di Gabriele Vecchioni
Federico De Bellis nasce ad Ascoli Piceno nel 1955; giovanissimo e dietro consiglio del padre, segue con profitto i corsi del pittore ascolano Dino Ferrari, ottenendo anche gli elogi del maestro. Nel 1973 De Bellis decide di frequentare il corso di laurea in Medicina, laureandosi a Bologna. L’amore per l’arte è, però, un fiume carsico che riaffiora e Federico segue, sempre a Bologna, anche il corso di Disegno dal vero dell’Accademia di Belle Arti.
Si stabilisce a Chieuti, in provincia di Foggia, “Porta di Puglia” e paese d’origine della moglie, anche lei medico; al nome dell’amata moglie, Anna Maria Zirillo, «che tanto si era prodigata in vita nell’assistenza medica ai degenti fin dai primi anni ‘80», è intitolata la locale struttura per l’assistenza agli anziani. A contatto con quella realtà, coltiva con assiduità la sua passione per l’arte che si estrinseca in occasione di un progetto legato alla sua professione.
Ce lo racconta l’architetto Gianfranco Piemontese nello scritto, breve ma intenso, che accompagna il catalogo della Mostra: Così Federico De Bellis ha iniziato a frequentare – e frequenta ancora – questa piccola realtà di assistenza alle persone, entrando in contatto con un mondo altro. Un mondo dal quale, a primo acchito, si ha quasi la sensazione di doversi difendere, prima di rendersi conto che quegli sguardi, quegli occhi, puntano direttamente al cuore. Mi racconta Federico: «… entrare nella casa di riposo, grazie al permesso concesso dall’amministrazione, per ritrarre gli anziani lì residenti, è stato dettato da motivi intimamente personali, e rapidamente si è tramutato in un progetto di respiro più ampio. Scoprire il mondo delle persone che la popolano con i loro più vari “sentimenti” è stato a dir poco sorprendente. Cogliere la rabbia, la rassegnazione, la dolcezza, il dolore, il senso di abbandono, l’assenza di relazioni con i parenti, hanno profondamente segnato il mio animo tanto da farmi illudere di poter dar voce a quel mondo da noi lì relegato. Un mondo che rappresenta probabilmente il prezioso patrimonio di sentimenti che manca oggi nella società “moderna” e di cui abbiamo tutti bisogno. Spero di essere riuscito a trasmettere senza filtri le emozioni provate, per emozionare l’osservatore».
Nel progetto artistico Senilità, una serie dei ritratti di “persone anziane” – un contatto umano già provato dall’artista quando, allievo del Ferrari, aveva avuto, come modelli, gli ospiti della Casa di riposo di Ascoli Piceno (quasi un presagio del futuro progetto!) – si appalesa il desiderio di contatto e coinvolgimento di un’umanità al tramonto dell’esistenza. Negli occhi dei personaggi la possiamo leggere «la vitalità, la tristezza e i vari stati d’animo». Quasi la chiusura del ciclo della vita, l’inizio del quale è nelle ultime opere del De Bellis che hanno come soggetti, bambini, adolescenti e giovani.
La lezione dell’artista, veicolata dalla piena padronanza dei mezzi espressivi (segno e tecnica grafica, con una preferenza per i colori primari, come mostrano le campiture di alcune sue opere) è ben comprensibile: è l’umanità intera a dover esser vista con amorevolezza. Un sentimento ben espresso da un’altra frase (di Daniela Muratti) presente nel catalogo: «Attraverso gli occhi, gli sguardi così acuti da sembrare vivi, affiora un passato perenne. Chi guarda è colpito nel profondo da quel contagio di umanità, non può distogliersi, rimane incollato all’opera, senza distrazioni».
Il percorso umano e artistico dell’espositore è illustrato in maniera sintetica ma efficace da Stefano Papetti, curatore scientifico delle Collezioni Comunali di Ascoli Piceno: nella presentazione del catalogo della Mostra, pone l’accento sulla capacità di «indagine introspettiva profonda ed emozionante» dei ritratti di Federico De Bellis. È questa la caratteristica principale delle opere in mostra: riuscire a coinvolgere emotivamente il visitatore e a farlo riflettere sulla condizione “umana” del soggetto rappresentato.
All’inaugurazione della mostra hanno partecipato tanti amici ascolani con i quali De Bellis ha continuato a mantenere i contatti e, in particolare, i suoi compagni di scuola della 5a B del Liceo Scientifico ascolano “Umberto Orsini” insieme ai quali e ai docenti di italiano Dina Magnani e di inglese Fernando Galiè lo scorso anno ha festeggiato i 50 anni della maturità con la visita al Palazzo dei Capitani della mostra dedicata a Pietro Anastasi, loro professore di disegno.
Chiudiamo questa breve presentazione con un intervento dell’artista, al quale abbiamo chiesto di definire il suo percorso artistico che si intuisce strettamente legato alle vicende personali.
«Mi sono interrogato sul valore delle mie rappresentazioni, dubbioso sulla attualità della tecnica e dei soggetti – racconta De Bellis -. In un mondo così veloce e in genere poco propenso alla riflessione, ebbene, proprio in questo mondo in cui l’immagine è al primo posto, l’immediatezza del messaggio mi è sembrata fondamentale; pertanto spero che incrociare gli sguardi rappresentati riesca in maniera semplice e diretta a trasmettere le emozioni e i sentimenti che appaiono dimenticati o perlomeno messi da parte nel mondo odierno, e di cui invece abbiamo un profondo bisogno».
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