di Maria Nerina Galiè
Un episodio di violenza al carcere ascolano del Marino, oltre a sollevare biasimo, accende i riflettori sulla situazione che vivono gli operatori sanitari.
Il fatto è accaduto lunedì scorso, 10 luglio, quando un detenuto dell’Alta Sicurezza 3 (un 35enne di origini nigeriane), mentre era in visita medica ordinaria a cui hanno diritto ogni giorno i reclusi, ha iniziato ad agitarsi chiedendo ulteriori esami.
Il medico di turno gli ha spiegato che molti erano stati fatti, altri programmati per tempo debito.
Poiché l’uomo non si calmava, è intervenuta anche l’infermiera che però ha iniziato ad essere oggetto di aggressioni verbali da parte del detenuto. A quel punto due agenti di Polizia Penitenziaria si sono avvicinati ed uno di loro è stato pronto a mettersi tra il nigeriano e l’infermiera, bersaglio di un violento attacco fisico.
Il poliziotto è rimasto ferito per un trauma contusivo. Subito soccorso è stato necessario trasportarlo al Pronto Soccorso dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli.
«Rischio per la sicurezza e indennità non riconosciute contribuiscono a rendere davvero difficile il ruolo degli infermieri distaccati al carcere del Marino», denuncia Roberto Tassi, in qualità di dirigente sindacale del Nursing Up ma anche come diretto interessato, essendo uno dei 10 operatori in forza all’istituto.
«Intanto – continua Tassi – è partita una segnalazione al Governo Clinico e al Dipartimento di Prevenzione di Ast Ascoli. Quello che accade qui non fa statistica, se non segnaliamo. Poi è ora che si prendano dei provvedimenti».
Ma non solo. Ancora Tassi: «Nel contratto della nostra categoria entrato in vigore il primo gennaio 2023 è prevista un’indennità da riconoscere a chi lavora in particolari Unità operative o servizi, tra cui appunto il carcere.
Noi ancora, nonostante le numerose richieste, non abbiamo visto nulla di quanto ci spetta.
E non l’unico fattore che evidenza la disparità di trattamento tra noi ed altri colleghi. I buoni pasti, ad esempio, a noi non vengono riconosciuti, come ad altri che hanno gli stessi orari.
Siamo come dimenticati, sia per il rischio sicurezza che per le spettanze. Eppure operiamo in prima linea, tutti i giorni, in un ambiente tutt’altro che facile».
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