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Le storie di Walter: Giovanni Vitelli, la voce del cuore

ASCOLI - I molti volti della vita del quarantacinquenne cantante ascolano. Fra cornamuse e musiche celtiche dopo un periodo sofferto stanno arrivando le prime soddisfazioni. I legami speciali con Arquata e Comunanza. I ricordi delle persone che più hanno creduto in lui. La storia di un personaggio di altri tempi che ha sempre inseguito i propri sogni
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Giovanni Vitelli in kilt scozzese

 

di Walter Luzi

 

Ci sono storie che somigliano a fiabe, figlie di grandi passioni e grandi dolori. Storie di sogni che si realizzano anche, forse, perché non si smette mai di crederci, e quando succede, ma non capita sempre, è anche, forse, perché lo si è meritato. La storia di Giovanni Vitelli è una di queste. Segnata da gravi lutti e scelte sofferte dettate dal bisogno. Ma anche da passioni incontenibili, da amori puri e mai traditi per il bel canto, per la Natura e per l’Arte, per la montagna e per i suoi sport all’aria aperta. Una voce da tenore segregata per troppi anni dietro il bancone di un supermercato, e un cuore che resta, comunque candido, aperto agli altri, al bene, alle mille meraviglie dell’Umanità e del Creato. A cui continuare a guardare sempre con gli occhi di un bambino. Che nel silenzio di un bosco può anche sentire, lui solo, gli alberi parlargli.

 

Giovanni da giovane

 

IL LAVORO

 

Giovanni Vitelli ha vent’anni appena quando conosce il primo, grandissimo, dolore della sua vita. Deve anche rimboccarsi le maniche a causa della prematura scomparsa, a soli sessantadue anni, del padre Emidio. Giovanni, nato e cresciuto dentro la parrocchia dei frati del Cuore Immacolato di Maria, ha già cantato nel presepe vivente di Castel Trosino e nelle voci bianche del Duomo. Niente di che. Però gli piace. E ci è portato. Il borgo incantato a strapiombo su Castellano e la Cattedrale ascolana sono destinate a ritornare, come vedremo, nella sua vita. «Da piccolo – ricorda – dentro al Duomo giocavo a nascondino all’interno dei confessionali o dietro l’organo, oppure sotto, nelle catacombe, persino dietro alla statua di Sant’Emidio». Ma ora è un uomo. Con grande senso di responsabilità interrompe i suoi studi al terzo anno delle superiori all’Istituto Tecnico Biologico, per cercarsi un lavoro con il quale sostenere la mamma Rita e la sorella maggiore Sabrina. Ora c’è da guadagnarsi uno stipendio sicuro, indispensabile per sopravvivere. Si occupa di assistenza agli anziani, prima di trovare occupazione dietro il bancone della gastronomia di un supermercato. «E’ un lavoro che ho sempre detestato – confessa Giovanni – che ho sempre odiato anche se mi dava da vivere. Ventidue anni a servire e sorridere ai clienti senza essere felice». Anni che reprimono il suo lato artistico senza riuscire a soffocarlo. «Mi hanno fatto sentire – spiega ancora Giovanni – per usare un paragone automobilistico, una Ferrari con il motore di una Cinquecento». Ha poco tempo e ancor meno risorse economiche a disposizione, da poterci investire, ma non molla.  Un capitolo buio della sua vita lo definisce. Che si conclude quando il supermercato dove lavora, nel 2019, abbassa le sue saracinesche per sempre.

 

Durante un concerto

 

IL BEL CANTO

 

Non tutti i mali vengono per nuocere. Cambia lavoro e prospettive. Si rimette anche a studiare. Concede più tempo al canto e alla musica adesso. Facendo sacrifici ha continuato a pagarsi per anni rette e lezioni di canto allo ”Spontini” con le maestre Rossella Marcantoni e  Angela Crocetti. Il maestro Ermanno Balducci, se n’è andato anche lui lo scorso anno, era nato ad Assisi, che non è un posto come un altro.

 

In mountain bike fino ad Assisi

 

Un luogo a cui Giovanni è molto legato. Insegnava all’associazione lirica “Mascagni” di Ancona, che Giovanni ha frequentato nella sezione distaccata di Porto Sant’Elpidio. «Dimenticati tutto quello che hai fatto finora – gli disse il maestro – tu hai un dono grandissimo. Raro. La tua voce. Che stai utilizzando solo al sessanta per cento. Il resto è rimasto ancora dentro di te».

 

Ora Giovanni Vitelli sta frequentando un corso di perfezionamento con la professoressa Corridoni, che ha aperto ad Ascoli una sezione del “Mascagni” di Ancona. «Negli ultimi anni – ci dice Giovanni – ho avuto una evoluzione della voce notevole. Sarà banale, ma mi sono sorpreso anch’io di possedere queste potenzialità inespresse».

 

L’associazione culturale “Il portico di padre Brown” lo lancia e lo vede crescere, ma non può certo catapultarlo verso la celebrità nazionale. Fra le quattro mura di Ascoli la vita per un artista è dura, e lui non naviga certo nell’oro. Stenta, ma non si arrende. Con un lavoro di giardiniere part-time deve mantenersi e pagarsi gli studi. Non rinuncia al canto, anzi, ma è una impresa arrivare a fine mese. Almeno fino a quando non gli si riaprono le porte della Cattedrale.

 

Canto in chiesa

 

LA SVOLTA

 

Giovanni cura giardini, e siepi, soprattutto. Immerso nel verde, nella Natura che adora come la Musica. A respirare gli aromi delle siepi che modella con maestria, il profumo dell’erba tagliata di fresco. Il suo lavoro di giardiniere ora però è diventato attività secondaria. Oggi Giovanni è un dipendente dell’Ente Cattedrale.

 

Ha, finalmente, un contratto a tempo indeterminato grazie a persone che hanno saputo leggere nel suo cuore, come don Angelo Ciancotti, don Luigi Nardi e il nuovo Vescovo Gianpiero Palmieri. «E’ una persona veramente in gamba – dice Giovanni di quest’ultimo – di profondo spessore umano. Aperta. Ma, soprattutto, umile. E’ il fratello, l’amico, il padre, che secondo me dovrebbe essere ogni Vescovo». Fa accoglienza turistica, ma del Duomo è anche custode e manutentore. Si occupa anche dei tanti turisti che arrivano a visitare il Battistero. Molti, anche docenti universitari, o esperti di storia dell’Arte, si stupiscono del suo conoscere e sapere. Con lui scoprono che Ascoli non è solo Piazza del Popolo e Caffè Meletti. Il Battistero ad esempio, in stile romanico, è un’opera di ingegneria e architettura medievale molto legata al simbolismo delle figure geometriche. Non si vive solo di tele e affreschi alle pareti insomma.

 

Qualche volta, quando glielo chiedono, canta anche per le comitive di turisti in visita improvvisando un piccolo show riservato a pochi e increduli fortunati. In cripta, o in Battistero, attinge al repertorio gregoriano. «Se continuo a cantare lo devo soprattutto a una persona – ci confida – quando ho perso prima la mamma e poi il lavoro, don Angelo Ciancotti è stato l’unico a starmi vicino. Un lavoro pian piano lo ritroveremo, mi diceva, ma l’importante è che tu continui a cantare e a studiare. E’ stato il mio sostegno quando pensavo all’idea di mollare tutto. E’ stato una persona meravigliosa”. Più di un fratello per Giovanni. Radici ad Arquata, nato in Germania figlio di emigrati fin lassù. Dalla parrocchia di Ripaberarda era approdato poi al Duomo. E’ morto due anni fa, a soli cinquantatrè anni. “Vieni qui quando hai voglia di parlare – gli diceva – io ci sto sempre…».

 

Accoglienza ai turisti in Duomo

 

I FAGGI DI BOSCO MARTESE

 

La passione per il canto che esplode nel silenzio di Bosco Martese. Non ci sarebbe musica senza montagne e montagne senza la musica, dice lui. «Ero completamente circondato da alberi altissimi – racconta – era giugno, e faceva caldo. Me ne stavo ad ascoltare la voce del bosco ed è stato come se i faggi mi dicessero: canta insieme a noi. Da quel giorno sogno di poter organizzare un mio concerto proprio lì, a Ceppo, dentro quel bosco che ha parlato alla mia anima. Dove sono state consacrate le due grandi passioni della mia vita, il canto e la montagna».

 

Con colleghi musicisti prima di una esibizione

 

Alle arie classiche preferisce le ballate celtiche, che adora. Si è messo a studiare anche la cornamusa, che presto «me la suono e me la canto insomma» ci scherza su, suonerà in scena. Ma i mille interessi di Giovanni Vitelli svariano, e cozzano anche. Il tenore ama scorrazzare sulle sterrate di campagna in mountain bike, in alta montagna scarpina e arrampica, in estate e in inverno. «Fatiche che aprono i polmoni – spiega lui – e aiutano la voce». Uomo di fede, nè fanatico religioso, né bigotto. «Credente e praticante il giusto» dice lui.

 

Durante un’arrampicata invernale

In bike anche in inverno

 

I GIORNI DA RICORDARE

 

Undici agosto di dieci anni fa. Concerto di musica celtica alla cava di Giuliano Giuliani a Colle San Marco. Una prima assoluta per una location destinata a divenire ambita. Mette insieme a fatica una piccola orchestra di strumentisti. «In Ascoli – ricorda – all’epoca nessuno mi dava credito. Fui costretto a reclutare musicisti altrove. Il violinista era di Senigallia,  l’oboista di Grottazzolina, il pianista di Montorio al Vomano, io ero l’unico ascolano. La nostra città, sai, e un po’ chiusa». Al Comune chiede palco e sedie. Gliene offrono 200. Lui risponde che sarà una fortuna se ne riusciranno a riempire la metà. Ce ne sarebbero volute invece più di 500. Saliti per guardare le stelle cadenti, dal pianoro migrarono in tantissimi infatti verso la cava, richiamati dalla musica e dalla sua voce.

 

Un successo che si meritò la replica, voluta dall’allora sindaco Castelli, un mese dopo, in Piazza del Popolo in concomitanza con la Tenzone Aurea degli sbandieratori. Grazie a Pina Traini e al Portico di padre Brown ha avuto modo di esibirsi anche davanti a tutto lo staff della sala stampa vaticana. Anche a Comunanza ha trovato persone che hanno creduto in lui. Rapporti umani che valgono molto di più di un ricco cachet. Vi ha trovato attenzione e partecipazione.

 

Affetto sincero che ti fa sentire, alla fine, uno di loro. «Da tre anni torno in questo paese che tutti considerano sperduto di montagna – confessa Giovanni – ma che invece conserva un autentico tesoro nella chiesa di Santa Caterina. Un doppio organo barocco del 1500. Un capolavoro di arte organaria. Uno spettacolo di valenza europea nel suo genere. Vi abbiamo organizzato messe cantate e concerti, spettacoli all’aperto e serate dedicate alla poesia, alle romanze e alla musica celtica.  Ho potuto esibirmi accompagnato da organisti di fama internazionale. E la gente di quei luoghi ha sempre risposto con calore e grande partecipazione difficilmente riscontrabili altrove».

 

Davanti ad un antico organo

 

ARQUATA NEL CUORE

 

La voce di Giovanni Vitelli è risuonata anche sulle piste di sci e lungo i sentieri escursionistici di mezza Italia. Ispirazioni e improvvisate nate spontanee alla partenza di funivie o dall’alto di punti panoramici. Ha trovato voce e voglia di cantare, nel 2018, anche al Capanna Margherita, il rifugio più alto d’Europa, a 4.556 metri di quota sul massiccio del Monte Rosa. «Dopo una scarpinata mozzafiato in tutti i sensi – racconta Giovanni – molti avranno pensato che fossi arrivato lì in elicottero, o fossi sotto l’effetto di qualche bicchiere di troppo. In realtà quel giorno, il 24 agosto, portavo con me la maglietta simbolo di Arquata, sfregiata due anni esatti prima dal sisma. “Il coraggio non trema” c’era scritto sopra.

 

Al rifugio “Capanna Margherita” con la maglietta di Arquata

 

Era il secondo anniversario del tragico terremoto che l’aveva colpita, ed io volevo in qualche maniera partecipare alla commemorazione, anche da lassù. Sono stato fra i primi volontari della Protezione Civile accorsi a scavare fra le macerie quella notte. Una zona, l‘arquatano, dove avevo anche cantato in tante manifestazioni negli anni precedenti, come il Guerrin Meschino e la Discesa delle fate. Scavare febbrilmente, a mani nude, nel tentativo di salvare vite è stato niente al confronto della cerimonia funebre vissuta dentro quella palestra, con tutte quelle bare allineate sul pavimento. Un dolore che mi porterò dentro per sempre. Ritrovarmi a cantare anche durante quei i funerali di stato fu una esperienza devastante. Non fu facile tirare fuori la voce e riuscire a non farla spezzare dalla commozione e dalla rabbia per tutte quelle vittime innocenti».

 

IL SOGNO AVVERATO

 

Questa estate è stato ospite al Morro Fantasy di Morrovalle e al Fiastra Fantasy sull’omonimo lago. Lui e il suo musicista con la cornamusa in kilt scozzese in performances itineranti. Ha cantato ai matrimoni, e continua a farlo con piacere. Soprattutto quelli di coppie miste italo-irlandesi e italo-scozzesi, continuando a meritarsi i complimenti dei britannici di lingua madre. Anche se adesso, a quarantacinque anni, le manifestazioni più prestigiose cominciano a contenderselo. «Con la Compagnia dei Folli – racconta – ho vissuto di recente una esperienza fantastica grazie a MarcheStorie.

 

All’ultima “MarcheStorie” di Castel Trosino

 

Li seguo da quando ero bambino e loro erano già gli animatori delle feste medievali di Castel Trosino. Tornare proprio in quel borgo affascinante per esibirsi insieme a loro, è stato per me il coronamento di un sogno. Carlo Lanciotti mi aveva già contattato in passato, ma i miei impegni di lavoro mi avevano precluso ogni partecipazione. Non mi interessano i talent oppure le grandi ribalte televisive. Prediligo le manifestazioni che profumano di storia e di tradizioni. Voglio cantare e suonare in mezzo alla gente, all’aria aperta, sotto le stelle. Come fanno i Folli».

 

Al portone di ingresso a Castel Trosino

 

SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..      

                                                           

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