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La chiesa di San Pietro Martire riapre le porte ai cittadini: le origini ed il ruolo di uno dei tempi più imponenti e importanti di Ascoli

DOMENICA 23 giugno, alle 21,  una solenne cerimonia presieduta dal vescovo Palmieri. Iconico edificio religioso situato nel popoloso rione di San Giacomo, nel centro storico della città. Questo articolo ne ripercorre la storia secolare, focalizzandosi sugli aspetti storico-architettonici
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La facciata laterale della chiesa, con l’alta zoccolatura e il cordolo orizzontale aggettante che spezza l’uniformità della parete muraria (foto G. Zucchetti)

 

 

di Gabriele Vecchioni

Domenica 23 giugno, alle 21, una solenne cerimonia alla quale prenderà parte il vescovo Gianpiero Palmieri, sancirà la riapertura della chiesa di San Pietro Martire, una delle più antiche e importanti della città. Il periodo di chiusura è legato ai lavori di rispristino e messa in sicurezza per i danneggiamenti dovuti agli eventi sismici; la (ri)apertura restituisce al culto e – perché no? – al turismo culturale una chiesa monumentale tra le più importanti della città.

 

Foto aerea dal lato meridionale. In primo piano, la torre moderna (del Ventennio, come si evince dai simboli littori), costruita a imitazione delle torri gentilizie ascolane (foto D. Galiè)

Questo articolo ripercorre brevemente la storia del monumento, una sintesi non facile, dato che esso ha una storia lunga e complessa.

 

La chiesa fu edificata dai domenicani verso la metà del secolo XIV, utilizzando un edificio del 1230 (la chiesa antecedente era quella del convento poi trasformato, dall’architetto Pilotti, in Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri).  Il campanile fu ricavato da una delle tante torri gentilizie ascolane; più tardi il complesso avrebbe visto l’edificazione di una torre gemella (quella rivestita in mattoncini di colore rosso) dalla parte opposta.

 

Ma andiamo con ordine, dedicando qualche riga alla straordinaria fioritura di edifici religiosi legati agli ordini mendicanti della chiesa cattolica, nati tra il sec. XII e il sec. XIII, i più importanti dei quali, ricordiamo, sono tre (Francescani, Domenicani e Agostiniani), tutti presenti in città; in particolare i Domenicani, con ben due conventi (e relative chiese annesse).

 

 

GLI ORDINI MENDICANTI – Gli ordini mendicanti costruivano i conventi non più in luoghi isolati ma in città, proprio per favorire la predicazione e mendicare le offerte necessarie per il sostentamento.

 

Ad Ascoli, i primi a costruire conventi all’interno del casco urbano furono i Francescani, seguiti dai Domenicani e, più tardi, dagli Agostiniani: tutti e tre costruirono complessi conventuali imponenti, quasi in competizione tra loro per la maestosità degli edifici, favoriti in questo dal diffondersi del “nuovo” stile architettonico, il gotico.

 

Piazza Ventidio Basso. A sinistra, la chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio e, a destra, l’austera facciata laterale di San Pietro Martire (foto G. Zucchetti)

 

Senza dilungarci su aspetti socio-geografici ben conosciuti, possiamo dire che i Domenicani (appartenenti all’Ordo Praedicatorum di Domenico Guzmán) occuparono ben due location in città, la cosiddetta Piazza delle Donne (cioè la piazza del mercato), vicino alla chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, nel quartiere aristocratico della città, e uno in quello più antico, la Piazzarola.

 

I due conventi, indipendenti ma “nati” entrambi a metà del secoli XIII, erano legati a famiglie religiose domenicane diverse: quello della Piazzarola attestato alla cosiddetta Provincia d’Abruzzo (o di Santa Caterina da Siena), l’altro alla Provincia di Lombardia. Il complesso domenicano aveva uno Studium, cioè vi si tenevano corsi di formazione per religiosi predicatori ed era sede di una magistratura giudicante per le controversie teologiche; fu chiuso nella prima metà dell’Ottocento.

 

 

San Pietro Martire di Cima da Conegliano (sec. XVI). In bell’evidenza gli strumenti del martirio e la palma che attesta il suo status di martire della Chiesa

IL SANTO DEDICATARIO – Quest’ultima affermazione ci permette di introdurre la figura del santo dedicatario. San Pietro Martire era un frate domenicano originario di Verona, coevo di San Domenico di Guzmán (sarebbe stato lo stesso Domenico a vestirlo dell’abito monacale), venuto a predicare ad Ascoli nel 1250; era un inquisitore e il suo martirio sembra legato proprio a questa sua attività: sarebbe stato ucciso con un colpo di roncola (in realtà, un “falcastro”) in testa da un sicario mandato da eretici lombardi. Le immagini del santo lo rappresentano proprio con la roncola conficcata nel cranio: è tradizione, nell’iconografia cristiana, rappresentare il canonizzato con lo strumento del martirio.

 

 

IL TEMPIO – Il tempio fu costruito agli inizi del secolo XIV, concluso alla metà del secolo e dedicato al santo che, per inciso, fu il primo santo dell’Ordine dei Domenicani ad essere canonizzato, dopo il fondatore: è una delle quattro basiliche di Ascoli, con la cattedrale di Sant’Emidio, San Francesco e Sant’Agostino. R. Elia scrisse (1931) che «grandissimo deve essere stato il favore incontrato dai bianchi frati (i Domenicani, ndr) se in pochi decenni di residenza acquistarono i mezzi per costruire una chiesa come quella di San Pietro Martire, ampliare il convento non solo, ma iniziare una nuova comunità e una nuova chiesa alla Piazzarola».

 

 

L’area delle absidi poligonali e la torre campanaria. In primo piano, una decorazione luminosa estemporanea (foto F. Laganà)

LA PIAZZA – La piazza dove prospetta l’area absidale della basilica è stata, dall’epoca romana fino al secolo XVI, il centro commerciale della città. Per gli ascolani era la piazza “de li femmene” (delle donne), dove si svolgeva un attivo mercato manifatturiero legato alla lana e, in generale, alla tessitura.

 

La memoria delle attività svolte in questo spazio è murata sulla parete della chiesa di San Pietro Martire: una lapide (la Gabella della Staterola, 1613) con le regole commerciali da rispettare.

 

La cosiddetta Gabella della Staterola (1613), sul fianco settentrionale della chiesa di San Pietro Martire (foto G. Vecchioni)

Sulla stessa facciata è murato un massello di travertino con la scritta in latino, tradotta da Antonio Rodilossi: «Anno 1332 nella festa di S. Pietro Martire al tempo del papa Giovanni XXII».

Giorgio Giorgi ha scritto (2018) che «l’antico mercato della città ospitava ben cinque edifici religiosi di grande rilievo storico-artistico e, soprattutto, devozionale per l’intenso flusso di pellegrini che frequentavano la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, con le acque miracolose di San Silvestro, protettore dalla lebbra; la basilica di San Pietro Martire, con annesso convento domenicano; la chiesa di Santa Margherita con il monastero delle “Dominae di clausura”, apprezzata per gli affreschi, perduti, di Cola d’Amatrice; la chiesa di San Giovanni ad Templum dei Gerosolimitani e, infine, ultima in senso cronologico, la chiesa di San Rocco, taumaturgo francese, guaritore della peste)».

 

La piazza ha subìto, recentemente, una “riqualificazione” che ha avuto il merito di impedire il traffico e la sosta selvaggia in questo spazio cittadino (anche se ha modificato l’antico, unitario impianto medievale); una misura, però, non ancora risolutiva per le esigenze della circolazione in città.

 

 

LA CHIESA – La chiesa di San Pietro Martire è considerata una delle principali manifestazioni del gotico marchigiano. La tradizione vuole che essa sorga nel luogo dove frate Pietro da Verona aveva fondato in città il convento dell’Ordine Domenicano e una piccola chiesa, in stile romanico, dedicata a San Domenico. L’edificio sacro fu devastato da un incendio nel 1257 e subito ricostruito ma si volle una chiesa più grande delle già esistenti San Francesco (dei frati Minori) e Sant’Agostino (degli Eremitani); la chiesa, che è tuttora la più vasta della città, fu dedicata a San Pietro Martire (morto del 1252), il frate «del quale era ancora viva l’eco dell’infiammata parola».

 

La facciata principale prospetta su Via delle Torri. A destra, il portale del Giosafatti (foto F. Laganà)

La semplice facciata ha quattro lesène, un finestrone orbicolare al centro e due finestre circolari, più piccole, lateralmente; il bel portale centrale fu realizzato su disegno di Giuseppe Giosafatti (sec. XVII).

 

L’austera facciata laterale dà su Piazza Ventidio Basso ed è alleggerita dagli alti finestroni ogivali, murati; il portale laterale dorico, chiuso da uno splendido architrave decorato, è di Cola dell’Amatrice (1523).

 

La chiesa termina con tre absidi poligonali che «nella perfetta proporzione dell’insieme esprimono con pienezza lo slancio ascensionale» (A. Rodilossi). Completa la breve descrizione delle parti esterne dell’edificio monumentale l’alto campanile (36 m), derivato da una torre gentilizia modificata per accogliere la cella campanaria.

L’interno della chiesa (è la più spaziosa della città) è ampio e luminoso, a tre navate con archi sostenuti da otto colonne circolari. L’originario soffitto a capriate lignee è coperto dalle vòlte attuali, costruite nel secolo XVI.

 

Pianta della chiesa di San Pietro Martire (da ISSM, modif.)

Ecco come lo descrive GiovanBattista Carducci, architetto fermano autore di un citatissimo “Monumenti di Ascoli” (1855): «… ponevano una breve serie di svelte colonne aventi una semplicissima sacoma (sagoma, ndr) per capitello, altra per base sotto cui raramente uno zoccoletto, e su questi sostegni a base circolare od ottagonale lanciavano un sistema ariosissimo di archi in dolce sesto acuto, che da colonna a colonna, a dalle colonne ai muri per largo e per lungo formavano le vertebre principali, tra cui si attelano (desueto termine militaresco che richiama la disposizione ordinata dei soldati, ndr) le leggerissime volte a crociera».

«L’ampia zona presbiteriale, l’unica che conserva più spiccatamente i caratteri gotici, è anche la parte più rimarchevole per la dosatura dei piani e l’armoniosità dello stile. Ogni singola navata si conclude con una tribuna poligonale a nervature raggiate» (A. Rodilossi, 1983).

 

 

Lo splendido portale laterale di Cola dell’Amatrice (foto G. Vecchioni)

L’INTERNO – Dalla monumentale porta principale, che affaccia su uno dei cardines della città antica, la stretta ma importante Via delle Torri, si entra in un’ampia aula con alle pareti laterali ben otto altari, ognuno arricchito da opere d’arte degne di una descrizione non-possibile in questa sede. Ricordiamo solo alcuni degli autori, i Giosafatti per le opere plastiche e il Trasi per le pittoriche; sui pilastri, presenti anche affreschi trecenteschi del Maestro di Offida.

 

Qui ricordiamo solo la presenza del Reliquiario della Sacra Spina, che ospita uno dei cimeli più importanti della Cristianità. Si tratta di una splendida opera di Nicola da Campli (sec. XV) in argento dorato, lavorato a sbalzo, contenente «la reliquia della Spina che si crede facesse parte della corona posta sul capo di Cristo» (A. Rodilossi). Sempre il Rodilossi chiarisce che il frammento sacro, in possesso del re di Francia Filippo il Bello, fu donato nel 1290 ai Domenicani di Ascoli in cambio di una reliquia di San Domenico (un dente o un osso del dito), da essi posseduta. Il reliquiario è conservato in una splendida custodia in legno e velluto con ferramenti intagliati di arte arabo-ispanica (sec. XV).

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE –  Il breve spazio dell’articolo non permette approfondimenti per quanto concerne il lato artistico delle opere presenti in chiesa; è stato pertanto privilegiata la sua descrizione storico-architettonica. Chi volesse approfondire l’aspetto artistico può ricorrere alle diverse opere a stampa che studiosi e storici locali hanno dedicato all’argomento; se ha fretta, può avvalersi delle informazioni reperibili in Rete. In questo breve pezzo il focus era sul ruolo sociale che la chiesa di San Pietro Martire ha avuto nella storia cittadina, un ruolo importante dimostrato dalla maestosità del complesso e dalla personalità dei tanti, importanti artisti che, nei secoli, hanno concorso alla sua realizzazione.


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