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Armando De Vincentis e le Olimpiadi: «Nei giovani di oggi manca la voglia di essere più forti degli altri»

L'INTERVISTA - Le emozioni dei Giochi raccontate da chi l'ha vissute direttamente, per ben due volte, nel 1972 a Monaco di Baviera e nel 1976 in Canada. Una panoramica sullo sport e le differenze tra generazioni di atleti
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L’ex discobolo Armando De Vincentis

 

“Pur avendo trovato diverse difficoltà nel praticare sport, il mio nome compare due volte
tra coloro che hanno migliorato il record italiano del lancio del disco (con m. 63,90 nel
1975 e m. 64,48 nel 1976). Ho partecipato a due Olimpiadi (Monaco ‘72 e Montreal ‘76) e a
tre Campionati d’Europa (Helsinki ‘71, Roma ‘74, Praga ‘78), ho vinto titoli nazionali assoluti
(5), indossato la maglia azzurra (48 volte, le ultime 10 nelle vesti di Capitano), vinto i Giochi
del Mediterraneo (Algeri ‘75 e Spalato ‘79), partecipato e vinto meeting internazionali”.

Armando De Vincentis, prefazione del libro “Lanciare il disco”

 

Le Olimpiadi erano il sogno di una generazione di ragazzi che volevano saltare più in alto degli altri o essere i più veloci del mondo. Ce lo ha raccontato con emozione ed orgoglio Armando De Vincentis, ex discobolo ascolano, presente, tra le altre competizioni, ai giochi del 1972 in Germania e a quelli del ’76 in Canada. «Il senso della competizione è nel villaggio olimpico, dove si incontrano i migliori atleti del mondo, di etnie e religioni diverse. Nella mia prima edizione a Monaco non stavo bene fisicamente, non superai neanche la qualificazione, inoltre la mia misura e le mie capacità non mi permettevano ancora di potermi confrontare al meglio con gli altri lanciatori. A Montréal invece stavo bene, avevo già conosciuto molti miei avversari ed era possibile sognare addirittura il primo posto».

 

Un viaggio nei ricordi fino ai Giochi in Canada: «Quando entrai in pedana davanti 70.000 spettatori allo stadio mi è passato davanti tutto quello che avevo fatto per arrivarci. Ricordo che feci un lancio magico, e riuscii a qualificarmi. Addirittura il primatista dell’epoca non andò avanti, insomma questo ti fa capire quanto sia uno scoglio spesso insuperabile». 

 

Quali sono stati i momenti più difficili nella sua preparazione all’evento?

«Cominciai ad allenarmi con il prof. Vittori, poi si trasferì a Roma e rimasi solo. Sono cresciuto sportivamente grazie alla frequentazione della Scuola centrale dello sport di Roma dove ho acquisito le nozioni più importanti per migliorare piano piano. Alla mia prima Olimpiade avevo 28 anni, nella seconda invece, a 33 anni, ho raggiunto la giusta condizione». L’atleta resta la figura centrale, eppure dietro le quinte c’è sempre un grande lavoro in sinergia di un gruppo che resta nascosto. «Ai miei anni era diverso. Non c’erano psicologi, preparatori atletici o altre figure che ti seguivano. Dovevamo contare su noi stessi, e le sconfitte diventavano più importanti delle vittorie perché da quelli imparavi».

 

L’avere troppe figure intorno può diventare un ostacolo nel percorso dell’atleta?

De Vincentis al campo

 

«Dipende dalla persona. C’è chi ha bisogno di più persone e chi non si fa problemi ad avere meno persone intorno. Nel mio caso era una lotta felice tra me e il resto del mondo, che poi ti rinfrancava dei sacrifici che facevi. Io sono tornato qui ad Ascoli Piceno dopo la scuola a Roma, la mattina lavoravo e il pomeriggio venivo in questo campo ad allenarmi. Oggi ci si allena in centri nazionali di preparazione Olimpica, Mennea era uno che si allenava con uno stile più simile a quello odierno».

 

 

Su Parigi: «Il villaggio ha il suo fascino eterno. Spesso hai già incontrato i suoi avversari, magari ci sono atleti che sono addirittura amici. E’ la città della felicità, del comprendere dell’essere e di stare insieme agli altri migliori del mondo dello sport».

Sono stante tante le polemiche per i letti di cartone, il livello di batteri nella Senna, la cerimonia d’apertura. Si dà più attenzione allo spettacolo che al vero senso della competizione?

 

«L’ho percepito anche io. I nostri villaggi erano perfetti sotto ogni punto di vista. Oggi forse un po’ di politica è entrata in scena, certo è importante per il paese ospitante mettere in mostra le proprie bellezze, la cultura, però a Parigi non ho apprezzato molto l’organizzazione. Anche gli atleti, alla sfilata sul battello, sono stati un po’ emarginati». Tanti giovani di successo, ma sono diversi i fattori che secondo De Vincentiis vanno considerati nel percorso di crescita.

«Non deve scegliere con fretta la disciplina. Bisogna provarne diverse soprattutto in fase evolutiva perché sviluppa tutte le capacità fisiche di un ragazzo, e questo crea una base ideale per poi emergere nello sport che si sceglie. Io ad esempio in collegio ho praticato calcio, nuoto ma anche ginnastica».

 

Ha paura che i cellulari stiano strappando i più giovani dallo sport?

 

«Con l’aiuto di un dirigente di sport e salute di Ascoli, mio caro amico, ho condotto un sondaggio per vedere quanti di loro stiano seguendo l’Olimpiade. Temo che siano pochi. Sono preoccupato anche per come nelle facoltà di Scienze motorie viene argomentata la pratica sportiva, non si parla quasi più di sport Olimpici e questo preoccupa. Non ci sono neanche più i Giochi della Gioventù o i campionati sportivi-studenteschi». I social però possono avvicinarli e farli incuriosire. «Questo sì ma il problema è alla base. Noi avevamo questo desiderio di realizzare il sogno di diventare i primi in quello che facevamo. Ormai saranno 12 generazioni di giovani che alleno e purtroppo noto questa differenza. 

 

Un messaggio finale?

 

«All’estero ci sono opportunità straordinarie per chi pratica discipline sportive, soprattutto l’atletica leggera. Pensate che nel 2023 circa un centinaio di ragazze e ragazzi di 17-18 anni sono stati invitati a frequentare gratuitamente le università americane a patto che gareggiassero nei campionati universitari. In Italia i migliori atleti possono ancora accedere nei gruppi sportivi militari: lì prendono uno stipendio, si allenano nelle migliori strutture, frequentano le università e possono anche andare all’estero se preferiscono. Lo sport quindi non solo dà soddisfazione personale ma anche possibilità di crescita nella vita, prometto che noi “anziani” ci impegneremo per veicolare questo messaggio nelle scuole e aiutarli a crescere a 360 gradi». 


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