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Un libro di Antonella Roncarolo riapre il caso del naufragio del “Rita Evelin”: tanti i misteri non risolti dopo 17 anni

SAN BENEDETTO - Il 26 ottobre 2006 avvenne il misterioso naufragio del motopesca sambenedettese che portò con sé la vita di tre marittimi. Tra ritardi, inefficienze e un accenno di sommossa a terra, i corpi delle vittime vennero recuperati dopo molti giorni, mentre il relitto giace ancora in fondo al mare. Ma da allora i "misteri" relativi alla vicenda non sono stati chiariti
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di Pier Paolo Flammini

 

Nella notte del 26 ottobre 2006, il motopeschereccio sambenedettese “Rita Evelin” affondò misteriosamente, a circa 20 miglia al largo fra Pedaso e Porto San Giorgio, «sotto un cielo stellato», ricorda Antonella Roncarolo, giornalista e scrittrice che ha appena pubblicato il libro “Quel silenzio in fondo al mare – Il naufragio nel mare Adriatico del motopeschereccio Rita Evelin“.

 

Antonella Roncarolo

Un viaggio, dunque, che si addentra in una delle vicende più inquietanti della storia, recente e non solo, della pur tormentata storia della marineria sambenedettese. Ma quanto accadde sconfina oltre le vicende cittadine. Perché quel giorno persero la vita Francesco Annibali, Luigi Luchetti e Ounis Gasmi, rimasti intrappolati nell’imbarcazione colata improvvisamente a picco. L’unico superstite, il capitano Nicola Guidi, fu tratto in salvo da un motopesca pugliese, il “Luna Nuova” e condotto in giornata al porto di San Benedetto: «Ho sentito un grande boato» sarebbero state le prime parole dette da Guidi negli uffici della Capitaneria di Porto, appena sbarcato.

 

Come nasce l’idea di scrivere una storia, certamente letteraria, ma basata sulla ricostruzione dei fatti avvenuti da quel 26 ottobre 2006 fino a venerdì 17 novembre 2006, giorno dei funerali di Francesco Annibali?

 

«È stato lo storico sambenedettese Giuseppe Merlini a mettermi in contatto con Giovanna Scolastici, cugina di Francesco Annibali. Anche se in via di principio non amo raccontare storie realmente avvenute, Giovanna mi ha convinto a tornare su quella vicenda. Aveva una dettagliata rassegna stampa e ringrazio i tanti giornalisti che all’epoca hanno seguito da vicino tutti gli eventi».

 

La storia ha uno svolgimento diaristico, attraverso il punto di vista proprio della cugina di Francesco, Giovanna.

«C’era la necessità di far rivivere quelle emozioni, quella rabbia, seguita all’affondamento e alle innumerevoli difficoltà sopravvenute per il recupero dei corpi e del relitto che, non dimentichiamolo, giace tutt’ora in fondo al mare, a 80 metri di profondità, e probabilmente contiene con sé una possibile spiegazione di quanto avvenuto».

 

L’affondamento misterioso dà adito a molte congetture, che circolano tra la marineria e in qualche modo vennero veicolate dalla stampa dell’epoca. Cosa che poi venne amplificata dai ritardi nel recupero dei corpi e dello stesso motopeschereccio. A San Benedetto si sfiorò una sommossa popolare…

«Ho usato lo strumento narrativo, invece che quello di inchiesta giornalistica, anche perché consente di elaborare pensieri su quanto accaduto senza la necessità di avere una precisione giornalistica. Perché, di fatto, non possiamo sapere esattamente cosa è accaduto. Possiamo basarci su qualche testimonianza dell’unico sopravvissuto, o su ipotesi al momento non comprovate e non comprovabili. Specie se il relitto resta dove si trova».

 

Si parlò inizialmente di una “presura“, ovvero un incaglio della rete da pesca sul fondo marino, cosa poi smentita dal ritrovamento intatto delle reti. Altri immaginavano una tenuta non perfetta del Rita Evelin, il quale, tuttavia, aveva superato le verifiche obbligatorie. Fra la marineria e la stampa locale, addirittura, si parlò di un incidente con un sottomarino. 

«Tutte ipotesi non dimostrabili, e che restano a livello di supposizione fantasiosa: nel mio libro si parla anche di questo, così come delle incongruenze e delle perdite di tempo per inefficienza e burocrazia nelle operazioni di recupero. Ma da allora nulla è cambiato».

 

In che senso?

«Nei momenti di crisi economica i tagli vengono sempre fatti sulla sicurezza sul lavoro. E il lavoro in mare è appunto un lavoro, una imbarcazione è una piccola fabbrica. Nei mari del Nord Europa i marinai indossano delle tute che in caso di caduta in acqua diventano galleggianti e mantengono caldo il corpo per 48 ore. Per non parlare del pontone per recuperare i relitti. Ancora oggi la Marina italiana non ne ha uno di proprietà e quindi si deve rivolgere a ditte esterne per noleggiarli, sempre se sono disponibili. Credo che non sia più tollerabile: basterebbe avere un elicottero da guerra in meno…».

 

Il tuo libro sta già suscitando interesse in città e non solo. Cosa speri avvenga attraverso la sua lettura?

«Con questo libro auspico che si torni a parlare di questa vicenda, letteralmente sommersa dall’oblio, così come il Rita Evelin in fondo al mare. Che si muovano le istituzioni, in un modo che non sta a me indicare, e che magari riparta un giornalismo di inchiesta. Il 17 novembre, data scelta proprio perché fu il giorno dei funerali di Francesco Annibali, presenteremo il libro a Palazzo Piacentini. Sarà un appuntamento per rilanciare ulteriormente il “caso Rita Evelin“».


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