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Ascoli Piceno, la città delle torri

IL SOPRANNOME di “Città delle cento torri”, anche se ormai di torri se ne rintracciano poche decine, è un appellativo che condivide con altre città italiane (Bologna e Pavia per citarne due). Toponimi e soprannomi di solito derivano da caratteristiche e da situazioni contingenti. In questo caso la peculiarità era di avere, un tempo, numerose torri gentilizie e campanarie: la skyline medievale era fitta di queste costruzioni. così come la raffigurano Pietro Alemanno nel 1484 e poi Simone De Magistris nel 1577
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Panorama di Ascoli nell’immediato secondo Dopoguerra. A destra il quartiere San Giacomo e Porta Solestà (foto Archivio Perini)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Nelle città medievali, le torri, oltre ad essere manufatti difensivi (vere e proprie costruzioni militari), erano l’emblema del potere delle famiglie che le costruivano. Anche ad Ascoli, il motivo più importante era forse quello della presenza, in città, di famiglie ricche e potenti che avevano voglia di mettersi in mostra. Nella città del sec. XIII, le torri dovevano essere circa duecento, almeno fino al 1242, quando Federico II ne fece abbattere circa la metà (novantuno, secondo la tradizione). L’architetto e storico fermano Giambattista Carducci, nel 1853, scrisse che di torri «Ascoli n’ebbe già tante, e molte ne conserva, da meritarsi il soprannome di turrita: delle Torri si denominò un’intera contrada, e di Torri si formò lo stemma del Comune».

 

La costruzione delle torri, ad Ascoli (come in altre città) è un fenomeno caratteristico dell’inurbamento, sviluppatosi specialmente nel sec. XII; ma in città si costruivano torr fin dal sec. XI (l’anno Mille, per intenderci) grazie alla disponibilità in loco del travertino, materiale economico e robusto. Nella pianta del Ferretti (1646) sono raffigurate 43 torri; nel corso dei secoli ne erano state demolite per motivi diversi (come terremoti) circa 160, come ricordano O. Sestili e A. Torsani (1995).         

 

Il plenilunio illumina le torri gentilizie della città (foto G. Zucchetti)

 

Prima di considerare alcune di quelle ancora “in piedi”, vediamo come un appassionato storico ascolano dell’Ottocento, il Gabrielli, analizza la situazione: «… si apre la Via delle Torri e, quasi a giustificare questo titolo, grandeggiano a destra due torri gentilizie [sono le “torri gemelle” contigue al Palazzetto Merli, NdA], porgendo un esempio dell’aspetto caratteristico che davano alla città, allorquando ne erano in piedi più di 200». Via delle Torri è l’antica «strata Sancti Augustini» che, nel Medioevo era il centro del quartiere gentilizio. Lo scritto del Gabrielli sintetizza la situazione in poche righe: «Dopo le Crociate, cresciuta oltremisura la potenza del Clero e del Patriziato, fu ambizione, fu manìa alzare codesti monumenti al pari di uno stemma gentilizio, onde porgere con essi un emblema monumentale di fasto e di potenza. L’esempio dei nobili trovò imitatori nei nuovi arricchiti, il che avrà dato occasione al Merula di scrivere In Italia erat quaedam insana superstitio, ut is patricius haberetur qui turrim haberet erectam [In Italia c’erra una certa insana credenza, che fosse considerato patrizio colui che avesse fatto erigere una torre]. È ovvio concepire come le torri potessero dappoi essere facilmente trasformate in asili, in prigioni, in rocche formidabili durante le civili dissenzioni».

 

Nell’epigrafe murata alla base del Palazzo vVescovile, proveniente dall’area di San Pietro in Castello, si ricorda una “Turre facta in anno Millesimo Sexagesimo Nono” (1069), una delle prime costruite in Italia (foto G. Vecchioni e C. Perugini)

 

Anche il già citato Carducci esprime un parere critico su queste costruzioni, approfittando dell’occasione per una lezione sulla vanitas vanitatum che conclude, però, con parole di speranza. Nel suo saggio sui monumenti di Ascoli, scrive che «Torri, palagi merlati nelle città, rocche, baluardi, castella su inaccessibili scogli per le rimote campagne, erano per le famiglie ne’ tempi feodali quello che per gl’individui valevano le celate e le armature:  la prepotenza aveva mutata la natura umana in crostacea: ma venne la polvere da cannone  a snidare da quei gusci quelle anime parimenti di ferro, e l’ignuda ed oppressa umanità si vide caduta al piede le torri, le rocche, feodalesimo tutto; ma chi dello studio della storia non perde il miglior profitto, che è quello di seguirvi le tracce del faticoso lavoro del progresso civile, sarà portato a riconoscere  e rispettare in questi monumenti gl’involucri  dentro i quali si fecondarono e germi di una grande e nuova trasmutazione sociale».

 

Palazzo Malaspina e la pietra “sgrugnata” (spiegazione nel testo, foto C. Perugini)

 

Ancora il Gabrielli ci informa che «Ascoli, quasi costantemente guelfa, ne vide sorgere la maggior parte per influenza de’ suoi Vescovi nei secoli XI e XII. L’imperatore alemanno Federico II ne distrusse novanta nel memorabile sacco del 1252 [in realtà, la data “giusta” è il 1242, NdA], e furono senza dubbio quelle del partito avverso all’imperiale. Il tempo e il vandalismo umano fecero il resto, di modo che delle duecento che dettero il nome di turrita alla città, poche ne restano in piedi: ma facendovi attenzione, se ne potranno scorgere qua e colà le basi, singolarmente nella via anzidetta».

 

Panorama di oggi: torri di pietra e torri d’acciaio (foto M. Morganti)

 

Il numero delle torri di Ascoli si è ridotto per le vicissitudini storiche; è possibile, però, ancora apprezzarne alcune: torri integre, torri trasformate in campanili di chiese, torri mozzate e case-torri. Prima di esaminarne qualcuna in dettaglio, vediamone le caratteristiche generali, aiutandoci ancora con le parole del Gabrielli: «Le torri ascolane sono generalmente di forma quadrata di circa quattro metri per lato, lo spessore delle mura è più di un metro, l’altezza di oltre quaranta metri: sono eseguite in travertino e la bontà della costruzione è tale, che il cemento è diventato anche più compatto della pietra. Sul davanti hanno una stretta porta il cui architrave è per lo più a triangolo, imitante il fastigio dei cippi sepolcrali romani. Sono traforate da finestre rade e strette, e vi si accedeva per mezzo di scale appoggiate a impalcature poste di distanza in distanza».

 

Le “torri gemelle” Merli in una foto d’epoca (foto TCI-Stefani, 1953)

 

Le torri medievali erano un simbolo di potere e di benessere economico poiché per costruirle serviva un forte investimento economico; ma avevano anche una funzione difensiva legata, soprattutto, alla cosiddetta “difesa passiva” accentuata dall’altezza e dalla presenza di ballatoi di legno: i difensori facevano “piovere” sugli attaccanti pietre, frecce e olio bollente. A questo proposito, negli Statuti della città del 1377 c’era una norma che proibiva il lancio di pietre dai piani superiori delle torri; le pene per i trasgressori erano piuttosto severe, fino al taglio della mano destra. Gli stessi Statuti permettevano però lo scarico di pietrame «per defesa».

 

Oggi è possibile rintracciare circa novanta di questi manufatti, dei quali sette torri integre e due diventate campanili di chiese; le altre sono case-torri, di dimensioni modeste, o basi di torri incorporate in altri edifici. Vediamo alcune di queste costruzioni, facendoci guidare da Osvaldo Sestili e Anna Torsani, autori di un pregevole lavoro sull’argomento (1995), un catalogo accurato (e documentato) della situazione. 

 

La Torre del Cucco, antico campanile della chiesa di San Pietro ad cryptas, demolita dopo il 1895 (foto G. Vecchioni)

 

TORRI GEMELLE (sec. XII), in Via delle Torri (sono le “Torri Merli” dal nome della famiglia che ne era proprietaria dal 1885). Sono situate in Piazza Sant’Agostino (uno slargo dalla doppia denominazione: è “anche” Piazza Garibaldi), praticamente di fronte alla chiesa omonima. Pressoché intatte, sono “legate” da un basso edificio, appartenente alla torre di destra; costruite in conci di travertino, sono alte circa 25 m, hanno diverse feritoie e, in alto, due alti finestroni. Sono contigue al palazzetto della famiglia Merli, progettato a fine Ottocento dall’architetto Cantalamessa.

 

La torre di San Venanzio (foto G. Vecchioni)

 

TORRE DEGLI ERCOLANI in Via dei Soderini. In realtà, si tratta di un complesso risalente ai secc. XI-XII, poiché la torre è addossato il cosiddetto Palazzetto longobardo (un nome tradizionale ma anacronistico). L’edificio presenta eleganti bifore e un elegante motivo “a treccia” lungo il perimetro più elevato, sotto il tetto. La torre contigua è alta 35 m ed è rastremata verso l’alto (la sezione va, cioè, riducendosi), per sostenere in maniera corretta le sollecitazioni dei maggiori carichi verso il basso. Sul lato destro della costruzione esisteva una “via di fuga”, tramite ponteggi lignei appoggiati a sporgenze di pietra. La porticina d’ingresso ha una caratteristica cornice triangolare, con una fenditura orizzontale, simile a quella che si può ammirare nel Battistero di San Giovanni a Piazza Arringo. La torre e il palazzo adiacente non sono collegati strutturalmente, per un ragionevole accorgimento antisismico: i due corpi, autonomi, risentono meno delle vibrazioni in caso di terremoto.

 

Lo skyline dal Ponte nuovo (foto G. Zucchetti)

 

TORRE DI SAN VENANZIO (sec. XII). Si tratta di una torre gentilizia riadattata a campanile della chiesa di San Venanzio, grazie all’aggiunta, alla sommità, della cella campanaria. La costruzione (alta circa 30 m) conserva ancora una cornice doppia di conci forati, pronti per armare una ulteriore struttura difensiva lignea (una terrazza utile per la difesa piombante e per lanci di proiettili (frecce e altro). Per il Rodilossi, i conci forati servivano come alloggio di stendardi e vessilli durante festeggiamenti religiosi (e civili); per inciso, anche il campanile della chiesa di San Giacomo ne ha di simili. Nel panorama della Ascoli medievale, fatto di case di piccole dimensioni e basse, spiccavano poi le case-torri, edifici sviluppati in altezza: allo stesso tempo, strumento difensivo ed emblema della reputazione e della ricchezza della famiglia che la abitava. In città questo tipo di casa non era particolarmente alto ma, comunque, risaltava tra le case vicine. Non ne resta alcuna integra, tutte sono state demolite o inglobate in altri edifici di maggiori dimensioni. Una è quella la cui facciata è inglobata, intatta, sul lato est del cinquecentesco Palazzo Malaspina, in Corso Mazzini. In uno spigolo del palazzo c’è una pietra con una evidente “sgrugnatura”: lo sfregio di quella pietra scalpellata fu la pena inferta dalla magistratura della città al marchese Malaspina, colpevole di omicidio!Un altro “resto” di casa-torre è in Via dei Sabini con, ancora abbastanza ben leggibili, la porta d’ingresso dell’abitazione (a sinistra, e della bottega, a destra.  

 

Ascoli dall’alto: evidenziate le torri (civiche e campanarie) più facilmente localizzabili (foto aerea D. Galiè)

 

CONCLUSIONI – Una passeggiata tra le rue del centro storico ascolano permette di apprezzare resti di torri e particolari illuminanti (bifore, pietre di riutilizzo) che possono aiutare a immaginare la città com’era nel Medioevo, magari utilizzando pubblicazioni specifiche come quella citata in precedenza. Nella camminata, arrivando nei pressi della chiesa di San Pietro Martire, ci si imbatte nella torre di colore rosso (per i mattoni della copertura) dell’Istituto Commerciale e per Geometri, costruita all’epoca del Ventennio, a imitazione di quelle medievali. Così ne scriveva M. Cristina Paoletti in Flash (1980): «Certo è un falso la torre dell’Istituto Tecnico, rivestita di mattoncini, che se pure ricostruita là dove un’altra ne sorgeva, non aveva però il travestimento che, ammodernando l’antico, si è preteso di darle».

 

L’Ascoli dell’Alamanno 1484: torri e campanili racchiusi dalla cinta muraria merlata. In basso quella di Simone De Magistris Madonna del Rosario, 1577

 

SE VI SIETE PERSI QUALCHE REPORTAGE DI GABRIELE VECCHIONI…..

 

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