di Pier Paolo Flammini
Lasciamo perdere, per ora, quello che nei fatti è un unico conglomerato urbano: facendo un raggio di 6 chilometri dalla sede del Comune di San Benedetto, si raggiungono le sedi di Grottammare, Monteprandone, Acquaviva e anche Martinsicuro.
Concentriamoci sul dato più eclatante, che poi è duplicabile per i Comuni sopra elencati: San Benedetto e Grottammare sono una sola città nei fatti. Così la sentono i cittadini, che si spostano tra i confini amministrativi senza capire neppure se li hanno superati, così la sente la gran parte dei turisti che la identificano come una unica meta.
Gli attuali confini amministrativi sono stati decisi al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861. San Benedetto fu delimitato in un confine amministrativo poi modificato nel 1935, con l’annessione di Porto d’Ascoli, prima appartenente al Comune di Monteprandone (già questo dovrebbe far capire quanta connessione ci sia tra i diversi comuni). La superficie cittadina è di 25,31 chilometri quadrati, la popolazione di San Benedetto nel 1861 era di 6.510 abitanti, sette volte meno di oggi (allo scorso 15 aprile 47.014).
Grottammare ha una superficie di 17,66 chilometri quadrati e una popolazione attuale di 15.789 abitanti: erano 3.792 nel 1861. Le due città della Riviera delle Palme, insieme, occupano un territorio che è poco di più di un quarto di quello di Ascoli (158 kmq), circa un terzo di quello di Ancona (125). Due esempi che non facciamo a caso in quanto rappresentano due città, fatti salvi casi estremi e limitati, che sono un nucleo urbano completo di centro, quartieri e frazioni.
Per San Benedetto e Grottammare la divisione del 1861 non ha ragione di esistere, almeno dagli anni ’80: questa divisione sta creando problemi organizzativi urbani pagati da entrambi i cittadini con notevoli disservizi, sottostimati rispetto ad analoghe situazioni relative alla popolazione residente. Questo si traduce inoltre per San Benedetto in un tentativo di inglobare i servizi di area, perché nessun sindaco può di fatto decidere di dislocare servizi importanti al di fuori dei propri confini per ragioni di consenso politico (togliere servizi a chi lo deve votare?), e per Grottammare in una impossibilità di fatto di incidere su molte scelte fondamentali per i cittadini rappresentati.
Qualche esempio? Alcuni sono molto facili. Il futuro nuovo ospedale di San Benedetto, una volta decaduta l’ipotesi dell’area di Fosso dei Galli, poteva essere ubicato a ridosso del casello dell’A14 a Grottammare (o, ancora meglio, a San Donato se ci allarghiamo a Monteprandone).
L’annosa questione della Caserma dei Vigili del Fuoco, idem: si trova in un’area ad altissima densità abitativa e di traffico, sarebbe più utile vicino al casello di Grottammare (che è il casello sud della città San Benedetto-Grottammare).
I cittadini di Grottammare inoltre convergono su San Benedetto per una lunga serie di servizi pubblici – lasciando perdere il settore privato – sui quali il peso delle loro decisioni è quasi nullo: oltre all’attuale ospedale e una serie di prestazioni sanitarie connesse, oltre ai Vigili del Fuoco già accennati, abbiamo il Commissariato di Polizia, la Stazione Ferroviaria, il Palazzetto dello Sport, lo stesso stadio Riviera delle Palme, altre strutture sportive (per pattinaggio e rugby, ad esempio), la Capitaneria di Porto, la Guardia di Finanza, la Polizia Stradale. E continuiamo: il Porto, il porticciolo turistico, il condizionamento dei flussi turistici (molti turisti arrivano a Grottammare cercando su Google San Benedetto, di questo sono coscienti molti albergatori, semplicemente perché è un centro più grande), la sede di Picenambiente e il maggior potere di influenza sulle partecipate utilizzate anche dai cittadini grottammaresi come la stessa Picenambiente o la Start o il Ciip.
Ci fermiamo qui. Alcuni servizi pubblici ormai sono perfettamente integrati (gestione rifiuti, il dislocamento dei servizi sociali), altri frammentati tanto da risultare meno efficienti di una gestione comune (promozione turistica ed eventi). La programmazione invece, urbanistica e di vero e proprio marketing territoriale, totalmente assente.
A risentirne, oltre ai cittadini – alcuni si illudono grazie a un trentennio di continuità amministrativa – sono gli stessi politici, i quali, magari, ritengono invece di usufruire di un ritaglio di visibilità governando spicchi di territorio con una funzione desueta rispetto alle necessità attuali: non c’erano all’epoca automobili, non c’era il telefono, non c’era neppure la ferrovia e tutto quel che conosciamo oggi, figuriamoci.
Invece la Riviera non sta producendo più neppure personale politico ormai da decenni: Gaspari ha terminato la sua carriera politica dopo 10 anni da sindaco a San Benedetto, anche se molto conflittuali, va ricordato, ma cosa dire invece dei sindaci di Grottammare rieletti con voti ancora superiori rispetto ai primi turni come Merli o Piergallini, che – almeno per ora – non riescono a mettere al servizio delle comunità l’esperienza accumulata in altri ambiti? (Discorso estendibile anche al monteprandonese Stracci).
C’è un motivo, e questo motivo è la debolezza, e la debolezza deriva primo fra tutti – o almeno come motivo congenito, al di là di quelli rintracciabili un po’ ovunque – dalla frammentazione amministrativa, dalla piccolezza delle decisioni da prendere, dall’incapacità di farsi città, appesi a una decisione vecchia di 160 anni addietro.
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