Il Sentiero della Memoria: da Colle San Marco a Colle San Giacomo, sulle orme dei partigiani
ASCOLI - Provincia e Amministrazione comunale hanno patrocinato “Colle San Marco 80 anni fa. Protagonisti e fatti”, una serie di eventi messi a punto da Anpi e Isml per l’80° anniversario dei fatti di Colle San Marco dell’ottobre 1943 che portarono, insieme con altri accadimenti, alla creazione di una coscienza nazionale che si estrinsecò nella lotta per la Liberazione. Rivediamo gli eventi ascolani, prendendo lo spunto dalla presenza, nella località, del Sentiero della Memoria, un itinerario escursionistico dedicato proprio agli avvenimenti di allora
Le tre croci metalliche che ricordano il sacrificio dei giovani caduti nello scontro con i tedeschi (foto G. Vecchioni)
di Gabriele Vecchioni
La città e la provincia di Ascoli sono insignite di medaglia d’oro al valor militare per i meriti acquisiti per le attività partigiane contro gli occupanti tedeschi, a partire dal 1943. Proprio ad Ascoli si ebbe il primo caduto, un giovane civile ucciso in combattimento dai tedeschi e sulla Montagna dei Fiori il “Sentiero della Memoria” ricorda il sacrificio di tanti giovani che offrirono la loro vita per la libertà.
L’ormai tradizionale “Festa della Caciara 3 ottobre 1943” tenutasi l’1 luglio
I movimenti di lotta contro il nazifascismo nacquero nel 1943, quando era imminente la liberazione del resto del Paese da parte degli Alleati. Invece di aspettare l’evolversi prevedibile della situazione, molti sentirono l’esigenza morale di opporsi in armi alle forze di occupazione. Non vanno poi dimenticati i circa 650.000 militari italiani che dissero di no alla Wehrmacht, preferendo la via della prigionia in un campo di concentramento alla collaborazione con l’esercito tedesco: erano i Kriegsgefangenen – i prigionieri di guerra – o, in linguaggio burocratico, gli “Internati Militari Italiani” (Imi), fuori da ogni convenzione internazionale e tutela della Croce Rossa: 50.000 di essi non avrebbero fatto ritorno.
Il sentiero “moderno” termina nei pressi del cippo commemorativo. La vista verso ovest (foto G. Vecchioni)
Nel territorio della Montagna ascolana numerosi sono i luoghi che videro le gesta dei partigiani, da Monte Vena Rossa al Colle della Luna, e la reazione violenta dei tedeschi, anche contro civili inermi, come a Pagliericcio, sul versante orientale della montagna. La dirimpettaia Montagna di Campli, invece, non ha visto scontri a fuoco ma per la “vicina” Alta valle del Vezzòla e il Monte della Farina passavano i sentieri percorsi dai combattenti per la libertà del Teramano fino al “santuario partigiano” del Bosco Martese. Per inciso, anche la città di Teramo è decorata con la medaglia d’oro per le attività partigiane nel corso della guerra di Liberazione.
Gli scontri più importanti avvennero proprio sulle coste della Montagna dei Fiori dove, nel corso dei combattimenti con le truppe tedesche, caddero numerosi partigiani (35 furono i morti – dei quali 4 civili, testimoni degli eventi – ma nel Piceno i caduti furono quasi 300). La lotta non risparmiò, oltre alle vite umane, vestigia storiche: a San Giacomo, i resti del convento di San Francesco, poi Casa Doganale dello Stato Pontificio, crollarono a causa del brillamento di mine (le macerie sono ancora lì, ottant’anni dopo il fatto).
La capanna di pietra (ricostruita) quasi al termine dell’itinerario fa da sfondo a un’intervista a William Scalabroni da parte di una giornalista del Tg3 Marche
Il sentiero della memoria, dedicato alla lotta partigiana, inizia dal Pianoro del Colle San Marco, imponente altopiano tabulare di travertino, che si erge a sud della città di Ascoli Piceno, dominandola dall’alto dei suoi quasi 700 m di altitudine, ricoperto da una lussureggiante vegetazione di boschi misti, di querce e di castagni, con estese superfici rimboschite.
Il sentiero ripercorre il cammino seguito dai partigiani piceni, nel corso della lotta di Liberazione, per raggiungere i luoghi da presidiare. Qualche tempo fa (2008), con questo stesso titolo, fu edito un volumetto da parte di William Scalabroni e Marco Morganti. William Scalabroni, in particolare, era un personaggio che può essere definito la “memoria storica” dei tragici eventi; impegnato attivamente nella tutela dell’ambiente montano e non solo; a lui – scomparso nel 2018 – è intitolata la sezione ascolana di Italia Nostra. William, quando raccontava di quei tempi, usava un’espressione desueta, li chiamava “tempi di macchia”, lo stesso termine usato dai resistenti francesi (i maquisards, nome derivato da maquis, la macchia, la boscaglia), quasi a legare indissolubilmente alle zone montane la lotta partigiana contro l’occupante e i suoi fiancheggiatori.
Panorami lungo il sentiero. In alto i Monti della Laga innevati; in basso la catena dei Sibillini con, in primo piano, l’area di Monte di Rosara (foto P. Giordani)
Tornando al Sentiero, Franco Laganà, allora presidente della sezione ascolana del Cai scrisse che «… percorrendolo, il sentiero trasmette non solo nozioni storiche e ambientali ma anche emozioni. Da questo punto di vista, il “sentiero della memoria” ricorda i “sentieri della pace” dolomitici, nati di recente come trasformazione dei sentieri storici sui luoghi della Grande Guerra, con l’intento di recuperare, non solo la memoria dei tragici fatti del passato, ma anche di diffondere i valori universali di pace e di libertà».
L’itinerario escursionistico, segnalato dai caratteristici segnavia bianco-rossi e munito di tabelloni esplicativi, si dipana dal Pianoro di Colle San Marco (dal monumento ai Caduti della Lotta di Liberazione contro gli occupanti tedeschi) fino al cippo che ricorda il sacrificio dei partigiani caduti in combattimento, subito sotto Colle San Giacomo. Del Sentiero, un percorso facile e frequentato, hanno scritto in molti; non ci dilungheremo, quindi, nella descrizione dell’itinerario, che sale nel bosco costeggiando il Fosso Gran Caso; esamineremo solo qualche emergenza che si incontra camminando (a partire dal Pianoro).
Lungo il sentiero. Sullo sfondo, oltre l’Ascensione, il panorama si apre fino al Conero (foto G. Vecchioni)
La prima è la casa conosciuta come de Piccarusce, il termine dialettale che si dà al picchio; in questo caso, era il nomignolo dato al proprietario della casa. È qui che i soldati tedeschi, guidati nella ricerca da militi fascisti, uccisero con due colpi di rivoltella a bruciapelo il giovane partigiano Carlo Grifi che lì riposava febbricitante; l’edificio fu incendiato (per punire il “reato” dell’accoglienza) tra il terrore dei presenti, alcuni dei quali erano bambini.
Un altro “incontro” poco più a monte, subito sotto la sterrata: le rovine di una caciara che, nonostante sia parzialmente diroccata, è quasi un modello didattico, una sezione sagittale che permette di apprezzare la tecnica costruttiva di questi manufatti. Dopo aver incontrato il serbatoio del vecchio acquedotto che serviva la città, il sentiero prosegue, delimitato da muretti di pietra a secco alzati per sostenere piccole aree da coltivare e arriva a un’altra caciara, in buone condizioni di conservazione: si tratta di una capanna della tipologia primaria ogivale, caratterizzata dalla forma cuspidata del mantello esterno.
Si segue il sentiero segnato e dopo un po’ si arriva a una terza caciara, quella che fu rifugio per i partigiani Cellini e Panichi la notte prima dello scontro di Vena Rossa, come descritto da Scalabroni e Morganti nel libro citato. Si prosegue e si trova, a lato del sentiero, una quarta capanna di pietra, di grosse dimensioni (ha un’altezza di circa 3 metri) e poi si arriva ai prati e nella macchia del pianoro sommitale delle Vene Rosse, conosciuti dai locali come Piane ‘ranne (Piano grande).
Lungo il sentiero (foto G. Vecchioni)
Il sentiero passa sul bordo roccioso che guarda il versante orientale della Montagna dei Fiori, fino a raggiungere il limite delle Vene Rosse, dove è posizionata una grossa croce di legno, a ricordo dei tragici avvenimenti dell’ottobre 1943. Proprio qui avvenne l’ultimo, impari scontro, tra le truppe tedesche (il Fallschirmjäger Regiment, paracadutisti della “Herman Goering” provenienti da Salerno), e una squadra di partigiani costituita da Serafino Cellini, Narciso Galiè e Alessandro Panichi, rimasti a presidiare la zona. I tre, armati di bombe a mano, mitragliatrice e fucili, pur sapendo di essere circondati e senza scampo, anziché arrendersi o fuggire, decisero di combattere fino all’ultimo; lo scontro durò circa due ore e solo quando rimasero senza munizioni i partigiani furono sopraffatti dai militari tedeschi. La loro resistenza permise al grosso del gruppo di ritirarsi in zone più sicure e salvare la vita; i tre furono insigniti di due medaglie d’oro e una d’argento al valore militare per attività partigiana. Nei pressi, a circa 30 m, tre croci metalliche nel rado querceto ricordano il loro eroico sacrificio.
I tragici avvenimenti sono ricordati da un cippo commemorativo, un semplice blocco monolitico di travertino con incisi i nomi dei caduti, che si trova in prossimità della strada provinciale che collega Colle San Marco a Colle San Giacomo, all’imbocco della pista che conduce alle Vene Rosse; vicino al cippo, un tabellone esplicativo ricorda l’evento. In città, la data dello scontro è ricordata dall’intitolazione (Via 3 Ottobre) del viale che collega la città col Pianoro.
Escursionista presso la prima caciara che si incontra lungo il sentiero (foto G. Vecchioni)
Una riflessione. L’anniversario della Lotta di Liberazione produce ogni anno vuote polemiche (periodicamente, vengono imbrattati con vernice nera e con slogan da ultras da stadio i cartelli indicatori), probabilmente perché i drammatici avvenimenti sono storia ancora troppo recente per essere stata interiorizzata nella sua piena valenza umana e sociale. È vero che sono passati ormai ottant’anni dai fatti… ma teniamo presente che, per contestare gli eventi che portarono all’unificazione nazionale, ancora si fanno riunioni di nostalgici dei Borbone (e in questo caso di anni ne sono passati più di 160). Celebrare due “Medaglie d’Oro al Valor Militare per attività partigiana”, conferite alla Provincia e alla città di Ascoli, non vuol dire, però, far torto a qualcuno: il sentimento di pietà si deve a tutti i morti; la memoria dei fatti va conservata come un patrimonio unitario, senza distinzioni di parte, al quale guardare come elemento fondante della nostra democrazia. Rievocare quei tragici eventi è un dovere per tutti, anche per quanti, ancora oggi (ripetiamo, dopo 80 anni dai fatti!), non si riconoscono nelle lotte partigiane; basterà ricordare quello che ne è scaturito: i valori della vita e della libertà del popolo.
Il monumento ai Caduti sul pianoro di Colle San Marco (foto P. Giordani)
William Scalabroni diciassettenne all’epoca dei fatti del Colle San Marco
La copertina del volumetto di Scalabroni e Morganti dove si ricordano gli eventi della Lotta di Liberazione