di Walter Luzi
Giulia Civita, Quintana e Memoria. Ricordi ed emozione.
A otto anni dall’uscita del suo libro sulla figura del papà Luigi, fra i cavalieri storici della Giostra, e vincitore, nel 1960, a Roma, dell’edizione olimpica, si è tornato a parlarne nella Sala dei Savi. Al Palazzo dei Capitani, alla presenza dell’assessore alla Pubblica Istruzione Donatella Ferretti e con il saluto portato dal Magnifico Messere, Marco Fioravanti, si è tornati a parlare del grande cavaliere e dei suoi amati cavalli. Di giostre e di palii, di mori e di sestieri.
Ma non solo. Il focus dell’incontro è sull’importanza di tramandare la Memoria. Di grandi uomini e memorabili eventi. Certo. Ma anche, con pari dignità, di personaggi caratteristici ed usanze, di quei luoghi di vita quotidiana raffigurati nelle cartoline, ma anche di quelli meno noti, persi nelle mille rue del centro storico, come scrive la Civita “…da esplorare come fosse una jungla di pietra…”, dove la vita di Ascoli ribolliva negli anni della sua prima giovinezza.
Le vennericole di piazza della verdura e la fabbrichetta di dolciumi, le tante botteghe dei maestri ceramisti e le alcove delle signorine di via del Teatro. Le macchiette storiche ascolane più popolari insieme ai concittadini più illustri e benemeriti. Parla anche dei tanti monumenti del centro, Giulia, che hanno visto la sua spensierata infanzia. Con semplicità e approccio familiari, che non fanno mai rimpiangere la fredda precisione delle guide turistiche. Con affetto profondo, e nostalgia palpabile, per quella che ha sentito sempre come casa sua. Con gli occhi, e il cuore, rimasti gli stessi, di fanciulla. Con quei, scrive, “…sentimenti alti e puri, che i fanciulli dimenticano presto crescendo, e che i cavalli, invece, conservano per tutta la vita…”.
Ecco. I cavalli. Da quello del nonno materno, in sella al quale consegnava la posta, a Forever, la cavalla baia di Giulio Calvaresi, ‘u ranecchiar’ , che diede al padre la prima vittoria in una corsa a Castignano. Da Farfalla con cui vinse la sua prima Quintana nel 1956 a Stella, la splendida cavalla del Commendator Eleuteri, cresciuta fra Villa Borghese e la piana di Castelluccio. E poi Rondine, fino a Zorro, che monterà nella vittoriosa edizione speciale disputata al Circo Massimo di Roma in occasione delle Olimpiadi del 1960.
Animali bellissimi, fra i tanti, che Luigi Civita ha custodito con amore nella sua stalla di via della Colonna. Sotto casa sua. Carezze e zuccherini dopo la spazzola. Parole e sussurri che fanno meglio di fieno e mangimi. Come gli abbracci. Di cui avremmo tanto bisogno, oggi, anche noi umani. All’esterno, murato al muro, l’anello di ferro a cui legava le loro redini c’è ancora. Uno di quegli oggetti con il potere di racchiudere ancora un’anima. Di rendere tangibili i ricordi più struggenti. Perchè con tutti i suoi cavalli Luigi Civita, al di là delle vittorie, ha sempre avuto un rapporto speciale, di simbiosi profonda, di legame forte, che li faceva diventare un tutt’uno.
E non solo al galoppo sui percorsi di gara. Sono cambiati anche quelli strada facendo, come i tempi, i costumi e i bersagli. Da quella prima edizione del 1955, con quattro sestieri e quattro eroi a cavallo, Carmine Bettini per Sant’Emidio, Secondo Nepi per porta Solestà, Giovanni Castelli per Porta Tufilla Luigi Civita, detto lu diavelitte, per Porta Romana, siamo arrivati vicini all’edizione del Settantennale della Quintana. Che non ha perso mai il suo fascino, fra sventolio di bandiere, rullo di tamburi e squilli di chiarine, anche perché ha continuato ad alimentarsi dei miti del suo passato. Dei tanti protagonisti che hanno saputo lasciare, dentro e fuori i loro sestieri, la loro impronta profonda. E che i più giovani, arrivati dopo a raccoglierne i testimoni, hanno sentito soprattutto come un dovere morale, un affettuoso, irrinunciabile segno di rispetto, e un onore per tutti, non smettere mai di ricordarli.
Andrea Ferretti era il capofila di questi giusti. Il più romantico innamorato della Quintana, inarrivabile conoscitore e cantore delle sue mille storie, che meditava da tempo di raccogliere in un libro. Non ne ha avuto, purtroppo per lui, ma anche per tutti noi, il tempo. Perchè tramandare la Memoria è importante. E bene ha fatto Giulia Civita a raccontarci la vita del padre, a parlarci del suo passato nella sua città, a ricordarci i tanti personaggi, illustri e non, che ne hanno scritto la storia. E bene fa nel continuare a farlo. Come una missione. Ad di là dell’affetto filiale e della nostalgia che, prima o poi, è destinata ad entrare nel cuore di tutti noi.
Una missione che fu già di Vittorio Michelangeli Prosperi, dalle colonne del suo, preziosamente unico, Flash, e, fra gli altri, si distinse Luca Luna, del quale la moglie Erminia Tosti ha raccolto degnamente l’eredità, come instancabili ricercatori e divulgatori dell’ascolanità. Ci hanno lasciato i loro libri. Come quello di Giulia Civita. Che ci danno, ai pochi euro del prezzo di copertina “…emozioni come consolazioni nelle nostre vecchiezze…la conoscenza delle nostre radici…il ricordo di cose buone…anche la speranza di far conoscere, e ritrovare, soprattutto ai più giovani, quell’umanità perduta ai giorni nostri…”
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