Le storie di Walter: i ragazzi della Quarta A Magistrali del 1959 (Le foto)

ASCOLI - I superstiti di una classe che si ritrova, ancora una volta, a sessantaquattro anni da quel sudato diploma. Insieme ai loro racconti riscopriamo un’epoca

15 Dicembre 2023 - Ore 09:15 ...

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La classe con il professor Marco Ionni

di Walter Luzi

Quelli della IV^A del 1959 sono rimasti in cinque. Erano in ventiquattro, sessantaquattro anni fa, a conquistarsi quel diploma alle Magistrali. Istituto Trebbiani, nel centro di Ascoli, lassù, in cima a Via Pretoriana. Castelli Anna Maria, Ciuccarelli Egidia, Monti Milena, Palma Pasquale, Stipa Maria Gina. In rigoroso ordine alfabetico, come un tempo, sul grande registro dei professori. Presente.

Hanno risposto ancora tutti e cinque. Sono rimasti solo loro, ma non hanno mai smesso di volersi bene. Come allora. Come sempre. La classe aveva iniziato a ritrovarsi nel 1984, per il Venticinquennale. In tanti di più, con tanti anni e acciacchi di meno per tutti. Una festa. Un profluvio di abbracci e baci. Meraviglioso. Non ce l’avevano fatta, poi, ad aspettare il Cinquantennale, regolarmente celebrato nel 2009. Nel 2001 avevano voluto tutti rivedersi ancora una volta. Qualcuno cominciava a mancare già all’appello. Diversi altri hanno dovuto declinare, purtroppo, a causa dei loro guai di salute. Tipici, immancabili, quando si arriva, grazie a Dio, a una certa età. Ma la luce negli occhi di chi c’è è sempre la stessa. Come il piacere di ritrovarsi. Stare insieme. Ricordare tanti momenti belli, che ciascuno di loro continua a portarsi nel cuore. Quel cuore che può perdere qualche colpo, ogni tanto, oggi, ma che ti senti ancora com’era, allora. Grande. Aperto agli altri.

Gli anni passano veloci. I figli cominciano ad invecchiare anche loro, i nipoti sono diventati grandi. Non si può più aspettare troppo per riabbracciarsi ancora. Il tempo, per tutti i mortali, si sa, è una risorsa limitata. Dopo l’anniversario d’argento e quello d’oro nessuno ha voglia di aspettare ancora fino quello di diamante. Nel 2019 nuovo rendez-vous in occasione del Sessantennale. Poi arriva il covid con le sue paure e le sue incertezze. Quando passano, lo scorso settembre, quelli della IV^ A del 1959 decidono per una nuova reunion. A contarsi si fa presto adesso. Bastano ormai quasi le dita di una sola mano. Concordano tutti di ritrovarsi presto. Molto presto. Passano solo tre mesi infatti, e sono di nuovo insieme. Domenica scorsa. A tavola, come tradizione. Ma il buon cibo condiviso è, ancora una volta, solo un pretesto per ritrovarsi. Con la stessa gioia di quegli ultimi anni Cinquanta. Quando la vita era molto diversa. Quando il mondo era un mondo migliore di quello di oggi. Perchè la differenza di qualità non la fanno solo le comodità, gli agi, i soldi, i divertimenti, l’abbondanza. La fanno soprattutto le emozioni che si provano, il calore umano degli altri che senti, dentro cui cresci, e quello che tu riesci a far sentire a loro. A quelli che ami soprattutto. La fanno la soddisfazione per il dovere compiuto. La stima di tutti. La felicità con poco più di niente.

La classe al fiume Tronto

Alcuni ragazzi della IV^ A a Colle San Marco

TEMPI DURI

Un’epoca che ci racconta una delle ragazze di quella IV^ A delle Magistrali. «Dal mio paesino, Poggio di Bretta – ci dice Maria Gina Stipa – scendevamo in tanti a piedi fino a Brecciarolo per prendere la corriera dell’Int. Quasi tutti per andare a lavorare, o a imparare un’ arte, in Ascoli. Solo in tre per studiare alle Superiori. Un privilegio, questo, riservato a pochi. Insieme a me Alberano De Carolis ed Emilio Santini, che un giorno diventerà poi mio marito. Fu mia madre, Letizia, a volere fortemente, nonostante gli scarsi mezzi economici della famiglia, e il fatto che lei, a stento, avesse finito solo le Elementari, che tutti i suoi tre figli studiassero. Si era sposata che non aveva nemmeno diciotto anni, e più che una madre sembrava una sorella. Quando era tempo brutto evitavamo la ripida “reccorta”, partivamo alle sei, e scendevamo lungo la provinciale Ripaberarda, ancora brecciata, sperando di non essere infangati dalle pozzanghere investite dal passaggio delle poche auto in transito. A volte portavo calzature di ricambio nella borsa, perché mi vergognavo di entrare a scuola con le scarpe sporche. Ero infatti l’unica contadina in classe fra tante cittadine, ma non volevo sfigurare.

Quando ci penso non mi capacito di come possa avercela fatta a diventare un’insegnante. Per le strade del paese passeggiavano le galline e il puzzo dello stabbio che arrivava dalle stalle era ovunque. Nei primi anni di scuole Medie dovevo tradurre prima il dialetto, unica lingua da me parlata fino a quel momento, in italiano. Solo grazie al vocabolario seppi, ad esempio, che il salvadanaio era …la cucciòla. Quando tornavi a casa non sempre trovavi il piatto fumante in tavola. E nel pomeriggio spesso ti aspettavano i campi o le faccende domestiche prima dei compiti. Per i quali i miei non potevano, anche se lo avessero voluto, darmi una mano. Avevano potuto conseguire entrambi infatti, a stento, solo la licenza elementare. Quello che imparavo a scuola poi non sempre era condiviso. Nonna Rosetta ad esempio era certa che la prendessi in giro quando le assicuravo che la terra era rotonda. Lei ha sempre continuato ad essere convinta che fosse piatta…».

Foto di gruppo per il Cinquantennale

I COMPAGNI

La Pintozzi è la figlia di un ufficiale dell’Esercito. A scuola l’accompagna l’attendente del padre con l’auto di servizio fino davanti al portone quando piove, per risparmiarle anche una sola goccia di pioggia. A Pasquale Palma questa cosa fa rabbia. Perchè lui, invece, viene da Controguerra, e non ha la macchina con l’autista a disposizione. Si alza alle sei ogni mattina, si fa due chilometri a piedi per prendere la littorina, e altrettanti dalla stazione di Ascoli fino a scuola. E quando piove ci arriva fradicio. Maria Gina è brava in matematica e passa volentieri le soluzioni dei compiti in classe al compagno di banco più vicino. Si chiama Pacioni. Lei infila il bigliettino sul bordo del suo calzettone bianco sotto il ginocchio, e quando si china a fingere di raccogliere qualcosa caduto, stende la gamba verso di lui affinché possa sfilare agevolmente il foglietto.

«Una umanità diffusa ci pervadeva tutti – continua Maria Gina Stipa – in quella classe. Si era davvero “Tutti per uno e uno per tutti”. Non tanto per dire». Ragazzi e ragazze convivono e maturano serenamente insieme, fra rossori e risate. Il bullismo, la depressione, il body shaming e le volgarità non appartengono al loro mondo. Anche quando nascono simpatie non ci sono mai parole fuori luogo, disagi nascosti o intimità ostentate. Il rispetto nasce anche dal pudore. I batticuore si tengono dentro a lungo prima di esternarli.

Con la stessa pazienza e dedizione di Emilio “Mimì” Santini, che corteggia discretamente Maria Gina da sempre. Scendono a piedi insieme, come detto, da Poggio di Bretta. Lui la accompagna ogni giorno fin davanti al cancello della scuola. Poi scappa via di corsa fino a San Pietro Martire, all’istituto di Ragioneria che frequenta. Lei cederà alla sua corte serrata subito dopo il diploma. Si sposeranno nel 1963. Si ameranno per tutta la vita. Mimì Santini, prima operaio e poi bancario, non smetterà mai di privilegiare i rapporti con il Prossimo. Di operare nel sociale solo perseguendo il Bene Comune.

Emilio Santini e Maria Gina Stipa appena sposati

GLI INSEGNANTI

Il professor Marino insegna matematica. E’ un siciliano che continuerà a restare in contatto, anche a distanza di molti anni, con i suoi ex allievi. Clementoni insegna, ovviamente, Musica. De Santis Filosofia. Marco Ionni Italiano, come Cicconi nell’ultimo biennio. Insegnanti e alunni si danno reciprocamente del lei. I prof non regalano nulla. Pretendono il massimo impegno nello studio. E il massimo rispetto, che ricambiano. Ma sotto la scorza dura quasi tutti celano la loro grande umanità, come Don Pippo Valori, il sacerdote che insegna Latino. Semineranno bene tutti quanti. Molti dei loro studenti di quella IV^ A arriveranno anche a laurearsi e insegneranno a loro volta. Come Rosanna Fiordaliso, o Egidia Ciuccarelli, insegnante alla D’Azeglio, fra le altre, oltre a Maria Gina Stipa. O come Pietro Ghighi, prima maestro e poi sindaco nella sua Montegallo. O come Pasquale Palma che sarà professore e poi preside.

Il Sessantennale

Uno dei tanti ritrovi della classe

Le prime supplenze e i concorsi per l’agognata cattedra di ruolo il viatico comune. Ma la scuola non è un posto di lavoro come un altro. E’ una missione. Occorre, necessariamente, la vocazione. Per far innamorare un ragazzo, o una ragazza, della materia, dello studio, della conoscenza. E anche per far si che loro ti ricordino per sempre. Come quelli della IV^ A Magistrali del 1959. Che continuano a ricordare. Maria Gina Stipa, poetessa per diletto che nutre i suoi versi con la Memoria del passato, compone per l’occasione ogni volta una poesia impregnata di nostalgia.

I libri di poesie di Maria Gina Stipa

Tutti quanti si sono presentati anche domenica con i loro regalini per gli altri da scambiare. Centrini fatti a mano, dolcetti fatti in casa, tovagliette ricamate. Il passo più incerto, gli acciacchi che aumentano, si conversa sugli ultimi referti delle analisi di controllo. Ma si pensa già tutti, comunque, al prossimo appuntamento. Appena si può. Con il tradizionale motto della classe, che ricorre, immancabile, da qualche anno in qua, abbracciandosi nel momento del commiato. “Teniamoci forte!”.