di Walter Luzi
Dopo cinquantacinque anni di attività, a chi gli rinfaccia di non essere mai stato fregiato di onoreficenze al merito del Lavoro, Bruno Galanti, l’Assassino dei prezzi, risponde che è giusto così. Perchè lui con il suo lavoro si è sempre e solo divertito. Fabbricando corde, fin da bambino, insieme al papà Mario, in rua del Castoro, e poi ai mercati, o fra gli scaffali dei suoi fornitissimi bazar, per la crescita dei quali ha sempre continuato ad investire ogni risorsa. Ha tirato di boxe, amando profondamente questo sport fatto di sudore e sangue, e traslandone i valori più nobili nella sua vita e nel suo lavoro. Con la moglie Paola, sono insieme da quando erano due ragazzini, ha costruito successi importanti, e conosciuto dolori terribili. I primi non ne hanno mai snaturato la straordinaria umanità. I secondi non ne hanno mai prostrato la grandissima fede.
Anche se ha ormai passato la mano ai suoi due figli adottivi, Sandro Angelini e Maurizio Bachetti, come ama definire i suoi due generi rimasti soli troppo presto, ogni mattina lo puoi incontrare fra le corsie del suo bazar dell’Assassino di Castagneti. A sistemare la merce sugli scaffali con la stessa cura, lo stesso entusiasmo, lo stesso amore per il suo lavoro. Quelli di sempre. Molti clienti, vecchi e nuovi, si fermano solo per il piacere di salutarlo. Di scambiare due parole con lui. Come si fa con gli amici di una vita. Perchè, a ottantuno anni, vissuti molto intensamente, Bruno Galanti, l’Assassino, è sempre lui. Che sa dispensare al Prossimo, innanzitutto, affetto sincero, e perle di saggezza, con un sorriso. Continua ancora a chiamare i suoi clienti, fratello. E le sue clienti, amore. Non per adulazione ruffiana e interessata da commerciante, ma per la gratitudine, sincera e devota, verso chi gli ha dato sempre da vivere. Bruno Galanti, l’Assassino, ci ha aperto la sua casa, il suo infinito album dei ricordi. E il suo cuore.
LI CURDAR’ DI RUA DEL CASTORO
Bruno nasce nel 1942. A scuola è una vera frana. Non perchè gli manchi l’intelligenza, tutt’altro, ma perchè per arrivare alle conclusioni degli insegnanti fa altri percorsi. Validi. Ma strani. Tutti suoi. E poi alla fine di ogni compito in classe è solito aggiungere sempre la stessa frase. “Quando sarò grande voglio un magazzino tutto mio, grande come la Standa”. Una vocazione, e un sogno. “Sarà un pò matto sto’ ragazzino?…” si chiedono ogni volta i suoi insegnanti, tollerando però le immancabili griffe in fondo alle pagine del suo quaderno. Ma quando Bruno approda alle Industriali in via Dino Angelini, il bizzarro vezzo viene scambiato dai professori per una provocazione, e non gli viene più perdonato. Espulso dall’aula, non vi rimetterà più piede. Ha iniziato a sei anni ad armeggiare intorno alle corde del papà. A sedici anni sceglie di lavorare a tempo pieno a fianco a lui.
Della fabbricazione delle corde apprende ogni segreto.
Quello del cordaio è un’arte abbastanza redditizia negli anni duri del secondo dopoguerra. Mario Galanti, lu curdar’, classe 1912, ha imparato presto a pulire le canne della canapa, a pettinare e a filarne le fibre. Già nel 1948 questo suo affascinante lavoro gli ha permesso di comprarsi una casa nel cuore della città, in via di Solestà, più conosciuta come la costarella d’lì f’mmnì, e di mantenere la sua numerosa famiglia.
Bruno è l’unico figlio maschio, e su di lui il padre ha fatto subito molto affidamento. Ha infatti cinque sorelle. Anna e Liviana più grandi. Clara, Paola e Patrizia più piccole. Padre e figlio lavoreranno per la strada, al freddo o sotto il sole, tutti i giorni dell’anno, fianco a fianco, in rua del Castoro. Nei giorni di mercato Bruno parte con la sua carretta piena di corde la mattina di buon’ora, e si piazza davanti al negozio di biciclette Trontini, che gli fa spazio volentieri spostandone qualcuna in mostra all’esterno. Quello che sembrava un mestiere senza crisi, e senza una fine, viene messo presto però fuori mercato dall’avvento prepotente della plastica e delle fibre sintetiche, che soppiantano velocemente quelle naturali.
Ora le macchine iniziano a sostituire le mani dell’uomo. La chimica ad avvelenare la Terra. Lo chiamano tutti, progresso. Troppo tardi si capirà che questo cosiddetto progresso, in fondo non sarà mai veramente tale. Nè per gli umani, nè per la Natura. Ed avrà un prezzo salatissimo da pagare.
TRENTACINQUE ANNI IN TRE
Bruno, a quel punto è tentato di emigrare anche lui, come tanti, oltreoceano, in cerca di fortuna. Oppure di arruolarsi in qualche forza armata. Ma sente su di sè la responsabilità verso la sua famiglia di tante donne e, soprattutto, di unico sostegno per il padre, che, su di lui, e sul suo aiuto, ha sempre potuto contare. E poi c’è anche un’altra bellissima novità.
In quei primi anni Sessanta, Bruno fa un incontro di fondamentale importanza per la sua vita. Conosce Paola Profeta. Sono entrambi giovanissimi. Lei ha vissuto una infanzia agiata, ma dopo la prematura morte del padre le cose sono cambiate. La sua mamma, in ogni caso, non gradisce affatto che lei frequenti questo giovanotto di umili origini. Il sacro fuoco dell’amore divampa invece, incontenibile, fra i due, li travolge, generando subito, naturalmente, i suoi frutti. E’ l’inesperienza, comune e pressochè totale, a cullare infatti la loro inebriante passione. Lei rimane subito incinta. Trentacinque è la somma degli anni che hanno Bruno, Paola e la loro primogenita, Bruna, quando, nel 1962, si sposano. Diciannove lui, sedici lei, e qualche mese la piccola.
“Ci sposammo alle sei di mattina – ricorda Bruno – nella chiesa di Santa Maria Intervineas, in fondo a via Trieste. Solo perchè a quell’ora in strada non passava neppure un cane. Era una autentica vergogna infatti, all’epoca, una cosa del genere. Lei era la figlia di Mario Profeta, uomo generosissimo, che aveva avuto una macelleria in Piazza del Popolo. Di famiglia benestante dunque, che lei lasciò per mettersi con un nullatenente come me. Non avevamo neppure dove dormire. Per sei anni abbiamo vissuto in una stanza che mia zia Ernesta ci mise a disposizione in casa sua, a Porta Cappuccina. Ma ho mantenuto la promessa che le feci in chiesa quella mattina. Le promisi che un giorno l’avrei riportata a quel livello di benessere della sua famiglia, a cui lei aveva rinunciato per sposare me. Mia moglie è stata l’unica cosa che ho indovinato veramente nella mia vita…”. La voce si rompe. Bruno si ferma e si commuove. Gli occhi si fanno lucidi. Come gli succede spesso, quando parla della sua vita. “I primi tempi sono stati duri per me – ricorda Paola – vivevamo in pratica in casa dei miei suoceri e delle mie cinque cognate. Che mi vedevano un pò come un’intrusa, quella che aveva rubato loro l’uomo di casa”.
LA BOXE
Nasce tutto da una prepotenza subita ad opera di un energumeno locale. Un benzinaio attaccabrighe soprannominato ‘u frat’, che, approfittando della sua stazza, mena volentieri le mani con chiunque gli capiti a tiro. Secondo lui le attrezzature dei cordai di rua del Castoro intralciano troppo il passaggio alla sua grande motocicletta.
Non è vero. Ci passerebbe benissimo, ma, sotto minaccia, il giovane Bruno è costretto a liberare la via. L’angheria subita lo prova fino a fargli perdere il sonno. Oggi lo definirebbero una vittima di bullismo. Una umiliazione che lo spinge ad affacciarsi alla porta della palestra di pugilato della sua città. In rua della Seta, vicino a piazza Roma. Dentro sono in tanti i giovani che si stanno allenando sotto la guida di Francesco Moretti. Aria densa di vapori ed umori.
“L’odore forte di tutto quel sudore – dirà Bruno – mi è rimasto dentro per sempre. E’ diventato come una specie di droga. Di cui non puoi più fare a meno. Ho cominciato a frequentare assiduamente quella palestra dopo il lavoro. Lì, separatamente, si allenavano anche i lottatori sotto la guida di Mimì Lazzarini. Con loro c’era una simpatica rivalità, ci sfottevamo, e ci lanciavamo reciprocamente sfide, certi, ognuno, di vincerle”. Francesco Moretti e Mimì Lazzarini erano gli allenatori che hanno scritto la storia di queste due discipline in Ascoli.
“Durante i combattimenti – ricorda sempre Bruno Galanti – Moretti cercava innanzitutto di proteggerci. All’angolo ci rincuorava sempre, fra un round e l’altro, anche se stavamo perdendo, per non farci rischiare troppo nel tentativo di recuperare. Io facevo spesso i guanti con i nuovi arrivati, perchè incassando qualche colpo li incoraggiavo a continuare in questo sport. Finchè una sera non si presentò in palestra ‘u frat’. Con lui smisi i panni del docile sparring partner e lo riempii di pugni, risparmiandogli il colpo del ko solo per poter continuare a colpirlo ancora. La soddisfazione per il titolo regionale vinto a sedici anni è stata niente in confronto”.
Nei welter leggeri, fino a 63 chili di peso, poco più che adolescente, vince infatti, nel 1958, il titolo regionale dilettanti. Il ring approntato alla buona nel cortile della scuola nei pressi di piazza Sant’Agostino. Battendo Luigino Rosa di Fermo è ammesso di diritto alle finali nazionali, ma non vi partecipa perchè il papà si oppone. Troppi, ritiene Mario, sono i giorni in cui il figlio dovrebbe assentarsi dal suo lavoro. In seguito Bruno passerà ai welter, e quindi ai welter pesanti, ma la boxe rimarrà per lui solo un piacevole mezzo per riportare in famiglia qualche soldo in più. Combatte molte volte nel team di Nello Vichi di Pesaro, che, quando c’è da affrontare un avversario temibile, chiama Galanti di Ascoli.
Campione marchigiano dilettanti nel 1958
Basta pagarlo bene. Bruno in effetti è un mercenario, che combatte più per qualche soldo da portare a casa, che per la gloria. In verità spende quasi sempre i premi incassati con i suoi combattimenti per comprare i giocattoli più belli per le sue bambine. Pugno duro e cuore puro. “Pugilisticamente parlando non ero un eroe – racconta sempre Bruno – avevo una buona scherma. Sinistro e via, qualche passetto indietro, e infilavo il destro. Quando subivo me la cavavo con il mestiere, legavo l’avversario, limitando sempre i danni. Ho disputato sessantanove incontri. Ne ho vinti quarantadue”.
Bruno tra gli allievi del maestro Moretti
TRE PADELLE MILLE LIRE
Nel 1965 a far compagnia a Bruna arriva anche Maria Cristina. Titti, come la chiameranno sempre tutti. Nel 1968 per contribuire al magro bilancio famigliare Paola apre un piccolo negozio di casalinghi sulla costa de li f’mm’nì. Anche le sue due sorelle sono già commercianti in altre città. Inizia a vendere lì dentro casalinghi, articoli da regalo già confezionati nelle scatole di cartone, palloni. La licenza commerciale, rilasciata a nome di Bruno, data addirittura 1960. Il primo embrione dei Bazar dell’Assassino che verranno. Lui ha già iniziato a vendere pentolame ai mercati.
Gli ha dato fiducia illimitata un rappresentante di Pescara, Mario Di Bartolomeo, che ha visto subito in lui la stoffa del venditore per le sue padelle griffate La rondine. Sono coetanei, e diventeranno grandi amici. Bruno Galanti nelle piazze dimostrerà, da subito, tutto il suo talento innato, e la bontà delle sue intuizioni, che saranno sempre, rigorosamente, controcorrente. All’avanguardia. Alle grandi bancarelle, con le merci ben ordinate in bella vista, opporrà la sua personale e originale strategia di vendita. Piatti e pentolame sparsi per terra. Senza il riguardo dovuto, e riservato, ad oggetti costosi. La prova che il prezzo, come la rassicurante abbondanza, sono alla portata di tutti.
Garantisce lui personalmente la buona qualità dei suoi prodotti ad un prezzo onesto. “Povero me!” è la sua esclamazione ricorrente che diventa presto il suo marchio distintivo inconfondibile. Che richiama da lontano. Che attrae. Che seduce. Prezzi aggressivi e slogan vincenti.
“Tre padelle, mille lire!” è l’allettante offerta per le massaie che segnerà un‘epoca. I colleghi venditori ambulanti cominciano a soffrire la sua concorrenza, e ne disprezzano apertamente le innovative tecniche di vendita. “Sei un assassino!” cominciano ad inveirgli contro. Assassino di antiche consuetudini e collaudate strategie. Assassino. Sì, assassino gli piace. Si chiamerà così per sempre. Questo sostantivo diventerà la sua bandiera perchè sarà, soprattutto, assassino dei prezzi alti. Sempre vicino alle necessità e alle aspettative dei suoi affezionati clienti. Bruno Galanti è, e sarà sempre, un passo avanti. Ispira fiducia e simpatia. Trasmette buon umore. I suoi sempre più numerosi clienti li considera, tutti, fratelli. Un rispetto, sacrale, avrà per loro, e un affetto spontaneo. Per sempre. E sempre ricambiati.
Ogni primo giovedì del mese va fino a Pesaro, dove tutti se lo ricordano ancora da pugile, per il mercato. Un successone per l’Assassino anche lì, come in diverse altre cittadine marchigiane. Nel 1965 arriva la secondogenita Maria Cristina, o Titti, come la chiameranno affettuosamente tutti. Paola la partorisce nella loro unica stanza, a casa di zia Ernesta, dove continuano a stare. Gli affari però vanno bene. E’ sempre Paola a tenere sotto controllo la cassa, per onorare puntualmente tutte le scadenze di pagamento, prima di mettere qualche risparmio da parte. “In quasi sessant’anni di attività – si vanta Bruno – mai rimandata indietro impagata una ricevuta bancaria, o una tratta a un fornitore”. Sono soddisfazioni, in questo mondo di ladri.
IL PRIMO BAZAR DELL’ASSASSINO
Quando, nel 1968, comprano casa e bottega a Porta Cappuccina, fuori dalle mura, i suoi genitori mostrano qualche perplessità: “Ma dove ci porti, in campagna?…”
Il proprietario è uno dei Brandimarti, famiglia di boxeur. Bruno ha ventisei anni. Compra 800 metri quadrati di magazzini. L’inseparabile moglie Paola continua ad assisterlo validamente in amministrazione. Assume i primi dipendenti, anche se lui li definirà sempre collaboratori, e a cui pagherà puntualmente ogni minuto di straordinari. La signora Italia lavora ancora con lui. Chi cerca solo un buon posto di lavoro, al bazar dell’Assassino trova una seconda famiglia. L’etica è irrinunciabile, come il rispetto per le persone, prima che per i clienti. Tutte le ditte fornitrici gli danno fiducia. Lui non smetterà mai di meritarsela. Tutta intera. Con il sindaco Antonio Orlini c’è stima reciproca. Bruno è il primo e unico testimonial della sua azienda, che pubblicizza in ogni maniera. Spesso in grande. Come, ad esempio, nel 1983 quando, con una imbragatura, si fa issare da una gru di Seghetti sopra piazza Arringo per poter avvistare da lassù… i prezzi alti. Sul sagrato del Duomo tutti con il naso in su. Tranquillo Ricci, boss della Colorain, ancora gli dà atto: la pubblicità l’ho imparata da lui. Con Paola hanno viaggiato in cinquanta Paesi del mondo. In America, a New York, capita nello stesso albergo dove alloggia anche Don King, il più famoso organizzatore di pugilato di tutti i tempi.
Fanno amicizia. Il manager di Muhammad Alì, George Foreman e Mike Tyson solo per citare i tre più celebri, lo scarrozza persino sulla sua Limousine con bar incorporato. Cose da Bruno Galanti.
IL SOGNO SI REALIZZA
L’otto dicembre del 1991 Bruno inaugura l’apertura del nuovo maxi store nel capannone dell’ex fabbrica Meletti a Castagneti. Milleseicento metri quadrati di esposizione, parcheggio privato per settecento posti auto. E’ il suo sogno di bambino che, finalmente, si realizza. Ma non ha ancora finito di combattere. Il Comune è restìo a trasferirgli la licenza commerciale in periferia. Invece è solo un precursore, un apripista, un visionario di avanguardia. Come sempre. L’avversario più temibile ora si chiama burocrazia. Tutti gli altri che arriveranno a insediarsi in periferia dopo di lui, non incontreranno tanti ostacoli e difficoltà. A cominciare dalla segnaletica della viabilità, che penalizza l’accesso alla sua attività. La rotonda lungo la Piceno Aprutina, nei pressi del vicino incrocio teatro di ripetuti incidenti, che risolverebbe tutto, Bruno la sta ancora aspettando. Lui non ha trovato certi ponti d’oro a spianargli la strada. Nessuno gli ha regalato nulla. Da buon pugile ha dovuto lottare duramente, da solo, sudarsi il suo successo colpo su colpo. Senza arrendersi mai.
Sui giornali, grazie soprattutto a due grandi amici come Bruno Ferretti e a Bruno Squarcia, le sue imprese e i suoi problemi trovano sempre spazio, attenzione, risalto. L’affetto della gente, i buoni sentimenti, lo gratificano molto di più dei buoni incassi. E’ per questo che tanti clienti, vecchi e nuovi, si fermano ancora a parlare con lui fra le corsie del bazar.
Solo per il piacere di salutarlo, di incrociarne il sorriso sotto la tesa dell’immancabile cappello da cow boy. Come si fa con gli amici più cari. I bambini lo adorano. Regala loro i chupa chups ancora oggi, quando capitano in negozio. In tutti i bazar dell’Assassino il reparto destinato ai giocattoli per loro è sempre fra i più forniti. Non è un caso.
PRESIDENTE DELLA PUGILISTICA ASCOLI
Assume la presidenza della pugilistica Ascoli per quattro anni. A sue spese attrezza ben due palestre destinate al pugilato, a Campo Parignano e in via De Dominicis e si cresce un piccolo campioncino come Christian Giantomassi, campione italiano sia da dilettante che da professionista, ed olimpionico ad Atlanta 1996.
Sotto la sua gestione riesce a portare in città campioni del mondo come Nino Benvenuti, Loris e Maurizio Stecca, Francesco Damiani, Patrizio Oliva. Organizza esibizioni con alcuni di questi campioni. Nel 1987 Sumbu Kalambay, fresco vincitore a Livorno del titolo mondiale WBA, ripassa a casa sua per mostragli la cintura di campione del mondo appena conquistata.
Resta alla guida della Pugilistica Ascoli fino quando gli chiedono di dimettersi da presidente per lasciare la carica ad un altro aspirante, e, presunto, ben più facoltoso finanziatore. La sua passione di una vita calpestata senza scrupoli per un pugno di denari. Si fa da parte senza problemi. Per restarci anche quando, poco dopo, lo supplicheranno, pentiti, di tornare. Questione di dignità.
BRUNA E TITTI
Le due bambine di Bruno e Paola sono diventate angeli del Paradiso troppo presto. Bruna e “Titti” Maria Cristina sono volate via a meno di tre anni di distanza l’una dall’altra, fra l’agosto del 2009 e il marzo del 2012. Accomunate dallo stesso male.
“Da bambino – chiosa Bruno – sognavo di arrivare a possedere un grande magazzino. Quando sono riuscito ad averlo ho capito che le ricchezze della vita sono altre. Il fatto che Nostro Signore le abbia volute presto, entrambe, accanto a sè, può essere anche una soddisfazione per me. Sono credente, e molto religioso. La fede in Dio mi ha dato la forza per sopravvivere al dolore”. Paola, invece, che non perde mai la sua calma e il suo sorriso, si è aggrappata ad altro: “Per me credo sia stata più importante, invece, la famiglia. Dovevo occuparmi dei loro figli. I miei nipoti, che adoro. Sono stati loro a darmi la spinta per andare avanti”.
Natassia e Marco, i figli di Bruna, sono i più grandi. Quelli di Maria Cristina, Giada e Alessandro e Camilla, i più piccoli. La prima nipote li ha resi anche bisnonni con l’arrivo di Ian, Flavia e Leonardo. Bruno alla marcia della pace Macerata-Loreto non è mai mancato. Per diciannove anni filati.
Ogni volta ha toccato in segno di grande devozione la statua della Madonna del santuario lauretano. Sul pullman portava ogni volta con sè uno scatolone di cioccolate da regalare a tutti. Ad una cena di ritrovo post pellegrinaggio ha omaggiato ogni donna con una rosa. Ancora se la ricordano. Quando ha mollato lui hanno mollato in tanti. L’Assassino mancava troppo a tutti.
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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