di Luca Capponi
«Il 19 ottobre di 55 anni fa tenevo il primo concerto, a Forlì. Cantavo di libertà, speranza, amore, le stesse che canto adesso e che non sono mai avvenute».
Nessuno la scambi per disillusione. O per una resa. No. Roberto Vecchioni, a 80 anni, è ancora lì. Sullo stesso palco, a dispensare parole, note, magia, lacrime e sorrisi. Perché gli artisti, forse, «non valgono niente, non alzano il Pil, ma sanno regalare emozioni».
E lui, nonostante citi come esempi i vari Van Gogh, Leopardi, il padre Aldo, fa parte proprio di quella benefica schiera. Qualora si avesse bisogno di conferme a proposito, Piazza del Popolo se ne è accorta nuovamente nella serata di mercoledì 18 ottobre, quando l’artista ha ammaliato e commosso i 4.000 spettatori accorsi al concerto gratuito organizzato dal Comune.
Dopo quella con Max Gazzè di venti giorni fa, è stata un’altra festa della musica. Tra poesia, monologhi, momenti ironici e soprattutto canzoni, il cantautore lombardo ha snocciolato i successi di una vita, dal trittico di chiusura “Chiamami ancora amore”, “Luci a San Siro” e “Samarcanda” fino ai brani dell’ultimo bellissimo album “L’infinito”, passando per “Sogna ragazzo sogna”, “Le mie ragazze” e “Bandolero stanco”.
In mezzo, storie e suggestioni di una vita. “L’uomo che si gioca il cielo a dadi“, dedicata al papà Aldo («Il mio grande maestro, forse quello con cui ho parlato ma da cui ho imparato di più. Una volta, dopo avere visto un cartello fuori da un bar di Milano con la scritta “Vietato l’ingresso agli animali e ai terroni”, si presentò alla porta sopra a un cavallo preso in affitto»), “Ogni canzone d’amore” per la moglie Daria («Lei è tutte le donne del mondo insieme») fino alla preghiera per il figlio Edoardo, malato di sclerosi multipla, per cui ha scritto la commovente “Le rose blu”.
«Questa piazza è meravigliosa, l’uomo è questo che sa fare e non le cose brutte che ascoltiamo ogni giorno. Ascoli è una delle città più antiche d’Italia, che ha lasciato un’impronta nella storia. Se è così bella, è perché anche i suoi abitanti lo sono», dice Vecchioni.
I ricordi volano alti che è impossibile raccontarli tutti; quando passò tre giorni in carcere a Marsala, per un errore, e la prima moglie lo lasciò per un altro, o quando ha deciso di scrivere “Cappuccio rosso” per la guerrigliera curda Ayse, morta per mano dell’Isis, simbolo di tanti popoli sterminati. E delle donne coraggiose, tenaci, creature uniche che Vecchioni non smette di cantare con una dolcezza rara e per certi versi fuori moda. Anche quando, stupidamente, vogliono imitare gli uomini snaturando la propria meraviglia, come in “Voglio una donna”.
«Quando mi chiamano per consegnarmi premi alla carriera, mi tocco i coglioni: io sono a metà carriera, altro che fine».
E al termine, dopo oltre un’ora e mezza di live finito tra gli applausi scroscianti, diventa davvero impossibile dargli torto.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati