di Walter Luzi
Negli uffici della “sua” agenzia Mercurio tutto è rimasto come lui lo ha lasciato. Le gigantografie delle vedute di Ascoli, che ha molto amato, e le tante foto incorniciate, che lui ha appeso personalmente alla pareti. Calcio e Carnevale. Le tante formazioni in cui ha militato in gioventù e i mille gruppi mascherati. I muri ne sono pieni, come piena è stata la sua vita. Tappezzeria che parla chiaro di affetti profondi, di amore e passioni senza fine. Ma anche di impegno instancabile a migliorare quella che poteva di questo mondo. Il lavoro inteso come una missione sacra, l’emancipazione comune come il nobile, irrinunciabile, fine. Riuscendo a raccogliere, ed unire in uno sforzo comune, virtuoso, costruttivo di un Bene Comune, sempre prioritario, tutte le persone intorno a lui. Che riusciva a motivare, a caricare, in ogni ambiente, grazie al carisma che appartiene solo ai leader. Quelli veri.
Ottorino Pignoloni ha saputo lasciare una impronta profonda in tutti i campi, anche ai più alti livelli, in cui ha operato. Con quella sua grandissima dote, spiccata, innata e sempre più rara, di saper coltivare i rapporti umani. Conservare tutto come lui ha lasciato, continuando a camminare lungo il sentiero che lui ha tracciato, sono i modi migliori per continuare a sentire Ottorino, anche materialmente, ancora qui dentro. Le pareti non gli sono bastate. Molte foto le ha messe sotto il cristallo trasparente del grande tavolo delle riunioni. Una vita vissuta intensamente quella di Ottorino Pignoloni. Troppo breve certamente, ma piena. Di quelle che lasciano il segno. Di quelle che non si può non raccontare. Lo abbiamo fatto spesso con le stesse parole usate da di chi ha avuto il privilegio di stargli accanto. In tanti hanno pianto nel ricordarlo.
L’UOMO VENUTO DA CARACAS
Ottorino era figlio di migranti economici. I genitori Costantino e Rosa “Rosetta” Biancucci, originari di piccole frazioni, Pedara e Gabbiano, di Roccafluvione e Comunanza, si erano trasferiti in Venezuela in cerca di fortuna negli anni Cinquanta. Qui, a Caracas, era nato, il 14 ottobre 1957, il loro primogenito, che presto si distingue per la sua straordinaria personalità.
Costantino è un sarto, e trasmette presto al figlio i valori che vedono il lavoro fra quelli più sacri. Il senso della concretezza, il rispetto per gli altri, soprattutto per i più bisognosi. Insegna il sacrificio come compagno quotidiano, l’impegno nelle cose che fai e il senso di responsabilità verso i più piccoli della sua famiglia, Anna Rita ed Emilio, che nasceranno dopo di lui. Rientra in Italia nel 1963. Lui ha sei anni, e non parla bene l’italiano. Va ad abitare con la sua famiglia a Porta Maggiore, nel nuovo palazzo che ospita, al pianterreno, la pasticceria Royal. Girato l’angolo c’è Viale Benedetto Croce. Campagna, ancora per poco, tutt’intorno. E’ qui che, grazie al calcio, conosce e inizia a frequentare quelli che diventeranno i suoi amici di una vita.
I RAGAZZI DI VIALE BENEDETTO CROCE
Sono Pino Presciutti, Franco e Nicola Piccioni, Gabriele “Lele” Zazzetta, Maurizio Piccioni, Antonio Borraccini, Giuseppe Ferri, Zelindo Boretti, Carlo Martinelli, Giovanni Albertini, Maurizio Taddei, Nazzareno Parissi, da subito, fra i suoi amici più cari. Molti di loro sono i primi compagni di gioco nelle interminabili partitelle di calcio sul viale Benedetto Croce. I pali dei cartelloni pubblicitari a delimitare le porte. Un pallone sdrucito, e la strada, a cementare amicizie che non finiranno mai. Quando Padre Alberto, primo parroco di Piazza Immacolata, fa costruire il campetto di calcio attiguo alla chiesa, la prima squadra a giocarvi è la loro. Le magliette viola con la banda trasversale bianca regalate dal negozio Hobby Sport di viale Marconi.
Ancora se le ricordano tutti. “Lui per noi – ricorda Lele Zazzetta – era già il collante, la guida, il catalizzatore, l’iniziativa fatta persona”. Ottorino calciatore è di quelli rognosi. Che non mollano mai. Gioca centrocampista, con vocazione, e ti pareva, alla regìa. Quando c’è da darci dentro non si risparmia, e, anche in campo, sa farsi rispettare. Militerà con la squadra della parrocchia e la Vis Pro Calcio Ascoli. Più tardi anche con Grottammare e Martinsicuro.
RADIO CENTO TORRI PICENO
Crescendo il gruppo di viale Benedetto Croce inizia anche a ritrovarsi per le mascherate in piazza a Carnevale. La prima volta nel 1971. “Era vissuta essenzialmente – ricorda Mario Gricinella – solo come un’altra occasione per continuare a stare piacevolmente insieme”. “A lui interessava principalmente – aggiunge Lele Zazzetta – che il nostro gruppo non si sfaldasse. Che si restasse sempre uniti durante tutto l’anno”. Il bar Arlecchino è il ritrovo abituale della compagnia. Radio Cento Torri Piceno nasce invece nel 1977. Soci fondatori insieme a lui ne sono Marco Ferretti, Nazzareno Parissi, Giuseppe Canala, Gaspare Romersa, Domenico Fiori, Luigi Angelini e Giovanni Paris.
Nei suoi moderni studi di via del Trivio, in pieno centro storico, ospitati al secondo piano della nuovissima Galleria Alesi, chiama a raccolta tutta l’intellighenzia cittadina. Alla redazione collaborano i migliori giornalisti dell’epoca. Si propone come Radio impegnata sui grandi temi della città e del territorio, di alto profilo culturale, alternativa alla vasta e banalotta concorrenza sulla piazza, tutta dediche musicali e leggerezza che diverrà imperante nei decenni successivi. Lui si occupa di disco-music, ma l’avventura radiofonica dura poco, a causa degli alti costi di gestione che si fanno via via insostenibili per le magre casse dell’emittente.
L’AMORE
Il club di via Pretoriana, La Botte, in un locale interrato nello stesso palazzo che ospita l’armeria Dionisi, decolla insieme a Zelindo Boretti, Eraldo Traini, Nazzareno Parissi e Mimmo Fiori fra gli altri. Oltre alle feste di Carnevale delle varie scuole cittadine con la loro consolle Ottorino e i suoi amici animano anche quelle di paese, oltre a veglioni, rimasti memorabili, all’Olimpia, o al tendone del piazzale dello stadio. Grazie a lui il gruppo riesce a portare in Ascoli, fra gli altri, anche il prestigioso Dj dell’epoca Carlo Massarini.
Nel 1977 Otto conosce anche Maura Canala. Lei è poco più di una ragazzina. Li presenta Giuseppe, il fratello di lei. Lui è brillante, aperto, ispira simpatia, ed è anche un gran bel ragazzo. Si innamorano. Ottorino si è diplomato l’anno prima in Chimica alle Industriali, e lavora già nell’agenzia di Piergiorgio Federici in viale Indipendenza. Il primo a rendersi conto che lui ha una marcia in più, fino a proporgli, quasi subito, di diventare suo socio. Fra i primi a intuire le straordinarie capacità di Ottorino è anche Mario Lelli, con cui entra in società, per qualche anno, nella nascente Autolelli. Nel frattempo, a maggio del 1985, Ottorino e Maura si sposano. 23 anni lei, 27 lui. Chiara arriverà nel 1989, Beatrice nel 1995.
LA MERCURIO
Nello stesso anno della scomparsa del padre, il 1988, nasce la Mercurio. Insieme a lui due donne, la cognata, Paola Funari Paternesi, e Rosy Marucci. Tutte le concessionarie più grandi dell’intera vallata del Tronto, a cominciare dalla Fiat di Ciccarelli, si appoggiano alla Mercurio per le loro pratiche di immatricolazione. Non è un caso. Le capacità professionali e imprenditoriali di quell’agenzia sono superiori. Ottorino & C. infatti sanno fare benissimo il proprio lavoro. Ma lui va oltre. Tesse una rete di rapporti fiduciari con le officine meccaniche, oltre che con gli autosaloni, basati su stima e amicizia reciproche sul piano umano prima che lavorativo. E c’è una svolta storica alle porte. Una legge del 1991, la 264, arriva a riconoscere, e inquadrare professionalmente, le agenzie automobilistiche. Ottorino è già impegnato nelle attività dell’associazione che le rappresenta. L’Unasca, Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica.
Si adopera già per traghettare il ruolo del faccendiere praticone, dello sbriga-pratiche passacarte, verso una figura professionale altamente qualificata. Un salto di qualità non indifferente per tutta la categoria. Ora al livello, per conoscenze e competenze, di Motorizzazione e Aci Pra. La preparazione e il dono di sapersi rapportare con le persone di questo ascolano tenace non possono sfuggire nè ai vertici nazionali nè agli associati dell’Unasca.
L’UNASCA
Il 3 gennaio1993 Ottorino Pignoloni viene eletto per la prima volta segretario nazionale Studi dell’Unasca. E’ lui l’emblema di una svolta epocale per l’associazione, che conosce un profondo cambio generazionale ai suoi vertici.
Il baricentro della sua attività principale, che lo assorbe moltissimo, si sposta verso la capitale. Quasi quotidiane le trasferte a Roma, partendo molto presto la mattina e rientrando la sera in famiglia. Ma gira in tutta Italia, ad incontrare persone per conoscere le necessità della categoria sui vari territori. Va lui a confrontarsi con ministri, onorevoli e sottosegretari per esporre istanze e progetti. Sempre a bordo della sua Ritmo pick-up. Mandato dopo mandato, per oltre un ventennio, Ottorino apre prospettive innovative per tutta la galassia collegata alla viabilità nazionale e, di riflesso, fette di mercato nuove per la categoria. Con determinazione riesce ad esautorare lobby potenti e protette, ad intaccare ruoli storici, come quello dell’Aci, e, alla fine, vincere la resistenza di controparti recalcitranti e gelose dei propri privilegi. Riesce a coinvolgere persino il benemerito programma televisivo di inchiesta Report a supporto delle sue battaglie.
E’ un leader nato. Mai primo attore ad ogni costo ammalato di protagonismo, o, peggio, capetto mediocre, come tanti, incollato alla poltrona e smanioso di apparire. Abile mediatore, riesce a smussare sempre ogni spigolosità, di caratteri e situazioni. Dovunque va, sa fare squadra. Costruisce team vincenti, illumina percorsi virtuosi. Strade nuove che nessun altro, oltre a lui, riesce a intravvedere in anticipo. E tutto questo senza suscitare invidie, gelosie o rancori. Impossibile litigarci, o volergli male. Sa essere anche duro quando ci vuole, cioè quando vede la bontà dei propri progetti minacciata, il beneficio generale osteggiato dall’interesse particolare. Progetti alla mano è sempre innovativo, e sempre convincente. Scriverà di lui Mario Forneris: “Ottorino non voleva avere sempre ragione. Aveva sempre ragione…”. Diventa, anno dopo anno, referente privilegiato, ascoltato e considerato, nei palazzi del potere quando arriva il momento delle scelte importanti. Portandosi dentro ogni giorno l’amore per la sua città.
A Natale per regalo, in tutta Italia, porta sempre le olive all’ascolana. Il “Corriere della Sera” nella rubrica “Sette” pubblica un servizio su di lui con la foto di una valigetta piena di olive farcite simbolo gastronomico di Ascoli. Titolo: “Come ti conquisto il lobbista”.
IL CARNEVALE
Le mascherate in piazza che si succedono diventano, via via, per lui anche nuovo terreno di impegno. “Ottorino ci teneva forte – dirà Mario Gricinella – a perpetuare la tradizione del Carnevale ascolano in piazza, così come di ogni altra manifestazione caratteristica del territorio. Capitava che partisse alle cinque di mattina per Roma programmando già, per quella stessa sera, al suo ritorno, una riunione con noi del gruppo. Non so dove trovasse le energie per fare tutto. E riportando nel bagagliaio, ogni venerdi sera di Carnevale, i costumi che aveva affittato nelle migliore sartorie della capitale, le meglio fornite, quelle che lavorano abitualmente anche per il cinema”.
Il suo gruppo figura spesso, non a caso, fra i premiati. L’intesa collaudata dei primi attori, Pino Presciutti e Lele Zazetta, il loro gioco delle parti sempre improvvisato, a braccio, senza testi studiati a tavolino e prove generali, sono una garanzia di successo. Mascherata memorabile, fra le tantissime, quella del Gemmellaggio con Mosca. Si, con due emme per far capire già dal titolo che si scherza. Non bastò neppure quello, nè il fatto che la, finta, delegazione sovietica arrivasse in corriera, per evitare fibrillazioni, vere queste, persino alla Digos. Nel 1988 Ottorino scende in campo in prima persona per tentare di risollevare le sorti del Carnevale ascolano fondando, con Gianfranco Cesari e Walter Calcagni, l’associazione Il Carnevale di Ascoli.
Pretende però che in statuto venga esplicitamente esclusa la presenza di politici, o rappresentanti dell’Amministrazione comunale, nel consiglio direttivo. Proteste piccate piovono subito, numerose, dal Palazzo, ma lui è irremovibile. Scoppia un putiferio. Lui si limita a spiegare con ferma pacatezza: ”Qui non può entrare a tentare di ricostruire chi ha contribuito a sfasciarlo il nostro Carnevale”. La “mascherina d’oro”, il massimo riconoscimento carnevalesco attribuitogli nel 2016, gliela hanno incisa anche sulla lapide.
IL CONSAV
Nasce nel giugno del 1996. Ottorino concepisce, progetta e realizza una dei primi consorzi delle Marche nel settore delle revisioni. Riesce a mettere insieme infatti una trentina di autoriparatori locali. Impresa non facile, quella di fare squadra, alle nostre latitudini. E ne tira su anche una sede all’altezza. Con l’officina per le revisioni e gli uffici amministrativi. Ma non si accontenta. Perchè, come scriverà Pasquale D’Anzi nel libro che l’Unasca gli dedicherà nel 2018, lui: “…ha assolutamente bisogno della sfida, non si accontenta del traguardo appena tagliato con successo…”.
Ottorino fa destinare infatti una parte degli introiti ad iniziative benefiche. Revisioni solidali le chiama. Preziosi contributi economici da destinare annualmente ad associazioni di volontariato o organizzazioni impegnate nel sociale e nella assistenza alle categorie più fragili. Aiutare gli altri che ne hanno maggiore bisogno. Non smetterà mai. Sempre promotore di sostegno, anche finanziario mettendo mano al portafoglio, verso amici in difficoltà. Sfruttando le sue tante conoscenze si sforza di trovare un lavoro a quelli che ne hanno bisogno. Raccomanda tutti, tranne che le proprie figlie.
LA POLITICA
Nei primi anni Novanta un partito gli offre la poltrona garantita di deputato in Parlamento proponendogli l’inserimento nel listino bloccato di un collegio sicuro nel nord Italia. Come vincere una lotteria “win for life”, premio di norma riservato a boriosi buoni a nulla. Lui sa già che non diventerà mai uno strumento passivo di giochi di potere spesso squallidi. Una delle già troppe marionette della grande commedia romana, senza scrupoli e senza costrutto, dentro la quale avrebbe dovuto presto rinnegare tutti i suoi valori e i suoi principi. Rifiuta senza pensarci due volte.
Così come farà declinando successivamente la candidatura all’Arengo offertagli, stavolta, dal fronte opposto. “Il mio lavoro è un’altro – ripeteva – questi devono lasciarmi stare. La politica non è il mio mondo”. E’ vero. In quanto non ricattabile, tanto meno manovrabile. Aperto al confronto, ma non agli inciuci al ribasso. Agli accordi sottobanco. Al do ut des sulla pelle della gente. E mai avrebbe accettato, entrando nella casta, di giovarsi di una rendita parassitaria. Che, cospicua, prescinde però sempre dalle competenze, dai meriti, dal valore, e dai risultati. Scriverà Miriam Nardelli dell’Unasca “…lui aveva il pallino delle cose fatte per bene. Le ingiustizie non lo lasciavano indifferente, e credeva nel rispetto degli altri… A modo suo voleva cambiare un pò il mondo. Renderlo più giusto. Per tutti noi…”. Gli farà eco, sempre sulla stessa pubblicazione dedicatagli dalla sua associazione, Marco Filippi: “…Ottorino era orgoglioso della sua preparazione e fiero della sua onestà. Sapeva di far parte di quella Italia bella. Bella nei tratti, nella generosità, nel calore umano… di quella Italia giusta, da sempre desiderosa di riscatto ed affermazione…”
LE VACANZE
A luglio prende casa essenzialmente per le sue tre donne a Porto d’Ascoli, ma lui c’è sempre pochissimo sotto l’ombrellone. Più volte, invece, in Salento, e in lungo e largo per l’Italia. Settimane bianche sulle Alpi con il Circolo ricreativo della Cartiera Mondadori, di cui Pino Presciutti e Lele Zazzetta diventano, per acclamazione, negli anni, gli animatori fissi delle serate in allegria.
Le mogli che si lamentano perchè messe puntualmente in disparte ogni volta che loro, gli amici di sempre, si ritrovano e fanno gruppo con lo stesso spirito spensierato di studentelli eccitati alla prima gita scolastica. Come succede anche a Gabbiano, frazione di Comunanza, non lontano dal valico di Croce di Casale, terra natìa di mamma Rosetta. Un’oasi di letizia in aperta campagna. Un piccolo stabile che lui fa ristrutturare e ampliare senza badare a spese, pur di riuscire ad ospitarvi le famiglie di quanti più amici possibile. Ci spende un patrimonio con l’unico scopo di poterci stare, per giorni e notti, tutti insieme.
Ad agosto, dopo la festa di Sant’Emidio, e poi fra Natale e Capodanno. “Era un rituale atteso con trepidazione – racconteranno le sue figlie – il poter stare con i suoi amici e la sua famiglia. Un mese di pranzi conviviali, camminate, cavalcate, tuffi in piscina, feste di paese. Il tutto condito da tante risate. Era ciò che amava. E amava condividerlo con noi”.
LA FAMIGLIA
Maura lavora alla Coldiretti e in casa gli dà una mano con le bambine la suocera, perchè lui in casa non c’è mai. “Ti devo scrivere un telegramma per riuscire a chiederti una cosa?…”. Sfotte così, talvolta, il marito, sempre preso dai suoi mille impegni. Che a Carnevale poi, per una settimana intera, sparisce proprio.
“Per nostro padre – dirà la figlia Chiara, ribelle e giramondo – la famiglia è stata sempre centrale nella vita. Anche se spesso impegnato nel suo lavoro, e fisicamente distante, sapeva come essere presente in modo emotivo ed intellettuale. Era un padre amorevole che ci sosteneva nei momenti di insicurezza ed incertezza, anche a migliaia di chilometri di distanza. Desiderava ardentemente vederci realizzare i nostri sogni e il nostro potenziale. Era un vero sostenitore, costantemente a caccia delle nostre qualità e capacità, che non perdeva mai occasione di ricordarci, anche quando non riuscivamo a vederle in noi stesse. I momenti speciali con lui sono innumerevoli, fatti di semplici, piccoli gesti, sguardi, sorrisi e prese in giro. E’ stato molto più di un padre. E’ stato un esempio”.
“Durante la mia adolescenza – ricorda la figlia Beatrice, più dolce e sensibile – un periodo molto delicato della mia vita, mi è stato sempre molto vicino, riuscendo a trovare, comunque, del tempo da dedicarmi, ritagliandolo, chissà con quante difficoltà, fra i suoi tantissimi impegni. Era troppo importante per me. Lui non poteva mancare. E non è mai mancato al mio fianco”. E’ anche biker e jogger, Ottorino, magari con il fiatone, nei brevi intermezzi ricavati fra riunioni, conferenze, dibattiti e lunghi viaggi di lavoro. Con tremila agenzie italiane e una bella famiglia per cui rappresenta un faro, un riferimento sicuro, lui riusciva a fare tutto. E bene. Salutista, non fumatore, a parte qualche tirata che ti fa sentire più grande da adolescente, scopre nel 2015 di avere un serio problema proprio ai polmoni. Parla del suo male, rassicurando tutti sulle sue condizioni, e sul percorso terapeutico che si accinge a intraprendere, ai suoi più stretti collaboratori, appositamente convocati, in ufficio. E’ il 25 maggio 2015. Un anno appena prima della fine.
“Lui non ha protetto solo la figlia più piccola Beatrice e l’anziana madre – rivela la cognata, e socia alla Mercurio, Paola Funari – tenendoli all’oscuro del suo male. Ma ha protetto anche tutti noi. Sicuramente più noi altri che se stesso, rincuorandoci sempre. Non ha mai fatto pesare a nessuno, in nessun ambito, i suoi, pure gravissimi, problemi di salute. Fino all’ultimo”. Si cura prima a Perugia e poi allo Ieu di Milano, quello del professor Veronesi. Spera, come tutti gli ammalati, di farcela, anche se non è operabile. Intraprende anche un percorso di terapie sperimentali ricco di speranze ma senza certezze. Non perde mai, comunque, il sorriso con le persone più vicine. Nè l’affetto per gli amici. “Mi ha mandato un messaggio dal suo letto di ospedale dove stava morendo – racconta Lele Zazzetta – per farmi coraggio. Lui a me. Stavo viaggiando verso Roma, effettivamente in grande apprensione per la salute di mia figlia, e lui si dava pensiero per me. Più che per sè stesso, nonostante le gravi condizioni in cui versava da tempo, e fosse, oramai, allo stremo”. La fine arriva il sei giugno 2016. E’ un lunedì. Il sabato era passato per l’ultima volta nel suo ufficio alla Mercurio. Per i suoi funerali i vertici e gli associati dell’Unasca arrivano numerosi da tutta Italia. La grande Cattedrale di Ascoli non ce la fa a contenere tutta la gente che lo piange. Il suo amico Mario Gricinella un giorno gli aveva detto: “I tuoi genitori hanno fatto un solo errore con te, non ti dovevano chiamare Otto… ma Dieci”. Con lode. Scriverà Salvatore Biasco su “Ciao”, la pubblicazione che l’Unasca gli ha dedicato, come detto, cinque anni fa: “…C’è una Storia d’Italia che nessuno scriverà, specie di questi tempi. Quella Storia popolata da gente “comune” di grandissima qualità, dirittura morale, e senso degli altri, da cui si ricava una figurazione di ciò che di grande il nostro Paese potrebbe essere se fosse stato popolato da tante persone simili. Da tanti Ottorino Pignoloni…”.
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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