di Walter Luzi
Carlo Sembroni sulla materassina della lotta ha passato, ininterottamente, gli ultimi cinquantasette anni. Un’amore mai tradito. Da agonista è l’ascolano più titolato di sempre, e anche da allenatore molti dei suoi allievi, in questo sport, hanno mantenuto la frequentazione dei vari podi nazionali. A settantacinque anni continua a passare molte delle sue giornate nella palestra di atletica pesante di Via De Dominicis. Qui, insieme al figlio Alberto, perpetua la gloriosa tradizione della lotta ascolana, in mezzo a tanti giovani e giovanissimi, ragazzi e ragazze, entusiasti praticanti di questa dura disciplina che i Greci antichi chiamavano ortophale. Uno sport che richiede sacrificio e che insegna il coraggio. Fatto di forza e agilità. Riflessi pronti e audacia. Sudore e determinazione. Pane per i denti di Carlo Sembroni, anche se ancora non lo sapeva, quando varcò per la prima volta, insieme ad una amico, nel 1966, la soglia della palestra di Via Dino Angelini, dove si allenavano i lottatori del Gruppo Sportivo dei Vigili del Fuoco. Era attigua alla vecchia caserma dei pompieri. Il loro allenatore si chiamava Emidio Lazzarini.
LOTTATORE PER CASO
«Interruppe la seduta di allenamento – ricorda Carlo – quando ci vide sulla soglia, e ci apostrofò bruscamente. E voi due che ci fate qui? Volete provare? Toglietevi le scarpe e venite a lottare. Non credevo alle mie orecchie, perchè in realtà ci eravamo affacciati sulla porta solo per curiosare. Ma come? Risposi. Subito? Così? Siamo pure vestiti. Ma ci convinse alla fine. Io mi difesi anche bene contro dei ragazzi già preparati. Capii tempo dopo che una delle caratteristiche di Lazzarini era proprio quella di saper giudicare a prima vista chi poteva avere i numeri per riuscire in questo sport. Alla fine di quella prova mi disse di tornare il giorno dopo, che avrebbe parlato con mio padre, perchè essendo di Mozzano anche lui, lo conosceva bene. Io dimostravo in effetti anche meno dei miei sedici anni, e lui si sentì in dovere di garantire anche con la mia famiglia. Cominciò quel giorno la mia lunga avventura nel mondo della lotta. Quattro mesi dopo vincevo infatti il mio primo campionato italiano nella categoria Juniores».
Carlo Sembroni entra subito nel giro della Nazionale, grazie alla convocazione per una gara internazionale contro la Jugoslavia. Ne farà continuativamente parte per oltre un decennio facendo sempre onore ai colori del G.S. “Vichi” dei Vigili del fuoco di Ascoli.
IL GRUPPO SPORTIVO “NICOLA VICHI”
Ha dato lustro come pochi altri allo sport ascolano. Orgoglio del locale corpo dei Vigili del fuoco, era stato fondato dal comandante Morici, ed aveva iniziato la sua attività già nel 1960 assorbendo due gruppetti di praticanti questo sport già esistenti in città. Sotto la guida carismatica di Emidio Lazzarini aveva iniziato presto a mietere allori nazionali nelle prime serie e a livello giovanile. Il primo a fregiarsene fu Emidio Lupini, e, successivamente, in più categorie, Vincenzo Vallorani, Antonio Tosti, Emidio Ciannavei oltre a Carlo Sembroni, che furono i portacolori più titolati. Ma anche tanti altri riuscirono a salire sul gradino più alto dei podi tricolore. Come Mario e Luigi Ferranti, Benito Massi, Mario Accorsi, Gino Maravalli e Bruno Palombini fra gli altri. Il “Nicola Vichi” di Ascoli ha ottenuto inoltre brillanti risultati, nel corso degli anni, anche grazie a Saulo Bastiani, Giovanni Celani, Mauro Proietti, Federico Fortini, Edo Rosati.
Quando vi approda Carlo Sembroni fra i suoi primi compagni di squadra trova Antonio Tosti, Emidio Ciannavei, Mario Ferranti detto “Pacca”, Dalmazio Salvati, Marozzi, Enzo Viozzi, e Vincenzo Vallorani. «Eravamo pochi, ma buoni – ricorda Carlo Sembroni – il nostro maestro e allenatore, Emidio Lazzarini, non era un vigile del fuoco, ma era un uomo tutto di un pezzo. Deciso, tosto ma affabile». I tempi, e i mezzi, sono quelli che sono, e così ci si arrangia aguzzando l’ingegno.
LA SAUNA DEL FORNO VOLPONI
«Il calo peso si faceva senza mangiare – ricorda sempre Sembroni – e il forno Volponi, vicino a piazza San Tommaso, era la nostra sauna fatta in casa. Al piano interrato aveva infatti un localino angusto situato proprio sotto il forno. Lì dentro c’erano cinquanta gradi fissi di temperatura a nostra disposizione e il titolare era sempre ben lieto di ospitarci. Una sauna naturale di lusso. Oppure, in alternativa, dopo la ginnastica, si stava avvolti nelle coperte a sudare davanti alle stufe accese».
Ma Lazzarini aveva anche altre sue ricette personali per far rientrare rapidamente i propri ragazzi nel peso. «Una volta – racconta – dovevamo assolutamente perdere un chilo in un giorno per rientrare nel peso. Era dicembre e faceva freddo. Lazzarini ci portò di notte, a me e Tosti, a correre su e giù per il colle dell’Annunziata ma non c’era verso di scendere, e l’ora di inizio della gara, un triangolare con Faenza e Napoli, si avvicinava. Allora ci portò a casa sua, dove sua moglie ancora stava dormendo. Ci portò nel suo bagno di casa e riempì la vasca di acqua bollente. Dentro! – ci disse – ma l’acqua scottava troppo. Tanto da non riuscire ad entrarci. Lui si arrabbiò anche per questo. Dai! Non c’è tempo da perdere. Entrate dentro la vasca! continuava a strillarci.
Alla fine ci immergemmo ma ci sentivamo quasi svenire dalla forte calura. Lui prese allora un asciugamano imbevuto di acqua fredda e ce lo posò sulla testa per darci un pò di sollievo. Fu veramente dura resistere immersi lì dentro, ma la cosa funzionò. Alla pesa raggiungemmo, qualche ora dopo, grazie a quel modo ideato da Lazzarini, i 55 chilogrammi, e facemmo pure una bella gara nonostante la nottata in bianco».
IN NAZIONALE
Carlo Sembroni, classe 1948, interrompe i suoi studi dopo due anni di Industriali. Nel 1970 vince il concorso per entrare nel corpo dei Vigili del fuoco. Prima destinazione Milano. Quindi, due anni dopo, il trasferimento ad Ascoli dove presterà servizio fino alla pensione. E’ giunto il momento di sposare, nel 1972, la sua Serafina. Che gli darà due figli, Alberto nel 1973 e Rosangela nel 1977. Ormai figura in pianta stabile nel giro della Nazionale.
Milita nella categorie Mosca, Gallo e Piuma, e combatte sia nella libera che nella greco-romana. Il suo primo allenatore in azzurro è un turco. Si chiama Boiturum. Quando decide di tornarsene in Turchia gli subentra il romano Chinazzo, con il quale però Carlo non avrà mai un buon rapporto. «Non so se gli ero antipatico – ricorda Sembroni – fatto sta che non mi schierava mai, salvo quando era costretto. Alla vigilia dei mondiali di Sofia 1971, ad esempio, mi classificai al quarto posto in un torneo internazionale di preparazione, e non potè non convocarmi ai collegiali, ma pretese che io scendessi di due chili in due giorni per poter rientrare nei 58 chili. Una impresa al limite dell’impossibile, con l’intento di farmi fuori davanti all’evidenza della bilancia. Mi sacrificai oltre ogni dire, assumendo anche dei diuretici per espellere ogni grammo di troppo dal mio organismo, e riuscii, miracolosamente, a farcela. A quei campionati mondiali feci bella figura arrendendomi solo ad un mongolo vice campione del mondo e al campione europeo in carica. Ma non bastò neppure questo a conquistarmi la sua fiducia».
Sei mesi dopo infatti, sempre in Bulgaria, sulla strada degli europei in Germania, ripete il giochetto alzando però ancora l’asticella. Condiziona la partecipazione di Carlo, stavolta, al raggiungimento dei 57 chili. Che perda cioè tre chili in due giorni. Semplicemente impossibile. «Non lo feci neanche finire di parlare – ricorda sempre Carlo – ho capito, gli dissi, mi faccia trovare il biglietto per l’aereo, che me ne ritorno subito in Italia». Resterà nel giro azzurro per molti anni ancora ma senza altri acuti. Testimone e protagonista di una epopea unica e irripetibile.
«Alle gare – ricorda Carlo – portavamo con noi scatoloni di scarpette da lotta fatte da Lazzarini e richieste da tanti atleti di tutta Italia. Erano le migliori del mondo quelle fabbricate da lui nella nostra città». Con la conquista dell’ultimo titolo italiano di categoria, il nono della serie, chiude, in pratica, nel 1976, sempre con i colori del “Vichi” di Ascoli, la sua luminosa carriera agonistica. Ritorna alle gare due anni dopo, insieme al suo vecchio compagno Tosti, ma non va oltre il secondo posto. Quindi inizia ad allenare.
L’ALLENATORE
A partire dai primissimi anni Ottanta, con lo storico Gruppo Sportivo dei Vigili del fuoco di Ascoli, insieme a Bruno Palombini, coglie i primi successi anche da allenatore portando al titolo nazionale Pasquale Flamini, Tito Fioravanti, Marco Palombini, Mirko Ciannavei e Simone Di Giosia fra gli altri. Un uomo di sport come lui, abituato alle regole della lotta, che non prevedono colpi bassi, ne deve subire uno invece, dolorosissimo, da parte del destino, nel 1985. A soli trentasette anni si spegne infatti sua moglie. Sorte che però lo ripaga, parzialmente, presto, facendogli incontrare Lorenzina, che fa da madre ai suoi figli ancora piccoli, e lo rende padre per la terza volta, con la nascita di Katia, nel 1987. Nel 1996 torna a gareggiare fra i Senior (over 35 anni) ai mondiali di Roma. A quarantacinque anni finisce al secondo posto.
Il 2001 è l’anno dei riconoscimenti. A giugno il Cavalierato della Repubblica, a luglio la Stella di bronzo del Coni al merito sportivo. Tre anni dopo, nel 2004, Carlo va in pensione. La sua messa a riposo decreta, di lì a poco, anche la fine dell’attività agonistica nella lotta del glorioso gruppo Sportivo “Nicola Vichi”, che conserva il nome solo per attività prettamente amatoriali e dopolavoristiche in altre discipline. E’ la fine di un’epoca.
NASCE TAKEDOWN
Il richiamo e l’amore per quella materassina della lotta è stato sempre per Carlo Sembroni più forte di tutto. Nel 2007 insieme al figlio Alberto dà anima e vita alla Takedown.
Un società sportiva che fa anche attività agonistica in tutte le categorie. Nel recente passato è arrivata a contare fino ad una ottantina di tesserati di ogni età e sesso. In quasi vent’anni sono stati tanti gli allievi passati dalla palestra di Via De Dominicis sotto la guida dei Sembroni. «In molti oggi mi salutano per la strada – confessa Carlo con malcelata soddisfazione – ma io non posso riconoscerli o ricordarmeli tutti. Però mi fa piacere aver lasciato, grazie alla lotta, un buon ricordo in loro. Sono venute ad allenarsi con noi anche diverse ragazze. Una di loro, Maria Bertola di Porto San Giorgio, che aveva iniziato con noi, è poi finita terza agli assoluti. Diversi i podi conquistati dai nostri atleti a livello nazionale. Niente male.
Agli ultimi campionati italiani di Roma nella categoria Esordienti A, riservata ai tredicenni, abbiamo centrato un secondo posto con Claudio Flaiani, e due terzi posti con Giulio Maravalle e Federico Ciannavei. Quest’ultimo è il nipote di Emidio, il mio vecchio compagno di squadra nella “Vichi” negli anni Sessanta. E’ questa la soddisfazione più grande per me. Riuscire a perpetuare la nobile tradizione della lotta ascolana».
L’ULTIMO ALLORO
Oggi sia Carlo che il figlio Alberto, agente della Polizia di Stato, ricoprono incarichi tecnici di prestigio in seno alla Fijlkam, federazione judo, lotta, karate e arti marziali.
Moderna emanazione della Federazione Atletica Italiana risalente al 1902, anno del primo campionato federale di lotta greco-romana. Sport che solo due anni dopo diventerà disciplina olimpica, e nel 1908, alle Olimpiadi di Londra. vedrà vincere il primo oro italiano della sua storia grazie a Enrico Porro. E’ una lunga storia dunque quella della lotta, dalla antica Grecia ai giorni nostri. La zona di combattimento circolare, sette metri di diametro, il limite segnato di rosso. Senza angoli dove rifugiarsi o costringere l’avversario.
«In ogni suo centimetro quadrato – continua Carlo Sembroni – devi dare tutto te stesso. Per la lotta ci vogliono temperamento e forza di volontà. Mai timore dell’avversario, che però non deve essere mai sottovalutato. Ci devi mettere tutto te stesso per batterlo. Perchè la nostra lotta non è la recita ben pagata del westriling americano che si vede in tv. Quelli fingono sempre di farsi male. Noi invece dobbiamo prepararci bene fisicamente anche e soprattutto per evitare di farci male».
Allenamento e confidenza con il sacrificio che possono aiutare a superare, schienare sarebbe meglio dire in questo caso, anche tutte le difficoltà e i dolori della vita. Nel 2012 Carlo perde anche la sua seconda moglie, Lorenzina, a soli cinquantasette anni. Un altro dolore. Un altro amore spezzato. Ma l’amore, l’altro, quello di sempre, invece, non finirà mai. Quello per la palestra, e per la lotta. Per quella materassina, il porto sicuro di sempre, dove trova ancora rifugio, conforto, e ritrova presto la serenità. Dove, circondato dall’affetto dei suoi giovani allievi, per i quali rappresenta un mito, un modello da cui trarre insegnamento anche al di fuori della palestra, la spinta per andare avanti. Per continuare a vivere. E a vincere. Quattro anni dopo, a Belgrado, nel 2016, Carlo Sembroni vince l’oro ai campionati del mondo Master riservato ai Senior, gli over 35. Lui di anni però ne ha sessantacinque. Ma il cuore è quello di sempre.
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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