di Walter Luzi
Ffonzì lo conoscono tutti. In coda sugli sci per prendere la seggiovia a Monte Piselli, o sul lavoro con la sua tuta da idraulico, Alfonsino Bianchini, classe 1936, ottantotto anni fra poche settimane, è il più chiamato ad alta voce, e salutato con calore. In ogni ambito ha saputo lasciare la sua inconfondibile impronta. In ognuno che ha avuto modo di conoscerlo, una considerazione alta e profonda. Da autodidatta con pochi mezzi economici è diventato presto uno sciatore provetto senza frequentare mai una scuola di sci. Ha amato, e ama, profondamente, la montagna. Alla quale si è avvicinato sempre con rispetto, senza sfidarla, ma godendo ogni volta della sua maestosità. Soprattutto quando la veste bianca e immacolata delle sue creste si staglia contro il cielo azzurro. Godendo dei suoi pendii in salita come in discesa. Amore totale.
Nel silenzio impagabile di una solitaria, come intruppato nelle affollate code ai tornelli di una funivia. Amici veri a centinaia, mai mancati in ogni epoca della sua lunga vita. Non di quelli finti però, schedati con un rapido e freddo like, che servono solo ad alimentare le vuote statistiche di Facebook. Ma veri. In carne e ossa. E cuore. Quelli fatti della sua stessa pasta. Con i quali stai bene insieme a prescindere. E sei accomunato dallo stesso grande amore. Con cui hai condiviso i sedili di una seggiovia e l’ebrezza di una pista nera. La neve, il sole, e il vento in faccia. Il ristoro provvidenziale di un bombardino, gli assaggi condivisi del buon cibo portato nello zaino da casa, le cene in allegria a raccontarsi le fatiche delle ascese sulle pelli di foca, e l’adrenalina delle discese sulla neve che luccica, e scricchiola sotto le lamine.
Queste sono le emozioni che ti legano a Ffonzì Bianchini. Amicizie che la sua positività, la sua umiltà, i suoi preziosi consigli, i suoi racconti di mille esperienze vissute in montagna, e anche nella vita, il suo sorriso contagioso sempre stampato sulle labbra, soprattutto, cementano per sempre.
A PIEDI FINO ALLE TRE CACIARE
La famiglia di Ffonzì è ascolanissima. Lui è figlio unico, e cresce nel centro di Ascoli, dove abita nei pressi del Teatro Ventidio Basso. In inverno, quando nevica spesso anche in città, con il suo amico d’infanzia Felicetti si inventano temerarie discese lungo le scalinate dell’Annunziata. Usano una vecchia scala a pioli come un bob a due. Velocissimo, ma ingovernabile. Le frequenti e rovinose cadute gli sbucciano la pelle, ma non smorzano minimamente il suo entusiasmo. A quattordici anni, con gli amici più stretti, comincia a mettere gli sci. “Non avevamo un soldo in tasca – ricorda Alfonsino – e così ci facevamo regalare i vecchi sci di legno che i primi pionieri ascolani di questa disciplina dell’epoca scartavano. Erano più grandi di noi. Fra di loro ricordo i Bartoli, i Pallotta, i fratelli Procaccioli, i Micucci, Claudio Perini, l’avvocato Saladini e il povero Zilioli”. I primi abituali compagni di avventura sono invece i coetanei Federico Crescenzi, il tappezziere, Franco Spinucci, l’orologiaio, Franco De Ridis, ed Elio Costantini, il pittore, fra gli altri. “Salivamo a piedi – ricorda con una punta di emozione – con gli sci in spalla da Porta Cartara fino alle Tre Caciare. Giunti lì battevamo la nostra pista scalettando vicini, in fila, tutti insieme su per il pendìo. Quando finivamo ci voleva già… l’olio santo, tanta era la stanchezza. In qualche occasione salivamo con la corriera delle autolinee Procaccioli, ma erano più le volte che dovevamo scendere a spingerla noi perché spesso rimaneva impantanata nella neve”. Tempi duri. Senza comodità e problemi di abbondanza. “Non avevamo nulla – continua – l’abbigliamento invernale lo rimediavamo usato da Brandozzi a Porta Romana. I pantaloni di castorino scartati dai carabinieri andavano benissimo. Bastava solo fare adattare un po’ le taglie. I primi scarponi, spendendo i nostri pochi risparmi, ce li facevamo confezionare dal calzolaio in fondo a Via Malta, che oggi si chiama Via del Trivio. Li conservo ancora tutti i miei scarponi, da sci e da montagna, in una sorta di museo privato nella mia casetta di campagna. Tranne un paio. Mi facevano malissimo. E così quella volta a Forca Canapine, nel bel mezzo di una discesa, non ce l’ho fatta più. Me li sono tolti, li ho scaraventati nel bosco, e sono a risceso a valle a piedi in calzettoni. Il primo scarpone personalizzato della San Marco venduto da Perini in città fu il mio. Un sistema moderno, innovativo, ad iniezione, che modellava la scarpetta interna su misura per il proprio piede. Ma tutti i materiali hanno conosciuto una evoluzione profonda. A cominciare dagli sci che oggi sono molto più corti e sciancrati rendendo tutto più facile ai neofiti. Per noi più anziani invece, fare le curve con quei tavoloni di oltre due metri di lunghezza è stato molto più difficile”. Alfonso ricorda anche il primo impianto di risalita entrato in funzione a Monte Piselli. “Se lo inventò Tullio Pallotta – continua – sulla “nostra” montagna, al Colle della Luna, nei pressi del rifugio “Paci”. Ci sembrò un lusso. Anche se il motore a scoppio che azionava la manovia si accendeva con le candelette, o, più spesso, a mano, girando la manovella”.
UNA VITA DA STAGNINO
Interrompe gli studi al secondo anno di Industriali, che frequenta malvolentieri nella vecchia sede di Porta Romana. Si mette subito a lavorare, imparando l’arte dell’idraulico con la ditta di Alfredo Mazzuca. “Per me è stato un maestro dei migliori – racconta Alfonso – in un quel lavoro che, all’epoca, si chiamava ancora di stagnino. Quando si faceva ancora tutto a mano. Saldature, innesti, giunzioni, e, soprattutto, le filettature sui tubi di ferro. Montagne di tubi ho filettato con la forza delle sole braccia. Poi con il progresso, l’arrivo di nuove attrezzature e materiali, è diventato tutto più facile. Ma troppo tardi per noi più vecchi, che ci eravamo già ammazzati di fatica”.
Quando parte la moderna cestovia di San Giacomo Monte Piselli diventa alla portata di tutti. “Le file di persone in attesa di salire la domenica – racconta sempre Alfonsino – si allungavano per centinaia di metri, dall’albergo di Remigio fino alla stazione di partenza. Quando c’era brutto tempo ti davano una coperta proteggerti dal freddo e si saliva in due, più, in caso di necessità, un bambino. Era lenta, ma la gente arrivava da tutte le Marche e dall’Abruzzo, perché di piste così lunghe e belle ce ne erano poche altre dalle nostre parti”. E’ un autodidatta Alfonso. “Guardavo quelli più bravi e li emulavo – spiega – penso di essere portato per lo sci perché faccio presto ad assimilare, e poi ho una certa elasticità fisica mi agevola non poco. Ho sciato tantissime volte insieme al maestro Domenico Cagnetti, che ha avuto il grande merito di aggiornarsi sempre, con l’evolversi delle tecniche e dei materiali. Come me del resto, sempre spinti, entrambi, dalla grandissima passione”.
Artigiano valente e affidabile, lavora per sedici anni anche alle dipendenze dell’Elettrocarbonium, dove continua però come manutentore idraulico, a stringere in mano chiavi inglesi e serratubi. I due figli, Luca e Walter, hanno ereditato il lavoro di idraulico, il primo, ed, entrambi, la sua smisurata passione per lo sci e la montagna. “Ho lavorato per tanti anni – confessa Alfonso – anche quindici ore al giorno. Chi lavora in proprio, se non lavora non mangia. E poi ho scelto di non assumere dipendenti, ho fatto quasi sempre tutto da solo, ed è stata dura”.
L’AMORE PER LA MONTAGNA
A Cervinia Alfonso è di casa. La prima volta c’è stato nel 1978, insieme al suo grande amico Angelo Giorno, e una delle tante comitive che ha guidato in oltre sessant’anni di sci e scialpinismo.
Insieme a grandi appassionati come lui ha arrampicato e disceso per diciotto volte le vette più alte, oltre i quattromila metri, delle Alpi. Ha passato giorni e giorni in quota superando dislivelli notevoli e l’astinenza da piatti di tagliatelle. “I cibi liofilizzati – rivela – con cui ci alimentavamo non sono la stessa cosa. Poi, una volta ritornati alla base però, ho recuperato abbondantemente…”. Sale su tutto il gruppo del Monte Rosa con Enrico Vallorani e Ares Tondi, sul Monte Bianco, invece, con Pino Alesi e Angelo Piciacchia.
Ascesa che ripete da entrambi i versanti, italiano e francese, e poi il Gran Paradiso, sia in estiva a piedi che invernale sugli sci. Due varianti ripetute, ovviamente, anche sulle più vicine montagne del “nostro” Appennino: Sibillini, Laga, Gran Sasso, Maiella, fino al Velino. Alfonso è salito una volta persino sull’Etna, dove, a cento metri dalla vetta, è dovuto tornare indietro a causa di una improvvisa e violenta emissione di gas dal cratere.
Una delle sue tante avventure da raccontare. Con la semplicità e la stessa umiltà della sua vita di idraulico, attività nella quale si è fatto apprezzare, soprattutto, perché il proprio lavoro lo ha amato. E la passione che lo ha sempre mosso verso le montagne innevate. La lunga, grande epopea della stazione sciistica di Monte Piselli, gioiello unico troppo bistrattato e infine, improvvidamente, avviato a un fine vita senza speranza, lo ha visto fra i più affezionati frequentatori.
Con il direttore tecnico Sandro Alesi e gli operatori storici, Luciano De Vecchis, Giovanni Menzietti, Lino Di Saverio e Franco Sirocchi, dell’impianto che tutta l’Italia centrale ci invidiava, ha scritto le pagine più fulgide e romantiche di un trentennio sciistico ascolano irripetibile. Il gruppo abituale con cui si muove oggi comprende gli amici di una vita, tutti sciatori di primo livello, come Tonino Corvaro, Walter Giannelli, Franco Perini, Stefano Rubini, Andrea e Gigi Montani, Tonino Migliori, Vincenzo Clerici, fra gli altri. Sport che diventa spasso, aria buona e buona tavola, discese mozzafiato e sbicchierate in allegria si fondono e sublimano. E’ il top. Stare bene insieme, a condividere uno dei piaceri più belli della vita. Qualche volta alcune comitive di amici lo chiamano come accompagnatore anche per avere da lui consigli di perfezionamento della tecnica. Il distintivo da maestro avrebbero dovuto assegnarglielo da un pezzo honoris causa per la sua lunghissima militanza, la straordinaria passione che lo ha sempre mosso, da giovanissimo autodidatta, poi skier non professionista, fino a toccare la perfezione stilistica che lo ha sempre contraddistinto. Con candida umiltà, gentilezza e giovialità innate, e una indole genuina e pura mai venuta meno.
Alfonsino continua a tenersi in forma in maniera invidiabile per un ottuagenario. “Alla mia età se non ti alleni dove ti presenti poi…”. Lontano anni luce da una casa di riposo, pure residenza obbligata molto diffusa fra i suoi coetanei. Lui invece sta preparando la partenza per l’ennesima avventura. Destinazione Cervinia. Le esaltanti discese verso Zermatt, e lungo la leggendaria pista Ventina che dal Plateau Rosa scende fino a Breuil, lo aspettano. Ancora una volta. “La nostra corda – spiega – si fa ogni giorno più corta. Finchè reggono queste – dice con l’immancabile sorriso stringendosi i quadricipiti delle gambe – dobbiamo darci sempre dentro, al massimo…”.
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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