di Walter Luzi
Neppure nonno Alfonso, forse, se lo sarebbe mai potuto immaginare. Un ciclista della famiglia Ceci, un giorno, con la maglia iridata indosso e la medaglia d’oro di un campionato mondiale appesa al collo. Quel giorno è arrivato. Francesco Ceci, neo campione del mondo di Paraciclismo nel tandem, è appena tornato a casa da Rio de Janeiro.
Ad aspettarlo a braccia aperte, con una punta di commozione in più stavolta, il papà Claudio, il fratello Davide, la mamma Giuliana, la zia Nadia. I suoi primi, irriducibili, tifosi. I suoi affetti più grandi. Sempre al suo fianco, nei giorni belli e, soprattutto, in quelli meno belli. Immancabili, in giorni indimenticabili come questo. E poi gli amici più stretti, i meccanici dell’officina Ceci, che, almeno per qualche minuto, chiude le porte e stacca i telefoni nella sede del Battente. Dove batte forte il cuore dei Ceci. Passione antica per lo sport del pedale. Arriva qui Francesco, dove la sua famiglia intera lavora da sempre nell’attività di famiglia fondata dal nonno. Cicli e motori. La velocità nel sangue. Abbracci e lucciconi.
Mamma Giuliana ha preparato, per tutti, un piccolo rinfresco, con la bottiglia delle grandi occasioni da stappare. Emozione vera di gente semplice. Come Francesco. Gioie condivise e meritate. Bandiere tricolori esposte e uno striscione iridato appeso al balcone che recita “Bentornato world champion” Una soddisfazione immensa, per tutti loro, questo mondiale brasiliano di Paraciclismo, vissuto fremendo davanti alla tv.
Una gioia che li ripaga, tutti, dei sacrifici, di ogni genere, sostenuti in una vita di corse e trionfi, e anche di qualche amarezza. Francesco, ancora in pantaloncini corti dopo il lunghissimo viaggio fa il punto: «La medaglia d’oro vinta nella giornata di esordio nel Team Sprint tandem B, e arrivata, fra virgolette, inaspettata, ci ha galvanizzati. Avevamo voglia di battere, finalmente, gli inglesi campioni del mondo in carica. Riuscendoci, con una prova straordinaria, insieme ai miei compagni di squadra Stefano Meroni, Chiara Colombo ed Elena Bissolati, siamo stati felicissimi. Ci tenevamo a ripeterci. Il quarto tempo ottenuto in qualifica nel chilometro da fermo, a soli due decimi dalla zona podio, era incoraggiante. Ma in finale poi non siamo stati altrettanto brillanti e non siamo riusciti ad andare oltre il quinto posto».
Ma segnali positivi non sono comunque mancati per voi neppure da questa seconda prova:«Sì, ci siamo migliorati sia in termini di piazzamento che di tempi – continua Francesco Ceci – abbiamo risalito cinque posizioni e guadagnato un secondo e sei decimi rispetto alla scorsa edizione. C’è da essere soddisfatti». Terza gara, di velocità. «In qualifica avevamo fatto addirittura registrare il secondo tempo – racconta – ma il sorteggio ci ha riservato nella batteria eliminatoria proprio il tandem francese, già bronzo agli ultimi mondiali. E’ una coppia molto affiatata e collaudata che, battendoci, ci ha relegati nelle ultime posizioni della finale».
Due finali mondiali leggermente sottotono, ma comunque soddisfacenti in un percorso di crescita, che, dopo l’exploit della giornata inaugurale, non hanno rovinato minimamente la festa in casa Ceci. Un oro mondiale, quello vinto da Francesco in coppia con l’atleta ipovedente comasco Stefano Meroni, che fa ben sperare in vista delle prossime Olimpiadi di Parigi, in programma fra agosto e settembre. Anche se il campione ascolano ci va cauto.
«Le qualifiche olimpiche si chiuderanno solo dopo il mondiale di Paraciclismo su strada – ci spiega – e solo dopo quella ultima prova si stilerà il ranking per nazioni che dirà quanti posti ci saranno disponibili per l’Italia a Parigi. A quel punto decideranno i nostri tecnici la formazione da portare ai Giochi. Noi abbiamo dato il massimo. Ad oggi le Olimpiadi restano un sogno, una speranza, e un obiettivo».
Quando vi rivedremo in pista? «Ora riposiamo un po’, che ci vuole anche – ci scherza su – in giugno, a Padova, si disputeranno i Campionati italiani. Con Stefano, il mio compagno di tandem, da poco più di un anno a questa parte, abbiamo conosciuto una disciplina completamente nuova e raggiunto livelli che ci danno consapevolezza dei nostri mezzi. Ma continuiamo a spostare la nostra asticella di rendimento sempre più in alto».
Non ci sono conferme, ma la possibilità di tornare a correre, nel frattempo, anche da solo, forse potrebbe concretizzarsi. Per un altro trofeo, in una carriera luminosissima, c’è sempre spazio nella sua smisurata bacheca, che arriva a contare, finora, trentasei titoli italiani.
Aveva quindici anni quando vinse il primo. Quest’anno ne compirà trentacinque. Qualcuno lo aveva dato per finito, e messo anticipatamente alla porta, quelle della Nazionale e del Gruppo Sportivo militare di Polizia Penitenzaria, le Fiamme Azzurre, dove militava, a trentadue. Bizzarro davvero per un campione nazionale in carica ancora imbattuto. Ora, con una maglia iridata addosso, the champion is back.
Lo diceva sempre nonno Alfonso: niente è impossibile.
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