Alle Tre Caciare della Montagna dei Fiori, tra natura e storia
NELLA LOCALITA' montana nei pressi della città picena (conosciuta dagli ascolani anche come l’Intermedia, la stazione “di mezzo” dell’ovovia che da San Giacomo raggiungeva Monte Piselli) è possibile effettuare un’interessante, appagante escursione tra natura e storia, quasi un viaggio nel tempo, tra memorie pastorali e di mestieri ormai quasi scomparsi
Autunno e inverno alle Tre Caciare (foto G. Vecchioni e A. Palermi)
di Gabriele Vecchioni
La località denominata Tre Caciare è situata sulla Montagna dei Fiori, in territorio abruzzese dal punto di vista amministrativo, ma da sempre legata ad Ascoli Piceno e frequentata da escursionisti e da sciatori provenienti dalla città picena, è raggiungibile da Colle San Giacomo con una panoramica strada sterrata: è un luogo dove natura e storia si fondono per realizzare un unicum interessante.
Le emergenze naturalistiche e testimoniali di interesse storico-antropologico che s’incontrano durante il percorso lungo il cosiddetto Anello delle Tre Caciare sono facilmente “leggibili” e permettono un percorso integrato, culturale e naturalistico al tempo stesso. Facilmente raggiungibile in auto e con una vasta zona adibita a parcheggio, la zona permette, anche a chi non è appassionato di escursionismo di trovare soddisfazione, semplicemente vagabondando nell’area.
Dalla stazione delle Tre Caciare (ex “Intermedia”) parte la seggiovia per Monte Piselli (foto N. Cesari)
COMINCIAMO DAL NOME
La località prende il nome dall’omonimo insediamento pastorale semi-stabile, situato in una posizione strategica rispetto alle aree pascolive della Montagna dei Fiori e ai punti di abbeverata. Il complesso è costituito da tre capanne di pietra (le caciare del toponimo) e da diversi recinti contigui, pure in muratura a secco.
Il termine caciare deriva, per omofonia, dal più corretto “casali” (dal latino casula, casetta), termine con il quale vengono indicate tali costruzioni in altre aree del rilievo. L’errore deriva dall’errata comprensione del termine, pronunciato nelle aree abruzzesi ca(s)ciale, con la e finale muta; il comprensibile accostamento, per associazione di idee, dei pastori con il “cacio”, ha portato alla diffusione e al consolidamento del termine nel linguaggio.
Alle caciare della Montagna dei Fiori Cronache picene ha dedicato un articolo qualche tempo fa(leggilo qui), al quale si rimandano gli interessati.
Le capanne di pietra a secco sono il più forte segnale di identificazione della montagna: Sono “semplici” architetture spontanee, conosciute anche come capanne a tholos, un termine che evidenzia la particolarità costruttiva della cupola, una falsa volta che ricorda le tombe micenee. È interessante notare che la tipologia costruttiva è vecchia di millenni ed è diffusa in un’area geografica vasta, relativamente delocalizzata: questo tipo di costruzione si ritrova, infatti, dall’area mediterranea fino alle lontane isole inglesi, in zone relativamente vicine alle coste. All’interessante argomento sarà dedicato un prossimo articolo.
Escursionista nella faggeta (foto G. Vecchioni)
I RECINTI PER IL BESTIAME
Ai manufatti, restaurati circa vent’anni fa, sono contigue altre strutture, aree recintate con opera in pietra a secco (materiale litico proveniente dall’operazione di spietramento dei fondi, per migliorare i pascoli) che avevano lo scopo di permettere il ricovero notturno degli armenti. È l’unica struttura del genere presente sulla “nostra” montagna mentre sulle montagne calcaree abruzzesi è piuttosto diffusa ed è conosciuta con un termine specifico (mandróne, procojo). Veniva usata anche per isolare pecore malate o per favorire interventi da effettuare sul gregge.
La passatóra (spiegazione nel testo – foto G. Vecchioni)
LA VEGETAZIONE DEGLI STAZZI
Nei pressi degli stazzi (aree di sosta e ricovero delle greggi) abbandonati si sviluppa una flora nitrofila, a causa dell’alta concentrazione delle deiezioni animali. L’apporto di composti azotati favorisce lo sviluppo di una flora specializzata (l’unica che sopporti tali alte concentrazioni); tra le piante presenti (e facilmente riconoscibili), l’ortica e il sambuco.
Un altro segno di abbandono delle aree sfruttate a pascolo è la presenza di cardi (Carlina sp). Altri indicatori del fenomeno sono gli arbusti spinosi che cominciano a conquistare terreno ai bordi dell’area; tra questi lo spino cervino, che ha le bacche e la corteccia tossiche, con una forte azione purgante.
Una breve digressione sulla tipologia delle aree a pascolo. Le aree pascolive montane (anche quelle della zona in questione) presentano diverse tipologie: pascoli di origine primaria, legati soprattutto all’altitudine (il limite forestale per queste zone arriva, all’incirca, sui 1600-1800 m); al di sopra di questa quota, i pascoli sono “naturali”; pascoli di origine secondaria, creati dall’uomo con il disboscamento, abbassando il limite forestale superiore; pascoli chiusi (all’interno delle aree boschive, le cosiddette chiarìe o radure): anch’essi sono spesso creati dall’uomo.
Dall’area delle Tre Caciare parte il sentiero che si inoltra nel Vallone (foto A. Palermi)
IL LAGHETTO ARTIFICIALE
Nell’area delle Tre Caciare, vicino alla stazione di partenza della seggiovia (la cosiddetta, già citata Intermedia) si trova una depressione che veniva utilizzata come bacino di raccolta per le acque piovane. La piccola conca artificiale è stata costruita alzando opere di contenimento in pietra a secco (materiale disponibile in abbondanza in una montagna calcarea), vicino alle aree di pascolo, per permettere l’abbeveraggio delle greggi. Il fondo dell’invaso è stato “piastrellato” con pietre piatte di grosse dimensioni, per ridurre l’infiltrazione dell’acqua nel terreno.
Bosco ceduo di faggio (foto G. Vecchioni)
LA NEVIERA
Quando la neve e il ghiaccio erano l’unica fonte del freddo, i montanari realizzavano strutture particolari, le neviere, per poterli conservare. Esse erano costituite da fosse “a pozzo”, ricavate sfruttando solitamente depressioni naturali, su versanti freschi e poco soleggiati, preferibilmente esposti a nord-est, in sottoboschi ombrosi. Spesso le pareti della depressione erano rialzate da muri di pietra a secco e, a volte, il fondo veniva parzialmente ricoperto con pietre di forma piatta per meglio isolare la neve dal terreno.
Vicino alle Tre Caciare c’è una delle neviere meglio conservate della zona, una struttura segnalata e ancora perfettamente leggibile.
La neviera (spiegazione nel testo – foto M. Morganti e A. Palermi)
IL BOSCO CEDUO DI FAGGIO
Boschi di questo tipo sono utilizzati per la produzione di legname (da ardere, da opera o per palerìa); il nome deriva dalla parola latina caedere (tagliare) e sfrutta la capacità pollonifera del faggio cioè la caratteristica di emettere ricacci dall’area basale del ceppo tagliato. Il taglio del bosco è regolato da regole severe, fatte rispettare dal Corpo Forestale (confluito, nel 2016, nei Carabinieri Forestali): esiste un turno di ceduazione, legato alla specie di albero forestale e c’è l’obbligo di permettere il rinnovo del bosco, lasciando esemplari intatti (le matricine).
Sulla nostra Montagna è difficile incontrare alberi vetusti, perché il bosco è stato sottoposto a una secolare pratica di ceduazione; sono presenti, però, ceppaie secolari, con diametri piuttosto ampi.
Alle Tre Caciare i sentieri si inoltrano in un suggestivo bosco ceduo che copre gran parte del rilievo; le piste da sci sono state ricavate proprio disboscando la faggeta.
II faggio è un albero forestale dal portamento maestoso, se lasciato crescere indisturbato. Gli alberi più vecchi possono raggiungere i 40 m di altezza, con una chioma massiccia, espansa e ramosa, e una corteccia liscia di colore grigio, squamosa a maturità. Nell’area appenninica forma foreste dense che, a maturità, creano una vòlta compatta che impedisce il passaggio della luce e la crescita del sottobosco: una delle caratteristiche della faggeta è di essere un bosco “pulito”, ideale per gli escursionisti. In autunno, le foglie assumono spettacolari, calde colorazioni rosso-bruno.
Stazzo per il contenimento degli ovini (foto G. Vecchioni)
I BIOINDICATORI
Nonostante l’intervento dell’uomo, nel bosco è possibile individuare la presenza di indicatori biologici che testimoniano le condizioni di salute del bosco stesso. In particolare, il bosco sano ospita muschi e licheni (su tronchi e rocce), funghi (quelli del sottobosco e quelli dei tronchi, le poliporacee) e, tra gli animali, invertebrati (coleotteri divoratori del legno marcescente), molluschi (lumache e chiocciole) e picidi (i picchi), difficili da vedere ma riconoscibili per il caratteristico, ritmico rumore.
A terra, la lettiera, assai spéssa nei boschi di faggio, è costituita dagli strati di foglie cadute e in putrefazione. Nella lettiera avvengono processi di mineralizzazione dei residui organici, grazie agli organismi decompositori.
Recinzioni in pietra a secco (spiegazione nel testo – foto G. Vecchioni)
IL BELVEDERE
Dalle Tre Caciare, un breve, suggestivo sentiero nel bosco porta al Belvedere. Lungo il percorso, resti della recinzione delle aree di pascolo e qualche struttura lignea: è la passatóra. La struttura non interrompeva la recinzione di filo spinato e permetteva, per la sua particolare conformazione a doppia scala, il passaggio dei pastori ma non quello delle pecore.
Dal balcone panoramico si gode una ampia vista sul territorio circostante. In particolare: a sinistra, il territorio argilloso fortemente eroso dell’area calanchiva del Monte dell’Ascensione; di fronte, il comprensorio della bassa Valle del Tronto, fino alla linea di costa che si affaccia sul Mare Adriatico; a destra, la zona collinare del Teramano, con la rupe di travertino di Civitella del Tronto, sede dell’omonima Fortezza militare (il cui nucleo primitivo risale all’XI secolo) e la dirimpettaia abbazia benedettina di Monte Santo.
Tre Caciare d’inverno: un igloo di pietra (foto A. Palermi)
Strutture in pietra a secco (foto G. Vecchioni)
SE VI SIETE PERSI QUALCHE REPORTAGE DI GABRIELE VECCHIONI…..