di Walter Luzi
Dicono che in Ascoli possa vantare una storia antica quanto quella dell’Ascoli Calcio, fra i club italiani più longevi nato nel 1898, certo è che il pugilato ascolano, fin dai primi tempi della Pro Patria, è sport di grande tradizione. Certamente con una attività iniziata ancor prima della fondazione, nel 1916, della Federazione nazionale. Quando l’Istituto tecnico commerciale e per geometri di Via delle Torri è ancora una caserma, la “Mancini”, la sua palestra diviene il ritrovo abituale di giovani aspiranti pugilatori nostrani.
E’ la Gioventù Italiana del Littorio a far scendere appositamente da Ancona l’ex pugile Bontempi per farlo diventare il primo, qualificato, maestro di quella prima scuola pugilistica ascolana. Siamo a metà degli anni Trenta, prima ancora che la Federazione nazionale entri, accadrà nel 1927, a far parte del Coni. Primo Carnera, neo primo campione del mondo italiano dei pesi massimi, e strumento inconsapevole della propaganda di regime, si è già esibito sul palco del teatro Ventidio Basso suscitando grande entusiasmo. Solo grazie alle colonne di Flash, e al suo benemerito fondatore e direttore Vincenzo Michelangeli Prosperi, le notizie che riportiamo sono potute arrivare fino a noi.
Nomi ed avvenimenti, patrimonio della cultura sportiva cittadina, documentati dagli scatti di un altro testimone decisivo. Fernando Cavicchioni. Primo, storico, appassionato fotoreporter cittadino, allievo di Bito Coppola, e cresciuto nell’omonimo studio fotografico. Scatti in bianco e nero sbiaditi dal tempo, ma che sono testimonianze preziose ed eloquenti di quella epopea romantica della boxe ascolana. Essenziale. Nuda e cruda. Come quei torsi e quelle teste esposti ai colpi. Pionieristica sotto tutti gli aspetti. Fatta, soprattutto, di coraggio, sudore e sangue. Basica, minimalista, come quei pantaloncini corti e anonimi.
E propria di un’epoca dove si era, tutti, smaniosi di dimostrare, in qualche modo, in ogni campo, le proprie capacità e il proprio valore. Agostini, Nardinocchi, Felicetti, Zampetti, De Panicis, Citeroni, il sambenedettese Piunti fra gli altri. In mezzo a quei primi allievi di Bontempi, e del suo degno successore Emidio Castelli, anche i fratelli Lionello “Babbò” e Francesco Moretti. Quest’ultimo diventerà una autentica istituzione di questo sport nella sua città. Una sorta di amatissimo secondo padre per tutti i ragazzi che, sotto la sua guida, si affacceranno a questa dura disciplina e con i quali saprà sempre instaurare un rapporto affettivo che andrà ben oltre le dodici corde del ring. Sono molto frequenti le riunioni di pugilato organizzate in Ascoli, che vedono in cartello, sovente, anche combattimenti di professionisti. I ring vengono allestiti nei mesi più caldi, e puntualmente nel quadro dei festeggiamenti del santo patrono, al campo sportivo comunale Squarcia.
Oppure al chiuso, sui palcoscenici del Teatro Ventidio Basso e del Supercinema. E riscuotono sempre un gran successo di pubblico.
NASCE LA “COLLE SAN MARCO”
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, nasce una nuova società pugilistica, la “Colle San Marco”. Nome scelto sull’onda emotiva della pagina, eroica e tragica, scritta di fresco con il sangue della meglio gioventù ascolana su quel pianoro. Il primo presidente è Vincenzo De Scrilli. Allenatori, fra gli altri, ne saranno Ettore Mortale, Ludovico Agostini, e infine Francesco Moretti. Suo fratello Lionello e Antonio Volponi, diverranno i primi professionisti negli anni Quaranta e Cinquanta. Con loro anche Emidio Cacciatori, che arriverà, primo ascolano a riuscirci, prima al titolo italiano e quindi europeo nei pesi Gallo con i colori di una scuderia bolognese.
Sono loro i primi boxeur ad incidere il proprio nome nella hall of fame del pugilato ascolano. E fra loro Emidio Cacciatori può essere dunque considerato l’ascolano ad essere arrivato più in alto nella storia cittadina di questo sport. Che affonda le sue radici addirittura nella antichissima civiltà della Grecia antica, da dove ci arrivano le prime testimonianze, e che continuerà ad essere sempre definita, comunque, fra polemiche e qualche doloroso, tragico incidente sul ring, come la noble art.
FRANCESCO DE ANGELIS
Classe 1941, inizia ragazzino, a quindici anni, sotto la guida del maestro Moretti. Nella vita ha già imparato a fare mille lavoretti per sbarcare il lunario, prima di trovare un impiego sicuro alle Poste. E’ originario di Marino del Tronto dove combatterà anche sul ring allestito appositamente nel piazzale dello stabilimento di bibite Paoletti.
E’un peso Leggero, poi Welter, difficile da controllare. Milita nella Piccolo ring che sulle canotte porta la scritta Remo Zenobi. Un mancino con guardia normale, come il suo idolo Nino Benvenuti insieme al quale avrà l’onore, e per sempre il vanto, di essersi anche allenato dopo il suo ingresso nel giro azzurro. Figura infatti fra i Dilettanti Juniores più promettenti a livello nazionale. Con la nazionale partecipa anche a riunioni internazionali sempre ben figurando. I giornali parlano spesso di lui come di una giovane promessa in questo sport. Passa professionista nel 1963 e si affida al manager americano di origine ungherese Stephen “Steve” Klaus, che vanta nella sua affollata scuderia quasi tutti i campioni del momento come, fra gli altri, Duilio Loi, Sandro Mazzinghi e Sandro Lopopolo. Non è un caso che il navigato e smaliziato ex allenatore di pugilato in Usa, Ungheria e Italia, punti anche su di lui.
Ma De Angelis sotto la sua guida non avrà troppa fortuna. Nè il dovuto supporto. Sarà infatti un bel pugile professionista, ma le sue grandi potenzialità non verranno mai adeguatamente affinate e messe a frutto. Disputerà brillantemente, sempre nelle Marche, diversi match internazionali. La moglie Teresa, che sposerà nel 1967, e i due figli Maria Grazia e Walter conservano ancora, gelosamente, le tantissime foto della sua carriera sportiva, alcune locandine delle riunioni a cui aveva partecipato, e tanti articoli di giornale che parlano delle sue imprese.
Speranze che naufragheranno inaspettatamente una notte del 1964 al teatro Ventidio Basso. Nella sua città, davanti al suo pubblico, i sogni di una ormai imminente sfida per il titolo italiano, si infrangono dopo una brutta sconfitta contro un avversario troppo ostico ed esperto anche per un combattente indomito come lui. Il Ventidio è gremito in ogni ordine di posti. Pubblico delle grandi occasioni venuto a fare il tifo per lui, e per ammirare il futuro campione del mondo Nino Benvenuti, che si esibirà nel match clou della serata.
L’avversario di De Angelis è un brasiliano scorbutico di caratura internazionale non ancora alla sua portata. Si chiama Fernandez De Jesus. All’angolo dell’ascolano, quella notte, il suo manager Klaus, evidentemente poco accorto nella scelta del rivale per il suo pupillo, e troppo occupato altrove, non c’è. Non c’è nessuno a pensare di interrompere il match quando la punizione si fa troppo severa per Francesco. Ma sicuramente neanche lui avrebbe accettato una spugna di resa buttata sul ring, quella notte. Lui non è di quelli che sanno limitare i danni in certi casi, legando l’avversario, o mantenendo le distanze indietreggiando.
Continua ad attaccare, generosamente, scoprendosi, finisce l’incontro in piedi, ma subisce una dura lezione e una brutta sconfitta. Continuerà a boxare, comunque, fino alla fine degli anni Sessanta, con la dignità senza acuti che appartiene a tutti i grandi cui è mancato solo un pizzico di indispensabile fortuna per diventare campioni. Continuerà, fino all’ultimo dei suoi giorni, anche a sfogliare l’ormai consunto vecchio album dei suoi ricordi di boxeur. Sempre vivi. E a riguardarsi quelle tante foto ingiallite dal tempo. Con gli stessi occhi di chi non smette di rimpiangere un vecchio, grande amore, tramontato, ma mai sopito. Scoprirà altre, altrettanto forti, passioni, liberando la propria vena artistica. Nella pittura, e, soprattutto, nella scultura. Non riesce proprio a fare a meno infatti di fatica e sacrificio, proprie del pugilato, anche plasmando, fra il rumore degli utensili e la polvere della pietra, il travertino. Lascia segni tangibili ai posteri di questa sua seconda passione, ancora godibili fra le opere in mostra perenne, in pochi lo sanno, lungo la passeggiata al Molo di San Benedetto, e sulla rotonda di Via Kennedy nella sua città. Se ne va, ammalato, in punta di piedi, nel 2021, senza che nessuno gli tributi il doveroso, e più che meritato, omaggio.
GUERRINO PACI
Dopo Francesco De Angelis, ancora nel cuore di tanti appassionati con i capelli bianchi, bisogna arrivare agli anni Ottanta per ritrovare un nuovo beniamino di casa. In questo decennio il pugile ascolano più rappresentativo è senz’altro Guerrino Paci.
Superleggero dal buon percorso da dilettante partecipa anche, senza troppa fortuna, ad una selezione preolimpica. Rimedia una sola sconfitta nei sei match disputati da professionista prima del ritiro dalle scene agonistiche. Quindi inizia l’attività di allenatore nella “sua” Colle San Marco. Una scuola che nasce, nel 1991, dalla scissione seguita alla morte, nel dicembre 1989, di Francesco Moretti.
La scomparsa del vecchio maestro contribuisce a rompere, in effetti, l’unità del movimento pugilistico ascolano. Presidente, e generoso sponsor, ne diverrà un altro esponente di primo piano della boxe ascolana degli anni Sessanta e Settanta. Bruno Galanti, popolare Assassino dei prezzi alti nei suoi bazar. Nei welter leggeri, aveva vinto infatti, poco più che adolescente, nel 1958, il titolo regionale dilettanti su un ring approntato per l’occasione nel cortile della scuola di piazza Sant’Agostino. Alle finali nazionali però non era andato perché il papà Mario aveva troppo bisogno del suo aiuto nell’attività di famiglia di cordai. In seguito era passato ai welter, e quindi ai welter pesanti, nelle fila del team “Nello Vichi” di Pesaro riuscendo a vincere, grazie alla sua buona scherma, quarantadue dei sessantanove match disputati.
«Pur senza essere, pugilisticamente parlando – come ama dire lui – un eroe». Una passione senza fine la sua, che lo porterà, da presidente, a organizzare tanti grandi eventi pugilistici in città, e a ristrutturare a proprie spese due palestre per i suoi giovani praticanti. Fra i pugili nostrani degli anni Settanta e Ottanta che si faranno onore vanno ricordati Alessiano Tedeschi, l’azzurro Claudio Sagripanti, il medio-massimo Stefano Ciabattoni e Roberto Bernabei. Sull’altro fronte nasce invece la pugilistica Ascoli Boxe. Porterà a lungo anche il nome del suo ricco e benemerito sponsor, la Bajengas, una delle tante aziende create da un’altra vecchia gloria cittadina di questo sport. Ivo Brandimarte. Ex pugile anche lui, si impegnerà sempre, con la stessa generosità, come mecenate di questo sport nella sua città. Alla guida tecnica ci sono l’ex promessa locale Nino Di Donato e Attilio Romanelli.
ATTILIO ROMANELLI
Classe 1953, è l’anima dell’Ascoli Boxe, discendente anch’essa della gloriosa Pugilistica Ascoli San Marco, in cui è stato atleta prima e allenatore poi, da quasi mezzo secolo a questa parte. Comincia a boxare a diciotto anni con il maestro Moretti. «Un padre per tutti noi, non solo un allenatore – ci dice Romanelli – grande motivatore. Sapeva rincuorarti sempre. Con lui all’angolo ti sentivi sicuro».
Non vanta una grande carriera da agonista, ma della boxe è rimasto sempre innamorato. E’ stato campione regionale dilettante Juniores ed Elite, fra le categorie Piuma e Superwelter. Quando smette e passa, subito, ad allenare i ragazzi più giovani, trasla la sua correttezza e serietà nella nuova veste di educatore. Molti gli allori nazionali guadagnati, o mancati in finale, negli anni, nelle varie categorie dai suoi allievi. L’albanese Katri Jurai, Marco Fioravanti, Silvio Secchiaroli, Andrea Sansoni, Tonino Vagnoni, e, fra gli altri, Fabiani, Tedeschi, Ruffini, e Roberto Bassi. Tutti della vallata del Tronto. Oggi la sua palestra è affollata da tanti giovani e giovanissimi. C’è anche qualche ragazzina. Romanelli ha avuto infatti in scuderia anche una donna pugile che ha ottenuto buoni risultati.
E’ Carlotta Paoletti, tre titoli italiani, un Guanto d’oro e un bronzo agli Europei Under 21 del 2022. Recentemente è tornata ad allenarsi con lui. La storia continua.
L’OLIMPIONICO CHRISTIAN GIANTOMASSI
Gli anni Novanta vedono le gesta dell’ultimo campione ascolano della boxe. Christian Giantomassi. Classe 1973. Vanta quasi trecento match fra dilettanti e professionisti, un terzo dei quali disputati con la Nazionale. Comincia a dodici anni con l’Ascoli Boxe del maestro Francesco Moretti.
Sarà lui a farlo innamorare di questo sport, a trasmettergli i valori importanti della vita, a insegnarli prima della scherma, il rispetto per le regole e per le persone. Il loro sarà sempre un rapporto speciale. Di affetto reciproco profondo. Christian comincia ad allenarsi alla palestra di atletica pesante in Via De Dominicis, ma il maestro lo va e prelevare e lo riporta a casa lui stesso in automobile per evitargli la faticaccia di venire in bicicletta da Campo Parignano. Christian da bambino ha praticato molti altri sport ma poi ha scelto la boxe. Il primo combattimento lo affronta sotto falso nome, perché ha solo tredici anni ancora.
Uno di meno del minimo consentito dai regolamenti. Succede allo stadio “Del Duca” davanti a un gran pubblico accorso per le esibizioni e la passerella trionfale di tre grandi campioni plurititolati a livello mondiale. I fratelli Loris e Maurizio Stecca e Francesco Damiani. Una bella iniziativa del dinamico presidente ed ex pugile, cresciuto anche lui alla scuola di Moretti, Bruno Galanti, un personaggio che anche i tre grandi campioni continuano a ricordare con affetto.
«Bruno è una persona fantastica. Tu sei il pugile ascolano più famoso, mi diceva sempre – ricorda Christian – ma io sono quello più forte». Il papà Roberto, grande appassionato di sport, e la sua famiglia lo seguiranno passo passo nella sua carriera, anche filmando con una piccola telecamerina molti suoi combattimenti. «Una volta la trafila per un pugile giovane era più lunga, dalla terza alla prima serie – ci spiega – e si aveva modo di crescere meglio. Oggi la maturazione è più rapida, ma anche più difficile». Una maturazione che il suo maestro, di vita e di sport, Francesco Moretti non farà in tempo a vedere. Morirà il 5 dicembre 1979 raccomandandogli di affidarsi, dopo di lui, all’altro suo discepolo Guerrino Paci.
Giantomassi diventa campione italiano seconda serie nel 1992, e prima serie nel 1994. Ai Mondiali di Berlino del 1995 esce di scena ai quarti di finale, è bronzo invece agli Europei di Vejie, in Danimarca, l’anno dopo. «Sono entrato nel Gruppo Sportivo dell’Esercito – racconta Christian – che mi ha aperto il giro della Nazionale Dilettanti nella quale ho militato per quattro anni, dal 1993 al 1997. In preparazione alle Olimpiadi di Atlanta 96 ho disputato tanti tornei internazionali vincendo spesso e finendo in zona podio quasi sempre». Russia (Golden Games 1995 con i migliori otto al mondo), Bulgaria, Inghilterra (bronzo a Liverpool), Cuba, Germania, Polonia (bronzo a Varsavia), Spagna, Irlanda, Portogallo (oro a Porto), Irlanda, Estonia, Austria (due ori in due diversi tornei) fra pesi Leggeri e Superleggeri.
Con la nazionale vola anche negli States dove, per entrare nel clima olimpico americano, si misura con la squadra di Evander Holyfield. I Giochi di Atlanta 1996 rappresentano infatti la sua grande occasione, ma il cambio della guardia alla guida della squadra azzurra, con l’arrivo di Patrizio Oliva al posto di Franco Falcinelli, a pochi mesi dalla partenza, risulterà deleterio. «La nuova preparazione atletica – ricorda Christian – non fu delle migliori. Poi in aprile, a causa di una operazione al ginocchio, rimasi fermo venti giorni, mettendo su dieci chili. Gli allenamenti troppo blandi non riuscivano a farmi rientrare nel peso e così la conseguente e inevitabile riduzione dell’alimentazione mi fece perdere energie preziose».
Sul ring olimpico Christian esce così di scena al primo turno, anche se solo per un punto in meno dell’avversario kazako Kopenkin. Il flop generale della squadra azzurra a quelle Olimpiadi, e lo scarso feeling con il nuovo allenatore napoletano, lo induce a passare al professionismo l’anno dopo senza aspettare la successiva chance olimpica di Sidney 2000. Giantomassi fra i pro colleziona tredici vittorie in quindici incontri. Ma le uniche due sconfitte patite sono di quelle che lasciano il segno. La prima, la più cocente, nella sua Ascoli, nel dicembre del 1999, alla prima difesa del titolo italiano nei superleggeri conquistato tre mesi prima nel reggiano, contro Belhamra grazie ad un ko alla seconda ripresa. E’ la prima difesa del titolo tricolore sul ring casalingo della sua città, contro il trentatreenne Massimo Bertozzi.
Un avversario non impossibile sulla carta. Che finisce ko già alla seconda ripresa, ma che lo sorprende alla quinta. Giantomassi, toccato duro, viene contato in piedi ma non assorbe il colpo. Nuovamente contato, viene rimandato al suo angolo dall’arbitro che decreta la fine del match per ko tecnico. Una grande delusione davanti ai suoi tifosi. Tornerà a boxare e a vincere Christian, ma il fallimento del nuovo assalto al titolo nazionale decreta la fine della sua carriera agonistica. Succede a Parma il 22 settembre 2000. Opposto a Battaglia, pur già battuto più volte da dilettante, finisce ko al quinto round. Per lui comincia, dopo quella sera, una nuova vita da allenatore. Con la stessa passione.
FRANCESCO MORETTI VIVE
Dal 2008, dopo l’uscita di scena di Guerrino Paci, la vecchia gloriosa Pugilistica San Marco muta il suo nome in Olympia, e passa sotto la gestione diretta di Giantomassi. La sede rimane la stessa. Una sorta di monumento storico sotto tutela artistica, adiacente al Circolo Tufilla. Spazi ristrettissimi, dove si respira la storia del pugilato ascolano, in perenne attesa di lavori di ampliamento e ristrutturazione attesi e promessi da oltre un decennio. Stavolta però sembra che sia la volta buona, con un inizio dei lavori dato per imminente. Parola di assessore.
Oggi conta un centinaio di tesserati fra agonisti e amatori. Prima del covid erano il triplo. Molti sono giovanissimi. «Sono contento di tenerli qua dentro ad allenarsi con me – confessa Christian – in un ambiente sano, pulito. Piuttosto che saperli a zonzo per la strada a fare, magari, anche danni». C’è anche qualche papà che viene ad allenarsi insieme ai figli. I più assidui sono Vincenzo e Cristian Ferri. Tantissime, anche qui, le foto incorniciate appese alle pareti. Ricordi, ed emozioni forti. Fra le tante ce n’è una a cui Christian è particolarmente legato. Raffigura la fine di un match disputato a Pesaro. Lui, un giovane e inesperto seconda serie, stando a tutti i pronostici, non avrebbe dovuto avere scampo. Invece domina per lunghi tratti il match, e solo un verdetto scandaloso lo dà, alla fine, addirittura perdente ai punti. Lo scatto ferma il momento del ritorno al suo angolo, dove Francesco Moretti, il suo maestro, per consolarlo, lo abbraccia e lo bacia come fosse davvero un figlio suo. E’ uno di quei gesti impossibili da dimenticare. Che ti porti dentro l’anima per tutta la vita. Un gesto fatto, con il cuore, da una persona che hai considerato sempre speciale. E che, da quel giorno, lo sarà ancor di più. Per il primo dei suoi due figli Christian ha scelto subito il nome. Lo ha chiamato Francesco.
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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