di Lino Manni
Avevo quasi deciso di spegnere la Tv e portare a spasso Emy, il mio cane, dopo i primi quarantacinque minuti di Ascoli-Bari. Deluso non tanto per lo 0-2 ma soprattutto per quello che il Picchio aveva, anzi non aveva, fatto. Sempre secondi sul pallone, marcatura dell’avversario a cinque metri, atteggiamento (di alcuni) quasi indisponente.
Eppure la partita era iniziata bene, con il solito piglio della squadra di Castori. Poi arriva lui, il Var e dopo discussioni, visioni e… revisioni c’è il calcio di rigore per il Bari. Il calcio moderno è questo. Il contatto in area c’è stato, l’arbitro ha fatto proseguire invitando il giocatore del Bari a rialzarsi, poi il “richiamo” all’auricolare di chi in realtà arbitra la partita. Ovunque è così. L’Ascoli produce cali d’angolo, mette diversi palloni in area ma non succede niente. Non solo ma il Bari trova praterie e colpisce con il più classico dei contropiedi. Sembra il colpo del ko.
Fa però troppo freddo per uscire con il cane e allora, visto che la speranza è l’ultima a morire, do ancora fiducia al Picchio. Il secondo tempo è un’altra cosa. L’Ascoli torna battagliero e l’innesto di Celia, D’Uffizi e Nestorovski mette pepe alla partita, che si riaccende. I bianconeri fanno sentire il fiato al Bari, la pressione è costante. Poi quando ormai la paura fa… novanta, ci pensa Mendes. L’attaccante portoghese, maglia numero 90, realizza una doppietta, il primo gol su rigore calciato dopo cinque minuti per le proteste. Gli avversari invocavano la “grazia” del Var, ma si sa: “chi di Var ferisce… di Var perisce”. Alla fine il punto è più che meritato, ma serve più al morale che alla classifica.
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