di Gabriele Vecchioni
In diverse occasioni, su Cronache Picene, sono apparsi articoli relativi a luoghi del territorio del Monte dell’Ascensione legati alla religiosità popolare e a edifici ad essa connessi. Dopo il convento francescano di Poggio Canoso e la chiesa-oratorio farfense del Verdente è il momento di conoscere, un po’ più da vicino, uno dei santuari più “nascosti” del comprensorio, quello della Madonna della Consolazione di Montemisio di Capradosso.
Il santuario mariano, a poca distanza dalla strada provinciale che da Castignano raggiunge Rotella, non lontano dal già citato Verdente, è isolato in ambiente rurale e, come il precedente oratorio, è stato un punto di riferimento importante per il sentimento religioso della gente del posto: qui si teneva (e si tiene) una delle più antiche celebrazioni religiose del territorio, la Festa delle Canestrelle.
Come ricordato in un precedente articolo sono «… numerosi i santuari mariani delle Marche (ben 106!); la regione ha visto aumentarne fortemente il numero fin dai secc. XIV e XV, grazie all’opera degli Ordini religiosi e alla “vicinanza” del Santuario della Santa Casa, a Loreto, famoso e frequentato centro di venerazione mariana». Prima di parlare diffusamente di quello di Montemisio, ricordiamo che la parola santuario («dal latino sanctuarium, incrocio di sanctus e sacrarium, sacrario, del quale ultimo prende il posto nella terminologia cristiana, G. Devoto, 1968») si riferisce a una «chiesa sorta sul luogo di apparizioni miracolose o che contiene immagini sacre oggetto di venerazione». Non c’è una legge ecclesiastica che assegni il titolo di santuario a una chiesa; se manca la proclamazione vescovile, sono la tradizione e la devozione popolare che le dànno la prerogativa; è questo il caso di Montemisio; la voce popolare tramanda, infatti, una manifestazione del divino.
L’EVENTO RELIGIOSO
Il tempio ha cambiato più volte l’intitolazione; è stato dedicato anche alla Madonna della Tèmpera (cioè delle operazioni di irrigazione che rendono possibile la fertilità dei campi). Alla fine del sec. XVIII, il tempio era dedicato alla Madonna della Cintura, così chiamata perché la Vergine era raffigurata con una cintura protettiva alla vita. Nell’Ottocento ci fu il cambio di denominazione (in Madonna della Consolazione) per un evento fuori dell’ordinario, avvenuto proprio in quella località. Una tradizione popolare (raccontata senza riferimenti temporali, persa nelle nebbie del tempo e collocabile, quindi, in una dimensione tra l’onirico e il reale) vuole che, per scongiurare danni ai raccolti per la forte siccità che perdurava da circa 7-8 mesi, i paesani di Capradosso abbiano organizzato una processione penitenziale (e propiziatrice). Il corteo dei devoti scalzi, con in testa la statua della Vergine, arrivò al santuario per chiedere la grazia della pioggia; al ritorno in paese, il cielo si oscurò con nubi cariche di pioggia e cadde la tanto desiderata acqua. Sembra che lo straordinario accadimento descritto sia avvenuto nell’agosto del 1816; da allora, la festa si tiene in quella data.
I FARFENSI
La realizzazione della chiesa di Montemisio (come quella della non lontana chiesa-oratorio del Verdente) si deve ai farfensi, che hanno avuto un ruolo importante nella storia del Piceno. Vediamolo brevemente, recuperando un breve testo da un precedente articolo.
«I farfensi erano monaci dell’abbazia di Farfa, vicino Rieti. La storia dell’abbazia, lunga e ricca di episodi, si innesta in quella del Piceno nel 680, quando i monaci di Farfa presero carico del monastero di Sant’Ippolito a Santa Vittoria in Matenano. Fu la cosiddetta “seconda migrazione sabina”, dopo quella, arcaica e leggendaria, del ver sacrum delle popolazioni arrivate dal Reatino seguendo il volo di un animale totemico (un picchio).
Farfa diventò “Badia imperiale” all’epoca di Carlo Magno, arrivando ad avere potere e proprietà grandissimi. Dopo l’assedio dei Saraceni dell’890, molte attività furono trasferite nelle Marche e i monaci farfensi contribuirono, a partire dal fatidico Anno Mille, allo sviluppo culturale e sociale delle popolazioni picene. Nei secc. XII e XIII, i farfensi ampliarono i loro domìni nei Comitati Ascolano e Fermano e nel Ducato di Camerino, fino all’Anconetano». Padre Ippolito Brandozzi, religioso e fine poeta dialettale, ha scritto (1992) che «Nel periodo del suo massimo splendore, il monastero di Farfa estendeva i suoi domini dall’Abruzzo all’Italia settentrionale. Possedeva vasti territori anche nel Piceno».
IL SANTUARIO MARIANO
Testimonianze dell’opera capillare dei farfensi sono presenti nel territorio dell’Ascensione, dove avevano il monasterium Sancti Laurentii in Polesio cum castello di Rotella e altri possedimenti. L’oratorio del Verdente apparteneva alla curtis di Rotella e il monastero di riferimento era quello di Montemisio, località sede del santuario oggetto dell’articolo. Nel monastero avrebbe studiato un giovane monaco, Girolamo Masci, in seguito divenuto il papa Niccolò IV. Una volta eletto, Niccolò donò al convento una reliquia della Santa Croce, oggi a Capradosso. Il Convento rimase in essere fino al 1653, quando fu soppresso con una bolla papale, per il ridotto numero di monaci presenti.
La chiesa della Madonna della Consolazione, conosciuta dai più come Montemisio (già chiesa rurale Sanctae Mariae Montis Miscii), sorge su una stretta radura (geologicamente, una piana alluvionale), ai piedi della montagna dell’Ascensione, non lontano dalla frazione di Capradosso.
Il posto era frequentato fin dall’antichità remota, per la presenza di un centro religioso (il tempio di Diana) e perché qui passava il vorsus della Salaria, una strada che da Ascoli arrivava a Fermo, toccando Novana, località non ancora identificata con certezza (probabilmente era Montedinove). A Montemisio sono stati rinvenuti resti di costruzioni antiche, già segnalate da Giuseppe Colucci nel sec. XVIII: «[La chiesa di Montemisio] Dedicata alla Beatissima Vergine della Cintura, juspatronato della Comunità, nelle cui vicinanze si vanno scoprendo vestigi di antico abitato come ruderi di antiche muraglie, acquidotti, casse sepolcrali in pietra, e qualche antica medaglia».
IL NOME
Il toponimo deriva forse dalla presenza, in quel luogo, del già menzionato tempio pagano dedicato ad Artemide, la Diana dei Romani; l’altro nome della divinità era Artemisia e da “Monte di Artemisia” sarebbe derivato “Montemisio”, con la vocale finale trasformata da “a” in “o”, per accordarsi con la parola “monte”, di genere maschile.
LA CHIESA E LA DEDICAZIONE
Nella chiesa, costruita sulle rovine del tempio pagano dedicato a Artemide (Artemisia)-Diana, fu venerata la Madonna della Cintura e, successivamente, la Madonna della Tèmpera. Dopo gli interventi del Settecento, l’edificio prese il nome che ancora detiene, quello della Madonna della Consolazione, omaggiata nella festa del 15 agosto. La festa religiosa prevede due processioni solenni: da Capradosso al Santuario e il “ritorno” (dopo qualche giorno), da Montemisio al borgo sovrastante.
La chiesa attuale (secc. XVIII-XIX), inserita in un curato giardino, è costituita da una semplice aula a una sola navata, con l’altare di travertino con la statua della Madonna della Consolazione sul fondo. All’edificio, dotato di un’elegante facciata, sono addossate piccole costruzioni (una sagrestia e un’abitazione).
LA QUERCIA DI MONTEMISIO
Di fronte al santuario vegeta una quercia plurisecolare (si presume che abbia un’età di circa 400 anni), alta circa 25 m e di quasi 5 m di circonferenza, alla quale è legato un aneddoto: alla fine dell’Ottocento, il parroco di Montemisio aveva venduto le querce del bosco che circondava la chiesa alla ditta che doveva ricavarne le traversine per i binari della linea ferroviaria che seguiva la linea costiera adriatica, allora in costruzione; l’ultima quercia si salvò dal taglio per l’intervento dei contadini della zona che minacciarono il canonico, proponendo per lui la stessa fine dell’albero.
Davanti a quella quercia era stata celebrata e si sarebbe celebrata ancora per tanti anni la popolare Festa delle Canestrelle, molto diffusa nelle aree rurali picene, durante la quale giovani vestiti in costume tradizionale offrono alla divinità mannelle di grano (piccoli mazzi di spighe), frutto del recente raccolto.
LA FESTA DELLE CANESTRELLE
La moderna celebrazione, che si effettua in maniera continuativa dal 1897, è molto sentita dalle popolazioni locali; ogni anno, si tiene a Ferragosto, con una grande partecipazione di folla. A parte i “rituali” laici (bancarelle e altro) legati a questo tipo di festeggiamenti, ricordiamo che la festa è religiosa: è l’offerta tradizionale del grano, presentato in canestri di vimini (ecco il perché del nome!), alla Vergine, per ringraziarla del raccolto. In altre realtà picene, l’offerta si fa ad altri santi, come ad Amandola – forse la celebrazione più partecipata – dove la festa è in onore di Sant’Antonio Abate. Il fatto che il rito venga effettuato presso una chiesa rurale, lontana dai centri abitati, fa ritenere che esso abbia origini molto antiche. A sostegno di questa ipotesi, alcuni autori, come Eraldo Vagnetti (1992), portano il toponimo stesso, del quale abbiamo già disquisito, e i versi di Catullo che in un carme scrive di Diana «signora dei monti, delle verdeggianti selve, delle strade più riposte e dei fragorosi torrenti, da lei si riconoscono i prodotti annui della terra, ricchezza degli agricoltori». Versi che sembrano descrivere l’ambiente del Monte dell’Ascensione, dei suoi boschi e dei suoi torrenti impetuosi (nel caso di Montemisio, il torrente è il Torbidello) e celebrare l’offerta delle spighe di grano, prima alla vergine pagana poi a quella cristiana.
SE VI SIETE PERSI QUALCHE REPORTAGE DI GABRIELE VECCHIONI…..
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