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Paesaggi della Valle Castellana: il castello nella valle della paura

TERRITORIO - La storia di una struttura monumentale presente nell’area relativa al versante teramano della Montagna dei Fiori: è il Castello Bonifaci, a Vallenquina, una costruzione dal profilo arcigno che ricorda i castelli medievali, ai quali s’ispira
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Le case di Vallenquina dominate dal Castello Bonifaci, immerse tra i boschi della Laga (foto G. Vecchioni)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Percorrendo la strada che collega Ascoli Piceno con Teramo (la Strada Statale n. 8 o Piceno-Aprutina, l’antica “Mare Monti”), arrivati a Campovalano, una deviazione raggiunge Macchia da Sole e il suo castello (Castel Manfrino, oggetto di un articolo precedente, leggilo qui). Superato il borgo, la strada risale la valle del Salinello verso Leofara per raggiungere poi Valle Castellana, inoltrandosi in una magnifica area, una profonda valle verde con piccoli villaggi remoti e diverse peculiarità naturalistiche e storico-architettoniche.

Il borgo immerso nel verde della Laga (foto G. Vecchioni)

 

L’isolamento dei borghi racconta di un’origine antica, che deriva forse dalle fare longobarde: la presenza e lo stanziamento di nuclei autonomi di questa popolazione barbarica è accertata e ha dato origine, molto probabilmente, al tipo di insediamento sparso e circondato da boschi, tipico della Laga. In un articolo precedente, relativo al territorio di Valle Castellana (municipio della provincia di Teramo, con ben 38 frazioni e con uno dei territori comunali più estesi dell’intera regione Abruzzo), era stata analizzata brevemente l’etimologia del toponimo che deriva, probabilmente, proprio dalla caratteristica insediativa: «Una breve digressione sul nome del territorio e del fiume che lo attraversa (il Castellano). Il toponimo deriva da castellum, termine della tarda latinità, diminutivo di castrum, che indicava l’accampamento fortificato. Altri propendono per un’origine da claustrella – da claustrum, chiuso – che indicava i borghi difesi, spesso murati».

Castello Bonifaci (foto G. Vecchioni)

 

Vaste aree della zona erano possedimenti dell’antica famiglia teramana dei Bonifaci, originaria del posto e che ha dato il nome a diverse emergenze del territorio; una di queste, ben visibile lungo il percorso, è il cosiddetto Castello Bonifaci, attualmente proprietà degli Angelini, loro discendenti; il profilo inconfondibile della costruzione domina l’incasato e il sottostante borgo disabitato di Colle Corvino.

 

L’edificio è situato sulla strada che collega Prevenisco con Leofara, all’interno del pugno di case di Vallinquina, arroccato su una rupe, a 869 metri di quota. La contrada è conosciuta anche come Vallenquina, nome che deriverebbe dal vecchio Valle Enquina, da incubus (incubo, terrore), con il significato di “valle che fa paura”. Un’altra tradizione indica l’origine del nome in Vallis inclina, cioè digradante verso un’altra frazione vallecastellanese, quella di Basto.

L’ingresso al borgo (foto F. Pomanti)

 

Può incuriosire la presenza di una struttura così appariscente in una località isolata ma il luogo era terra di confine e punto di passaggio obbligato per quanti dalla Val Vibrata, superati i Monti Gemelli e le Gole del Salinello, volessero proseguire verso Antrodoco e, successivamente, verso Roma. L’arcigna costruzione aveva, probabilmente, una funzione di controllo di tale via: il castello, un grosso edificio costituito da una trentina di vani, nato dall’accorpamento di diversi edifici rurali con probabili strutture antecedenti, e, in seguito, dotato di una torre merlata a base quadrata, presenta i classici apparati difensivi dell’epoca medievale, quali beccatelli e feritoie ma è una costruzione recente, risalente ai secc. XIX e XX. L’unico documento relativo al fortilizio è costituito da una lettera del 1861 di Don Bonifaci al vescovo di Ascoli Piceno, nella quale si descrive la trasformazione di un orto (già cimitero pre-cristiano) in giardino murato, sul modello degli horti conclusi medievali, rintracciabili anche nella città picena.

 

L’edificio è una (ri)costruzione romantica ispirata ai castelli-palazzo di epoca tardo-medioevale, voluta dall’avvocato e notaio Vincenzo Bonifaci, filosofo, letterato e professore universitario, sul modello del Castello della Monica di Teramo. Studi recenti attribuiscono proprio all’artista teramano Gennaro Della Monica il progetto e la supervisione della costruzione in stile neogotico del maniero di Vallenquina, «forse sui resti di un’antica torre (F. Mosca, 2009)».

Vallenquina e, in basso, le case di Colle Corvino (foto G. Vecchioni)

 

Della Monica è conosciuto come progettista del castello omonimo di Teramo, costruito su un poggio al quale si accede da Viale Bovio, la via d’accesso alla città per chi proviene da Ascoli Piceno. La costruzione regala sempre una forte emozione per il grande impatto visivo perché appare al visitatore come un luogo “altro” rispetto ai palazzi d’abitazione che la circondano.

 

Ma torniamo al Castello Bonifaci di Vallenquina. L’edificazione della struttura sarebbe iniziata alla metà dell’Ottocento e terminata nel 1907, protraendosi fino agli anni ’30 del Novecento. Sull’architrave di una porta che si apre sul corpo laterale, sotto al passaggio voltato, è incisa la data 1856.

Castello Della Monica a Teramo (foto F. Pomanti)

 

La costruzione presenta materiali eterogenei, costruita com’è in pietra sponga (travertino spugnoso locale), pietra arenaria e laterizi, ed è in uno stato di conservazione mediocre; è dotata di ampi finestroni con cornici a sesto acuto (stile gotico), ha ampie merlature ed è decorata da uno scudo con lo stemma ghibellino dell’aquila sveva, già presente in zona (Castel Manfrino a Macchia da Sole). Il piccolo castello è solidale con le costruzioni a schiera del borgo, alle quali è collegato da un passaggio aereo, un passaggio pubblico voltato, una struttura obbligatoria presente in tutti i paesi dell’area montana, e sotto alla quale è posizionato il portale d’ingresso al castelletto. L’accorpamento delle costruzioni esistenti, la struttura a blocco a imitazione neogotica di un castello medievale risponde ai gusti dell’epoca (revival romantico). La “sensazione” di castello medievale è ben resa dal coronamento merlato (alla ghibellina, cioè a coda di rondine) della torre a base quadrata, con beccatelli aggettanti su archetti ciechi (realizzati per la difesa piombante ma, in questo caso, solo per ornamento) e dagli alti finestroni ogivali.

 

A lato del palazzo sorge una piccola chiesa a navata unica e campanile a vela a un solo fornice, intestata a San Nicola di Bari e molto più antica del castello, risalente probabilmente ai tempi di Carlo V (Carlo di Gand, sec. XVI), del periodo della dominazione spagnola. La tradizione vuole che la campana gotica della chiesuola provenga dal vicino monastero di San Sisto, situato sul colle omonimo.

Castello Bonifaci; in basso, a dx, la torre con i beccatelli (foto F. Mosca)

 

A proposito di San Sisto, la tradizione lo propone come sede di un monastero di ragguardevoli proporzioni (si racconta di ben 50 monaci residenti: un numero realmente poco credibile!) del quale non esiste però alcuna testimonianza fisica, solo un gruppo ordinato di alberi di grosse dimensioni, una macchia di verde conosciuta dai locali come “La Ciuffetta” (o Ciuffo Bonifaci), un toponimo popolare che si riferisce agli alti faggi secolari che circondano la zona e svettano rispetto agli altri alberi del bosco. La disposizione dei faggi è sicuramente artificiale: sono stati piantati quasi a costituire un circolo e delimitare così una zona ristretta. Sulla Ciuffetta aleggia un velo di mistero: oltre al monastero benedettino, l’immaginario popolare vi ha posto la tomba di Re Manfredi di Svevia e lo ha immaginato come luogo di sabba delle streghe. Qui sarebbe passata la mitica strada romana Via Metella (articolo precedente, leggilo qui), scorciatoia tra Amatrice e la costa adriatica… ma questa è un’altra storia.

 

Come già esposto, nell’area di Colle San Sisto non è rimasto nulla a ricordare la presenza di religiosi; il sito è però più volte citato in documenti come dipendenza della non-lontana abbazia benedettina di Montesanto, elevata sul poggio di fronte alla fortezza di Civitella del Tronto. Inoltre, il Celani riferisce che negli ultimi decenni del ‘500, i resoconti di visite pastorali riferivano ancora di una costruzione (Monsignor d’Aragona, nella sua visita pastorale del 1580, visitò la chiesa rurale di San Sisto «in colle vulgo dicto Sancti Xisti», trovandola in rovina). Nel 1571, però, Monsignor Camaiani, nella relazione della sua visita pastorale, non lo aveva citato, forse perché il sito era già stato abbandonato, probabilmente per motivi climatici (siamo oltre i 1200 m di altitudine).

 

Nelle immediate vicinanze, a una quota lievemente inferiore, il Lago di Sbraccia, piccolo bacino idrico inserito scenograficamente (è completamente circondato da macchie boschive) in un contesto di alto valore paesaggistico.

L’arco voltato del passaggio pubblico (foto F. Pomanti)

La corte interna; a dx, la chiesa di San Nicola con la vela del campanile (foto F. Pomanti)

L’edificio messo in sicurezza “parla” chiaro: anche qui, i danni del terremoto sono stati notevoli (foto F. Pomanti)

Particolari del castello (foto F. Pomanti)

Il Lago di Sbraccia dall’area di San Sisto (foto G. Vecchioni; in alto, sullo sfondo, il Monte Tignoso e la Montagna dei Fiori)

Il Lago di Sbraccia dall’area di San Sisto (foto G. Vecchioni; in alto, sullo sfondo, il Monte Tignoso e la Montagna dei Fiori)


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1 commento

  1. 1
    Bruno Formichetti il 3 Giugno 2024 alle 15:48

    Articoli sempre super dotti; complimenti!!
    Ora vorrei provare a chiederVi:
    sia a Vallecastellana che ad Acquasanta esiste una frazione che si chiama MORRICE.
    Ce n’è un’altra a Pagliare del Tronto e relativo ristorante “Il Morrice”. Quattro volte MORRICE!!
    MI chiedo: <>
    Grazie
    BF

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