di Lino Manni
San Martino diede un pezzo di mantello ad un povero seminudo. L’Ascoli ha regalato l’intera posta della partita, i tre punti, al Como. L’estate di San Martino dura tre giorni, le riflessioni dell’Ascoli quindici. Sì, perché ora c’è la sosta, che forse arriva in un momento propizio. Una occasione per rielaborare quanto accaduto, quello che si è fatto fino ad ora e quello che si dovrà fare. Festeggiati nel peggiore dei modi i 125 anni di storia bianconera e il compleanno del patron Pulcinelli. Se a San Martino ogni mosto diventa vino, ora è certo che l’Ascoli non è diventata la squadra che sperava che fosse. L’Ascoli non gioca male… non gioca proprio.
Un primo tempo da vero incubo in cui non si è mai tirato in porta. Alla prima occasione prendi gol, come al solito. Poi non hai la forza e quello che hanno urlato i tifosi dalle tribune, per reagire. Non si può affidare la costruzione del gioco ai due centrali di difesa: loro devono fare altre cose. E poi i piedi sono quello che sono. Centrocampisti evanescenti: Giovane corre come un dannato ma senza meta, Di Tacchio cerca l’avversario da contrastare ma non lo trova mai, o quasi. Caligara… meglio lasciar perdere. Gli attaccanti vagano nel deserto in cerca dell’oasi.
Nella ripresa un po’ meglio anche perché era difficile fare peggio di quello fatto nei primi quarantacinque minuti. A fatica l’Ascoli riesce a fare qualche tiro in porta. L’entrata di “trottolino” Rodriguez vivacizza la partita, spronando i compagni a dare di più. Lo spagnolo potrebbe anche fare gol ma il suo tiro è una carezza per il portiere del Como. Ci provano anche Falasco e Di Tacchio ma non è domenica (infatti è sabato).
Alla fine la regola del “non c’è due senza tre” è rispettata. Per l’Ascoli la terza sconfitta di fila, settima in tredici partite. Peccato per le maglie celebrative. Ma anche qui devo fare un appunto: a quei tempi sulle maglie i numeri andavano da 1 a 11.
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