di Pier Paolo Flammini
Il 26 ottobre 2006, in una notte di “cielo stellato” e “mare bunazze“, il motopesca Rita Evelin andava a fondo al largo della costa di Porto San Giorgio, trascinando con sé i corpi di Francesco Annibali, Ounis Gasmi e Luigi Luchetti. Unico sopravvissuto il comandante Nicola Guidi.
A distanza di 17 anni, questa mattina è stata posta una lapide a ricordo di quei tragici fatti, nel tratto del Molo Nord del porto di San Benedetto dove altre lapidi ricordano, purtroppo, le vittime dei naufragi in mare.
Erano presenti i familiari dei tre marittimi morti in quell’occasione, in una vicenda che già all’epoca portò a una sollevazione della marineria e della popolazione sambenedettese per i ritardi con cui i corpi vennero recuperati dal relitto del Rita Evelin, tutt’ora sul fondo marino, a circa 80 metri di profondità. Ritardi che impedirono, all’epoca, di recuperare il relitto e avere maggiori indicazioni sulle cause di un affondamento che restano tutt’ora misteriose, essendo avvenute in condizioni marine ideali.
Presenti, alla cerimonia, anche il vicesindaco di San Benedetto Tonino Capriotti, il Comandante della Capitaneria di Porto Alessandra Di Maglio, il rappresentante dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Centrale Guido Vittorel, Giuseppe Merlini, direttore dell’Archivio Storico Comunale, Gino Troli, presidente del Circolo dei Sambenedettesi, don Guido Coccia, parroco della Chiesa di San Benedetto Martire.
Presenti anche gli ex sindaco Pasqualino Piunti e Paolo Perazzoli, l’ex assessore alle Politiche del Mare Filippo Olivieri. Presente anche la scrittrice Antonella Roncarolo, tra i principali promotori dell’iniziativa: di recente ha pubblicato il libro “Quel silenzio in fondo al mare – Il naufragio nel mare Adriatico del motopeschereccio Rita Evelin“, con il quale si ricostruiscono in forma narrativa i fatti di quei giorni.
«Ricordo bene cosa avvenne – afferma Wadia Gasmi, oggi 34 anni, figlio di Ounis – Io sono l’unico dei figli che ha deciso di continuare la vita in mare di mio padre. Mi capita spesso di passare con l’imbarcazione nei pressi del punto dove si trova il relitto del Rita Evelin, e provo un grande dolore. Non ce l’ho col mare, perché quella è una tragedia che non ha a che fare con le condizioni del mare, anche se non ho idea di cosa sia avvenuto. L’ultima volta che ho visto mio padre eravamo in Tunisia, dove vivevamo con mia madre all’epoca. Era felicissimo perché dopo tre maschi aveva avuto una figlia femmina, e facemmo una grande festa».
Giovanna Scolastici, cugina di Francesco Annibali, ha detto: «“Resta il dolore, resta che abbiamo sempre cercato di sapere la verità che è rimasta in fondo al mare. Resta la speranza che quel che è accaduto non succeda più, perché abbiamo 21 giorni al porto in attesa di riavere i corpi e fu molto doloroso».
Lorena Annibali, sorella di Francesco: «Non so e non saprò mai quello che è accaduto. L’ultimo ricordo di mio fratello è della domenica sera, prima di imbarcarsi: Mi disse “fai la brava, aiuta i tuoi genitori”, a mio padre ha detto “fai il bravo”, a mia madre ha detto “mamma, io vado via”, poi è tornato indietro e ha detto “mamma, dimmi una preghiera”, poi il giovedì non è tornato in terra come sempre».
«Siamo qui per ricordare un fatto tragico – ha concluso don Guido Coccia – Ma siamo qui anche per ricordare la vita di quelle persone e di fa ricordare a tutti le storie della marineria sambenedettese».
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