di Walter Luzi
A tutti gli automobilisti frettolosi e distratti che sfrecciano sul rettilineo della Salaria, nella campagna di Campolungo, sfuggono i tanti piccoli tesori di questa terra fertile. Ultima isola quasi incontaminata che evoca ancora il suo laborioso passato, fatto di orgogliose, e durissime, fatiche contadine. Abbandonata a sé stessa. Con le sue ricchezze naturali oscurate da un falso progresso che ha mortificato la grande madre Terra, e gli edifici, insieme alle vestigia, solenni e trascurati testimoni, in malora anch’essi, di un passato florido. Quando queste contrade agricole ribollivano di vita operosa dei contadini, oggi quasi estinti, e i nobili padroni delle terre vi costruivano dimore sfarzose. Quando era impensabile una vocazione diversa da quella agricola per questa ampia vallata di buona terra, resa ancor più fertile dall’acqua abbondante portata dal fiume Tronto.
Confine naturale fra le Marche papaline e l’Abruzzo borbonico. Già nel 1700 Campolungo è uno dei feudi dei marchesi Sgariglia, una delle famiglie nobili più antiche, origini risalenti forse addirittura all’anno 1000, e potenti di Ascoli nei secoli successivi. Fu papa Benedetto XIV°, nel 1748, a conferire alla nobile famiglia ascolana i privilegi su “l’orticello che va da fosso Fico a fosso Chifente”.
Una zona agricola con una cinquantina di casolari contadini che verrà sconvolta e snaturata dagli insediamenti industriali, nella zona più bassa a ridosso del Tronto, cominciati con i primi anni Settanta. Quando case coloniche, alberi e terreni verranno inghiottite dai capannoni. E quando, più avanti, la fetta più grossa e più bella dell’immenso lascito dei nobili Sgariglia, vittima di negligente incuria, comincerà a perdere la sua anima.
La donazione record
Gli ultimi Sgariglia hanno, involontariamente, fatto ricco il Comune di Ascoli. La stragrande maggioranza dei suoi capitali, da Campolungo alla Sentina, da Montalto a Castignano fino ad Appignano, discende infatti dall’enorme lascito testamentario del nobile casato. Lo sottoscrive Giuseppe Sgariglia, a nome anche dei fratelli Marco (più volte deputato e senatore, nonché primo sindaco di Ascoli dopo l’Unità d’Italia) e Giovanni, tutti senza figli, davanti al notaio Cantalamessa nel 1892. Alla loro morte, recita testualmente il documento, tutti i beni della famiglia “…in terreni, fabbricati, denari e mobili passino alla città di Ascoli Piceno, mia patria. Questo capitale voglia che debba servire solo per aprire un ricovero e una casa di lavoro per i poveri della città…”.
Dopo la morte dell’ultimo dei fratelli, Giovanni, nel 1908, palazzi, case e terreni passano così nella disponibilità della Congregazione di carità di Ascoli. E, dopo la sua soppressione nel 1939, agli Istituti Riuniti di Cura e Ricovero, con il Podestà di Ascoli, Carlo Tacchi Venturi primo reggente. È lui a nominare responsabile di tutto il vastissimo patrimonio terriero, oltre 1.400 ettari coltivati, un perito agrario di grande esperienza, Eugenio Passarini. La campagna di Campolungo è il feudo prediletto degli Sgariglia che pure lasceranno ai posteri testimonianze importanti della loro grandezza edificando dimore di pregio anche a Grottammare e a Piagge di Colle San Marco.
Ma nei dintorni dell’antico Campo Longo gli edifici di interesse storico e artistico sono numerosi. Torri, tempietti e chiesette rurali, oltre ad antiche case coloniche non mancano nella zona. Torre Sargia controllava i vicini nemici Borboni; quella, con il caratteristico rosone a raggiera, del Castello di Cartofaro, già presidio pontificio, guardava invece verso la turbolenta Appignano. San Pietro di Cerreto, risalente al XV° secolo e già appartenuta alla parrocchia romana di San Giovanni in Laterano, vicino al castello Cartofaro, residenza signorile del 1700, la chiesetta campestre di San Filippo Neri, di cui restano solo ruderi, o i resti in pietra di pozzolana della chiesetta di Santa Felicita, che pare avesse annesso anche un piccolo cimitero. La fattoria Marini, complesso agricolo dell’800, come edifici rurali, luoghi di culto popolare e residenze signorili, sorgevano tutt’intorno al gioiello più prezioso. Villa Sgariglia.
La villa
La nobile famiglia ascolana la fa erigere, su tre piani, nel 1777, grazie a Pietro Emidio Sgariglia, che fu anche senatore del Regno d’Italia napoleonico. Insieme all’attigua chiesa di Santa Maria Assunta, riccamente decorata e dalla maestosa cupola, è opera imponente dell’architetto Lazzaro Giosafatti, che firmerà anche la villa della famiglia a Grottammare. Dalla Salaria vi si accede attraverso il lunghissimo viale incorniciato completamente dalle folte chiome intrecciate di altissimi alberi di alloro. Un tempo quasi certamente, secondo antiche mappe, costeggiato da giardini a labirinto a cui si accedeva da due varchi laterali. I basamenti in travertino che li contrassegnavano ci sono ancora, le due sfere che li sovrastavano sono state invece trafugate. Resistono ancora, invece, le due torrette di guardia davanti al palazzo con alla loro base le celle, utilizzate in passato, pare, più per smaltire sbronze che per espiare pene.
Il testo continua dopo le immagini
Una delle tante stanze al pianterreno del palazzo ospiterà, in epoca fascista, anche le pluriclassi della scuola elementare. La maestra storica di Campolungo, fra le altre, è Paolina Carnevali, che insegnerà anche nella scuola in mezzo al verde edificata negli anni Quaranta, e oggi anch’essa fatiscente e abbandonata. Tutti figli dei contadini i suoi alunni, quando i banchi avevano il buco per i calamai, le biro non avevano ancora sostituito i pennini, e i gessetti stridevano scorrendo sulla lavagna nera. Durante la seconda guerra mondiale poi a Villa Sgariglia si acquartiereranno prima le SS tedesche, e poi una compagnia dell’esercito polacco.
La stazione di fermo posta
Giusto lungo le sponde del Tronto corre, oggi come allora, l’antichissima via Salaria che collega la Roma dei papi al nostro mare. Proprio a Campolungo sopravvive ancora, unica quasi intatta, la stazione di fermo posta lungo l’intera via Salaria. Antesignana dei moderni autogrill autostradali, ostello per le soste dei viaggiatori e punto di ristoro, o di cambio, dei cavalli delle carrozze. È l’unico, miracolosamente, ancora in piedi, lungo i 242 chilometri della via Salaria. Il fermo posta di Campolungo rappresenta una chicca. Una rarità.
Al chilometro 213 le due costruzioni gemelle ad un piano con locanda per sosta e ristoro dei viaggiatori e cambio dei cavalli risalente al XVII° secolo. Tappa abituale per corrieri postali, viandanti, commercianti e papi. Come Pio IX, che nel 1857 in viaggio da Fermo verso Roma, pernottò in quello di Spinetoli. Ufficio del dazio e prigione pontificia. In una mappa risalente alla fine del 1600, e custodita nell’archivio storico di Civitella, è segnata l’osteria di Campolongo. Già immortalata nell’800 per altro dal pittore Giulio Gabrielli nei suoi dipinti. Non risulta che esistano ancora, lungo l’intera via Salaria altre strutture del genere che abbiano conservato intatto l’aspetto architettonico originale. Grazie anche, in parte, alle robuste imbracature post sisma del 2016, e all’ostinata determinazione di un privato cittadino.
Il custode, volontario e appassionato, della storia e delle antiche tradizioni di questo territorio si chiama Giuliano Firmani.
La mission
Classe 1950. Una vita, ventisei anni, passata nell’Elettrocarbonium. Intesa come fabbrica e, da calciatore, come gruppo sportivo. Ci entra nel 1970, per meriti calcistici appunto. Cresciuto, senza una famiglia vera, nei collegi di mezza provincia, lavora per guadagnarsi qualcosa, ragazzino, in estate, come cameriere stagionale. Giuseppe Mascetti, che se lo è preso a cuore insieme a tanti altri, lo manda a prelevare dalla lussuosa Fiat 125 aziendale direttamente nel ristorante di San Benedetto dove lavora, pur di poterlo schierare nei prestigiosi tornei calcistici serali di Offida.
Un grande onore che non dimenticherà mai, come la gratitudine che serberà per sempre, verso il suo presidente-benefattore. Al Capo lo aveva raccomandato il suo ex compagno di squadra nella Pro Calcio Antonio Zaini, dopo gli esordi con la Del Duca di “Pizza” Nardi e Pandolfi. Altri sedici anni, dopo la chiusura dello storico stabilimento ascolano, li passa come impiegato negli uffici tecnici dei Comuni di Nereto e di Ascoli. Quando ha conosciuto Silvana Ballatori, una bella ragazza di Campolungo, si è subito, perdutamente, innamorato di lei e della sua terra. Si sposano, nel 1977, proprio lì, nel Tempietto di Santa Maria Assunta di Villa Sgariglia.
Avranno due figlie, Serena e Annalisa, e da loro, nove nipoti.
«Definire quel Tempietto – esordisce Firmani – come una piccola cappella annessa alla Villa Sgariglia di Campolungo è troppo riduttivo».
Sa quel che dice. Per oltre un decennio esplora il territorio, ne studia la storia fino alle origini e risale le sue radici, ne intuisce le straordinarie potenzialità dei tanti siti di interesse storico e archeologico.
«Ricordo che dal vicino Abruzzo – continua – arrivavano con i metaldetector dietro agli aratri quando si dissodavano i campi, nella speranza di individuare e recuperare antichi reperti, monete, armi, utensili, monili».
Alla fine degli anni Ottanta inizia la sua lunga, solitaria e disperata battaglia a difesa della Memoria del passato contadino, e dei luoghi simbolo, di questa terra. La moglie Silvana Ballatori, discendente di una delle famiglie contadine storiche della zona, gli dà una mano nelle ricerche di documenti fra Pinacoteca comunale e Archivio di Stato. La professoressa Maria Coccia e Serafino Traini, di Campolungo anche loro, fra i primi ad affiancarlo nell’opera di tutela della Memoria di Campolungo contadina.
La Confraternita
Serafino Traini è il presidente e rappresentate legale, meglio sarebbe dire Governatore, della Confraternita del Santissimo Sacramento da oltre trent’anni.
La sua fondazione risale al 1787. Il casolare oggi Silvestri un tempo era la residenza del reverendo della Confraternita, dedita al culto di Maria Assunta, alla quale, solo dieci prima, era stato consacrato il Tempietto della Villa. I tradizionali festeggiamenti ferragostani in suo onore nacquero nel 1791, e, in origine, duravano ben quattro giorni. Il 15 agosto di ogni anno la tradizionale festa, ancora molto sentita dai fedeli dell’intera provincia, continua ad essere organizzata dalla Confraternita, che perpetua anche antichissime cerimonie. La benedizione propiziatoria, forse di origine pagana, per bambini e neonati contro le malattie, detta “segnà la mosca”, e il “rito della bandiera”, riservato ai giovani come prova di abilità e virilità durante i balli e le evoluzioni con il pesante vessillo. Capo spirituale ne è oggi Don Paolo Sabatini, parroco di Castel di Lama, che ha raccolto eredità pesanti di vere e proprie Istituzioni del passato in queste contrade.
Come quelle di Don Isolino Galli, dal 1942 al 1971, e di Don Erminio D’Angelo, dal 1971 al 2012, i suoi predecessori alla guida della parrocchia di Castel di Lama. Una ventina, fra confratelli e consorelle, il cuore pulsante della piccola comunità di Campolungo. Il suocero di Serafino, Giulio Camilli, della casata d’ Nanno’, insieme alla moglie Giovannina Brandimarti, sono stati per oltre mezzo secolo, dal 1960 al 2010, con dedizione assoluta, i custodi e campanari del tempietto di Santa Maria Assunta. Giulio d’ Nannò era testimone e depositario di tanta Memoria legata ai fasti di Campolungo. Con i suoi mille aneddoti, e le tante vecchie storie. Dopo la sua morte, nel 2010 appunto, è stato proprio Serafino con la moglie Irma, la figlia di Giulio, a occuparsi della cura di quel tempio venerato da sempre, fino al tragico sisma del 2016 che ne ha provocato la lunga inagibilità che dura fino ai giorni nostri.
Foto di contadini
Firmani comincia con il raccogliere, fra parenti, amici e conoscenti che in quelle contrade hanno vissuto e lavorato ogni fotografia significativa. Utile a rivivere, con le immagini, la vita di quegli anni. Seleziona le più preziose, ingrandisce e valorizza le più belle, didascalizzandole e collocandole cronologicamente per farne una mostra. Vi figurano quasi tutte le famiglie contadine di Campolungo degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, facilmente individuabili grazie agli inconfondibili nomignoli delle varie casate. Di Mazzamaul’, Nannò, Ballatori, Raniell’, ‘U frat’, B’n’ditt’, perché, si diceva, discendenti del Beato Bernardo di Offida. E poi quelli di P’n’zià e P’n’zianitt’, Taccò, Panezia, M’rò e M’n’ch’ccitt’ fra le tante altre.
Scatti di valore inestimabile che ci consegnano immagini di gente semplice raccolta nelle aie, con i vestiti della festa dei giorni importanti. E scolaresche delle elementari in posa impettita insieme ai loro insegnanti. La mostra vede la luce nel 1997, in occasione della grande, tradizionale festa del 15 agosto, che qui travalica il Ferragosto vacanziero della gita fuori porta, e si permea della fede devota nell’Assunta, che ha animato per secoli i contadini da queste parti. Riscuote un successo fragoroso e verrà riproposta più volte successivamente. I tanti visitatori possono spesso riconoscervi, con gioiosa sorpresa, nonni e bisnonni, sconosciuti prozii e vecchi vicinati che riaffiorano così dai ricordi più remoti. Foto ingiallite dal tempo che ci accompagnano in un viaggio ideale nell’anima del passato, e, inevitabilmente, anche nella nostra. Dal 1983 tutto il patrimonio ereditato dagli Sgariglia passa nella disponibilità del Comune di Ascoli dopo lo scioglimento, nel 1977, degli Istituti Riuniti di Cura e Ricovero. Villa Sgariglia accusa già da tempo gli affronti del tempo e l’inerzia delle Istituzioni che dovrebbero provvedere a salvaguardarla. Lo stato di fatiscenza ed effettivo abbandono ha già incoraggiato nella struttura, non saranno né i primi né gli ultimi, furti, saccheggi e danneggiamenti. Anche il suo simbolo, la famosa statua apollinea del Fauno suonatore del flauto di Pan, scolpita in travertino da Lazzaro Morelli, Cefelò, come lo chiamano tutti, forse nel maldestro tentativo di essere trafugata anche lei, è finita decapitata nottetempo ad opera di vandali.
Una immagine, quella del fauno decollato, che diventa l’emblema di una tristissima decadenza.
Il custode delle tradizioni
Nel 2001 il Comune di Ascoli mette all’asta tutti i beni appartenuti ai marchesi Sgariglia. Le più povere e bisognose della “patria Ascoli”, rifacendoci alle ultime, filantropiche volontà nei nobili estinti, sono, evidentemente, le casse comunali. Grazie anche alle battaglie e all’impegno costante di Giuliano Firmani, l’inizio del nuovo millennio è caratterizzato dal proliferare di iniziative tese alla valorizzazione dei siti, e alla salvaguardia delle tradizioni agricole di Campolungo, in atto già da qualche anno. Grazie soprattutto alla Fondazione Cassa di Risparmio, tramite i buoni uffici di Vincenzo Marini, che ha qui la sua azienda agricola che ha visto Giobbe come ultimo fattore, e a qualche sponsor amico, Firmani sopperisce alla carenza di contributi pubblici per portare avanti le sue tante iniziative. Il museo “vivo” della civiltà contadina messo su con la sua associazione “Feudo dei Marchesi Sgariglia”, comincia ad essere frequentatissimo dai turisti. Vivo perché soprattutto i giovanissimi possono tornare a rivivere i lavori e le tradizioni del passato.
Come fare il pane, impagliare sedie, intrecciare vimini e costruirci ceste, oppure fare il vino. Nei locali della antica stazione di posta mette in mostra attrezzi agricoli e utensili originali rastrellati negli anni in zona. Documenti d’epoca, come una pagella scolastica del 1897, e antiche mappe del circondario. Mobilia di antiquariato, banchi di scuola con il calamaio incorporato, carri agricoli da lavoro dei primi anni del Novecento addobbati per le festività solenni, persino un calesse da passeggio appartenuto ai nobili Sgariglia.
Con arredi d’epoca originali ricostruisce nei dettagli ambienti rurali, camere da letto, aule scolastiche, cucine e cantine. Raccoglie e mette in mostra decine di vecchie macchine agricole, tragghie, macingule, maciaccule, magli per la sfibratura della canapa, pestarole per la vendemmia e telai manuali per la tessitura. I Girobus dell’arte che partono dal centro fanno tappa a Campolungo, di cui si tenta il rilancio turistico insieme alla Castel Trosino longobarda, l’albero del Piccioni dei briganti lungo la Salaria, i sentieri verso l’Ascensione, e quelli degli eremiti verso Colle San Marco. Durante le feste “Tradizioni della terra” che organizza, oltre a riproporre la gastronomia tipica di queste campagne, fa risuonare il saltarello, riaccende i falò, e riporta in auge, con i bambini, tutti i giochi popolari del passato.
La bandiera, le corse con i sacchi, con le conche e con i somari, il tiro alla fune, la cavallina, lo scocciapignatte, il tiro con la fionda, la gara di forza con il segone, e poi la briscola, e la morra. Fa conoscere ai visitatori l’antichissimo rito pagano del “Piantar maggio” legato alla fertilità e al risveglio della Natura.
Anche le giornate Fai di Primavera del 2003 toccano Villa Sgariglia con la Chiesa dell’Assunta e la stazione di fermo posta. Dai notabili locali continua a raccogliere complimenti, e rassicurazioni su una sede degna e stabile per il suo museo della civiltà contadina. Ma niente di più. Gli resta solo la soddisfazione di dare ai tanti visitatori la possibilità di vedere da vicino, e partecipare direttamente, alla tessitura dei panni, alla pigiatura dell’uva, alla produzione di olio e formaggio, o alla mietitura, alla trebbiatura, alla “scardazzatura” del granturco, alla filatura e tessitura della canapa. Arti e mestieri scomparsi per sempre. I contadini, alla pari di tanti altri maestri artigiani, asfaltati dall’economia globalizzata, dalla moderna società industriale e consumistica.
Nel 2003, a Grottammare, nel quadro della rassegna “I tesori della terra picena” Firmani partecipa con i suoi attrezzi dell’artigianato contadino. L’anno successivo la “Fattoria di zio Giuliano” irrompe, alla sua maniera, anche alla prima edizione ascolana di “Città in gioco”. Come farà nei “Giocosport” di San Benedetto e Pagliare. Le manifestazioni che organizza a Campolungo diventano passerella privilegiata per i politici locali in campagna elettorale. Vi transitano aspiranti Deputati & Senatori, candidati alle elezioni europee e sottosegretari di Governo. Ognuno con la sua bella promessa che non manterrà mai. Nel 2005 pare la volta buona. Fra le 138 opere previste dal piano triennale di recupero edilizio figura anche la vecchia stazione di posta di Campolungo. Ma, ancora una volta, i fondi destinati a questo obiettivo prendono, in extremis, altre strade. Sulle ricchezze e le peculiarità del territorio si continua a non investire.
Ma Firmani non molla. Propone dimostrazioni delle produzioni di vino crudo e cotto, degustazioni di prodotti tipici specialità vitivinicole e prodotti della pastorizia locali. Gli allevatori Ricciotti, Gino e Leo Vitelli, d’ lu frat’, Fabio e Stefano Traini, due ragazzi, figli di Serafino, sempre puntuali al suo fianco in tante iniziative. Panzanella e ciambelle al mosto, biscotti fatti in casa da zia Rina d’Mazzamaul’ e cacciannanz’, fave e bruschette. Sapori antichi che restano nel cuore. Fra le tante iniziative porta una parte della sua esposizione anche dentro il centro commerciale Oasi al Battente. Con Carlo Cruciani e la Compagnia del saltarello ascolano pensa anche ad un “villaggio del folklore”. Un locus amoenus che risuoni delle note di zampogne e organetti, ciaramelle, chitarre battenti e tamburi a cornice, dove poter tramandare con i balli e musiche popolari, le antiche usanze agresti e le nostre radici etnico-culturali. Con l’allora assessore allo sport si penserà di concepire persino un campionato studentesco di giochi popolari, rimasto anch’esso solo una pia intenzione, allo scopo di mantenere vive la tradizioni.
Il recupero e la riapertura
Già dal 1995 la giunta Allevi commissiona studi sulla gestione dei terreni di proprietà comunale. Negli anni successivi è Andrea Antonini a farsi paladino della tutela dei tesori di Campolungo e quando, nel 1999, diventa assessore comunale alla Cultura e al Turismo nella nuova giunta Celani, si comincia a parlare di restauro delle due Ville Sgariglia, di Piagge e di Campolungo. E delle loro potenzialità di utilizzo come strutture ricettive. Il sogno si concretizza nel 2008. Appena restaurato, con notevole dispendio di denaro pubblico e qualche imperdonabile affronto alla struttura architettonica per potenziarne le prestazioni in chiave ricettività alberghiera, il nuovo lussuoso Resort Hotel, che continua a portare nome e insegne dei nobili donatori, viene affidato, nell’euforia generale, alla gestione di una cordata di imprenditori ascolani deputati alla sua gestione. Villa Sgariglia, con, ora, ventotto camere e novantotto posti letto, è come un prezioso gioiello finalmente ritrovato. Ma circondato dal deserto.
Tutt’intorno infatti le iniziative, e tanto meno le attività produttive, legate alla terra, e alle sue tradizionali coltivazioni, languono. Come si può sperare di recuperare e rendere redditiva una struttura, pure bellissima, che deve da sempre la sua vita e la sua floridità al prosperare delle colture in cui è da sempre immersa, se intorno crescono le erbacce, i vitigni seccano e gli ulivi inselvatichiscono. Novanta ettari di fertili terreni di proprietà comunale sono sempre incolti, e, oltre a non produrre frutti, anno dopo anno, come il patrimonio arboreo, continuano a svalutarsi. Duemila ulivi, più o meno, da oliva tenera ascolana dop e da olio, senza potature, trattamenti antiparassitari e concimazioni stanno andando letteralmente in malora. I gridi di allarme su questi temi, sempre rimasti inascoltati, continua a lanciarli, più volte in epoche diverse, anche il fattore storico della tenuta agricola Sgariglia, Franco Passarini, subentrato al padre nella amministrazione dei terreni.
Al danno si aggiunge anche la beffa, perché il Comune non riesce ad incassare neanche gli affitti pregressi maturati di un triennio, si parla di oltre 200.000 euro, dall’ultimo affittuario dei terreni. In compenso tutta l’area agricola, sia dal versante lamense che da quello ascolano, è continuamente minacciata da scriteriati progetti di sviluppo urbanistico. Ogni fantasiosa e faraonica opera di nuova cementificazione infatti, persino la costruzione di un nuovo, evidentemente indispensabile, autodromo, vede coinvolta infatti la fertile piana di Campolungo. La gestione della cordata di imprenditori ascolani del settore turistico-alberghiero fallisce solo pochi anni dopo la celebrata riapertura di Villa Sgariglia. La salvaguardia dell’interesse particolare di ciascuna bottega affossa quello generale e primario, la tutela e la sopravvivenza di un prezioso Bene Comune. Sui tesori di Campolungo, parzialmente lesionati anche dai sisma, tornano ad aleggiare gli spettri dell’incuria e dell’abbandono.
Il sogno infranto
Nonostante un trentennio abbondante di iniziative, realizzate spesso con le sue sole forze, Giuliano Firmani non è ancora riuscito ad avverare il suo sogno. Quello di riuscire a dare una sede consona al suo museo della civiltà contadina di Campolungo. E con l’età che avanza, gli acciacchi fisici che aumentano, e le forze che calano, comincia seriamente a disperare di potercela fare.
Parte dei suoi “tesori” di Memoria e testimonianza del mondo agricolo del passato giacciono sotto le macerie della casa colonica abitata per ultimo dai Vitelli, detti de d’ lu frat’, inglobata poi nell’area ex Regoli oggi dismessa. Erano “provvisoriamente” parcheggiati qui, in attesa di più degna e definitiva collocazione, quando il tetto è parzialmente crollato dopo i sisma del 2016 e 2017. Il grosso delle macchine agricole d’epoca, aratri, erpici, seminatrici, stanno arrugginendo allineate all’aperto nell’attiguo piazzale.
Un’altra parte della preziosa raccolta di oggetti, messa insieme in una vita da Firmani, è anch’essa parcheggiata “momentaneamente” presso alcuni locali della vecchia stazione di posta. Il progetto di un centro etnografico piceno, che cova in grembo all’assessorato comunale alla Cultura da troppi decenni, appare ancora oggi fumoso e lontano. A Spinetoli, Offida, Ripatransone e Norcia, solo per fare qualche nome fra i tanti, ci si è riusciti. Ad Ascoli, ancora, non c’è stato verso. In compenso, periodicamente, l’Amministrazione comunale torna alla carica per esigere la corresponsione di affitti alle associazioni che occupano i loro immobili. E la “Campolungo Feudo dei Marchesi Sgariglia”, ovviamente, non fa eccezione. Le proposte concrete di altri cittadine della vallata del Tronto di acquisire tutto il patrimonio della sua mostra non sono mancate, ma Firmani non vorrebbe veder sradicate dal proprio territorio le radici di reperti che assumono valenza storica e artistica di primaria importanza, oltre che potenzialità in chiave didattica e turistica. Così come appare bislacca l’idea di ospitare la mostra altrove, lontano da qui, in un ambito o in un ambiente che nulla ci azzecca.
Intanto, dal 2016, ben undici ettari dei terreni di Campolungo, sono stati adibiti a centro cinofilo polivalente. Su almeno il doppio sono già in corso colossali sbancamenti per realizzare, chissà come, chissà quando, la nuova, megagalattica, Cittadella del ciclismo. Palazzo Sgariglia e il Tempietto di Maria Assunta, completamente abbandonati e senza sorveglianza, sono alla mercè di ladri, vandali e senza fissa dimora. Messi fortunatamente in salvo reliquiari, banchi e confessionali, è stato trafugato tutto il possibile. Persino le preziose campane del 1800, che erano state messe in sicurezza, e depositate a terra dai Vigili del Fuoco, dopo il sisma del 2016. Ignoti, nottetempo, hanno vandalizzato, a più riprese, indisturbati, anche le stanze del nuovo resort, razziandolo di ogni arredo a suppellettile commerciabile. Viene da piangere. Soprattutto a chi questi luoghi ha amato di più. E a tutti noi, per la fine che hanno fatto i soldi delle nostre tasse. Ma lo strazio non finisce qui. Quello che resta dei terreni è completamente incolto.
Vigneti e, soprattutto, uliveti, trascurati da decenni, sono ormai compromessi. Alla faccia dell’economia green. Della oliva tenera ascolana dop. Della città dell’olio di recente, trionfalistica, proclamazione. E delle buonanime Sgariglia, che continuano a rivoltarsi nelle loro tombe.
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