande, a quota 2.914 s.l.m.. Sono millequattrocento metri di dislivello. Quasi quattro ore di salita. Non è uno scherzo». Con gli anni poi si è preferito fare più ore di auto salendo fino a Campo Imperatore, perchè il dislivello da quel versante, lungo la via normale o la direttissima, è “solo” di novecento metri. Cesare ha sciato di fondo fra il Pian Piccolo e il Pian Perduto di Castelluccio.

 

Sulla vetta del Corno Grande nel 1991

 

Verso il Vettore, sullo sfondo il lago di Pilato, nel 2001

 

Ha camminato sul ghiacciaio del Calderone, il più meridionale d’Europa, con quello della Sierra Nevada in Spagna, entrambi ormai, purtroppo, estinti. Ha girato intorno alle sponde dei laghi di Campotosto e dello Scandarello. Nessun’altro, forse, può vantare in Ascoli un ventaglio tanto ampio di esperienze.  

 

LA TRAGEDIA

 

Nei suoi tanti gruppi di camminatori creatisi e scioltisi nel corso degli anni figura, fra gli altri, anche il fratello maggiore Vittorio, il barbiere di Piazza Bonfini, cultore anche lui dei canti di montagna. Ha sette anni di più, e Cesare, per sfotterlo, lo chiama babbo. Un terzo fratello, Francesco, ha fatto carriera militare lontano da Ascoli. Oggi non ci sono più nessuno dei due. Walter Angelini, Filippo Cataldi, Carlo Coltamai, Vincenzo Filippoli, Giovanni Margani, Angelo Sansoni, Emidio Bucci, Paolo Cilla, solo per ricordare qualche nome fra i componenti abituali delle varie comitive. Famiglie intere come i Baiocchi, e coppie di fratelli, come Nando e Franco Giorgi e Alfredo e Franco Mariani.

 

Sui Sibillini nel 1996

 

Sui Monti della Laga, con vista sul lago di Campotosto, nel 1999

 

A quest’ultimo è legato il ricordo più tragico in quasi settant’anni di escursioni montane. «Mi sono sentito morire anch’io quella domenica mattina – ricorda commosso Cesare – era il 4 febbraio 2001. Alla partenza dal consueto punto di ritrovo davanti al bar Diana insistette perchè andassi in macchina con lui fino alla casa che aveva a San Giacomo con Gigi Curzi. Il luogo dei nostri pranzetti che io stesso cucinavo al ritorno dalle nostre escursioni, e dei nostri canti di montagna, alla fine, intorno alla tavolata. Anche quella mattina eravamo diretti, come quasi sempre, alla Croce di Monte Girella. Lui rimase un pò indietro insieme ad altri. Io ero più avanti, insieme a Giovanni Margani e Alfredo Mariani, suo fratello. Fu Roberto Celani a portarci la notizia del malore che aveva accusato Franco più a valle. Tornammo subito indietro di corsa, e vederlo, già morto, disteso sull’erba della nostra montagna fu una scena che non riuscirò mai più a dimenticare. Proprio lui che era sempre stato uno dei più brillanti e allegri della nostra compagnia. Un dramma che tolse il fiato a tutti noi. Quello fu il giorno più triste che ho vissuto in montagna in tutta la mia vita».

 

L’EREDITA’ DI CESARE E GINETTO

 

Nell’epoca moderna, tutta virtuale e vuota, dei like, dei follower e delle influencer, le vecchie generazioni degli ultimi camminatori stentano parecchio a trovare il ricambio. I più giovani hanno altri interessi e amano la vita comoda.

 

Mascherata carnevalesca, ovviamente da montanari

 

Al ristoro delle Tre Caciare

 

Camminare, per di più, costa fatica e sacrificio. Due elementi un tempo essenziali per raggiungere ogni obiettivo e successo nella vita. E che, oggi, desueti perchè troppo scomodi, vengono evitati con estrema cura in ogni campo. Le aurore intatte che si possono contemplare in estate dalle cime più alte, le vedute che possono correre dai nostri monti fino al vicino mare, richiedono un prezzo che solo lo smisurato amore per la montagna, e per la natura in senso lato, possono azzerare. Anzi. Levatacce e sudate, indolenzimenti e fiatone, fanno parte dello spasso. È il viaggio, non la mèta, ciò che conta, scriveva Eliot. Soprattutto quelli in ottima compagnia.

 

Al Pian Perduto di Castelluccio nel 1999

 

Alla cascata della Morricana nel 1996

 

Cesare ha organizzato per quattordici anni filati a Monte Piselli il Raduno del Montanaro. Una grande festa riservata a tutti i grandi appassionati di montagna come lui, con Messa all’aperto, il pranzo, i premi, e gli immancabili cori alpini dopo le numerose sbicchierate in allegria.

 

Locandina del Raduno del montanaro del 1993

 

Alla Croce di Monte Girella

 

Continua a guidare il suo ultimo gruppo. Il figlio Sandro lo accompagna spesso. In salita riesce a tenere il passo del padre, ma in discesa non ce la fa. Partono, almeno, tutti i mercoledì, tempo permettendo. E’ un gruppo affiatato, omogeneo, prevalentemente composto dagli ultimi escursionisti romantici. Quelli che si incantano ancora a guardare una fioritura o un panorama, anche se è la millesima volta. Che si emozionano ancora davanti ad un’alba. O a un tramonto. Quelli che hanno lo stesso equipaggiamento di trent’anni fa. Perchè ci sono affezionati. Quelli che non cedono alle mode del momento, agli abbigliamenti hi tech, alle moderne tendenze. Quelli che  hanno gli occhi lucidi tutte le volte che cantano il Signore delle cime. E non solo quando lo fanno ai funerali degli amici. Alberto Angelini, Roberto Celani, Vincenzo Cocchieri, Bruno e Giorgio De Angelis, Domenico Fioravanti, Pietro Giuliani, Dino Luciani, Isabella Marinelli, Graziano Traini, Mariolino e Marco Vitelli, e Gino, per tutti, affettuosamente, “Ginetto” Mancini, custodiscono la Memoria più antica e autentica dei camminatori ascolani.

 

Cesare (a destra) con Ginetto Mancini oggi

 

Una delle tante allegre tavolate dopo le escursioni

 

Ginetto è il più anziano, e ha dovuto mollare solo da poco, suo malgrado, a causa di problemi alle ginocchia, l’amata compagnia montanara. E’ un grande anche lui. Ha compiuto novantatrè anni la scorsa settimana senza dimostrarli, come Cesare, minimamente. Udito a parte. E’ cresciuto a Piagge, sulle pendici di Colle San Marco, da sempre culla dei maestri dello sci ascolano. Ha lavorato in una cava di travertino e come camionista, prima di trovare un posto alla allora Uniroyal Manuli. Sportivo a tutto tondo ha praticato in gioventù il pugilato, il ciclismo e il motociclismo. Ma la montagna rimane sempre il suo più grande amore. Samivel, al secolo Paul Gayet-Tancrède, classe 1907, poeta e alpinista francese ha scritto “…camminare pulisce il cervello e rende allegri…”. Non è poco. Ma, dalle nostre parti, fa campare anche cent’anni.

 

Cesare oggi fra i ricordi appesi alle pareti della sua casa

 

Sui Monti della Laga nel 1998

 

La famiglia Marcantoni al completo nel 2005

A Forca Canapine nel 1994

 

Sul Pizzo di Sevo nel 1998

 

SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..

 

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