facebook rss

Le storie di Walter: Davide Tempera racconta le olive di famiglia

ASCOLI - Una piccola impresa famigliare ci aiuta a rivivere un epoca, e a ricordare eccellenze del territorio divenute tali soprattutto grazie al lavoro e alla passione di tante persone. Semplici e straordinarie al tempo stesso. Come i fratelli Francesco ed Emidio Tempera, che hanno avuto anche il merito di non lasciare andare dispersa la loro eredità. Fatta di esperienze e conoscenze, ma, soprattutto, di amore infinito per  quel prodotto grazie al quale hanno contribuito anche a scrivere la storia della loro terra
...

 

 

Un giovanissimo Francesco “Cecchì” Tempera al lavoro con le sue olive

 

di Walter Luzi

 

Parlando delle olive Tempera non si vuole esaltare una solida realtà aziendale dei giorni nostri, ma rendere omaggio alla storia di una famiglia, che con lavoro e passione si è distinta, negli ultimi ottantasei anni, nella instancabile promozione di questa eccellenza del territorio. Iniziata dai fratelli Cecchì e Mimì Tempera nelle vaste campagne di Castagneti. Quando la terra la si coltivava fino all’ultimo palmo. Con il rispetto e la devozione dovuti ad una madre severa ma generosa. E quando il sacrificio e la fatica erano compagne quotidiane per ogni vita, vissute come pratiche virtuose e ineludibili.

 

Oggi l’automazione nelle varie fasi produttive ha solo reso le operazioni più agevoli, veloci e meno faticose, ma molte lavorazioni sono rimaste le stesse di ottant’anni fa. Il cosiddetto progresso non ne ha snaturato l’anima. Così come i giovani discendenti, figli e nipoti, che ne hanno raccolto degnamente il testimone, hanno saputo fare con la storia, e la Memoria, dei grandi padri fondatori. I fratelli Tempera.

 

I LIBRI GIU’ DAL PONTE – Luigi Tempera è fattore di diversi suoi terreni a Castagneti, frazione contadina di Ascoli che si allunga dalle Casermette fino al Battente, lungo la via Piceno Aprutina. Francesco “Cecchìno”, classe 1924, ed Emidio “Mimì”, classe 1927, sono i suoi due figli.

Un giovanissimo Cecchì Tempera

Cecchì interrompe presto gli studi, cioè subito dopo aver conseguito la licenza elementare. Quel giorno stesso scaraventa libri e quaderni giù dal ponte di San Filippo per iniziare a prendere, poco dopo, confidenza con la lavorazione delle olive verdi nel laboratorio che il cavalier Mazzocchi ha in Corso Mazzini, proprio di fronte alla Fonte dei cani. E’ il 1938. Ci va e torna a casa, a piedi. Lo stoccaggio dei fusti è invece poco distante, dentro al Palazzo Malaspina, sempre su Corso Mazzini. Le botti i ragazzi le rotolano lungo la strada, antico Decumano massimo romano.

Quel locale, dove Francesco Tempera, poco più che bambino, apprese i primi rudimenti dell’arte di lavorare le olive, esiste ancora. «E’ stata una vera emozione per me rimettere piede, recentemente, in quel locale – commenta il figlio Davideapprofittando del portone insolitamente aperto. Le vasche in cemento sono state demolite, ma le travi del soffitto, le pareti che si vedono nella famosa foto storica, sono sempre le stesse».

Con la prima paga Cecchì si compra un portamonete. Ma a quel punto non ha più niente per riempirlo, e così deve aspettare la paga del secondo mese per poter metterci dentro qualche soldo.

 

 

LA GUERRA – Nel 1942 arriva anche per Francesco la chiamata alle armi, la partenza per la guerra. L’armistizio dell’8 settembre dell’anno successivo lo raggiunge nel Veneto. Il suo reparto si scioglie. Si torna tutti a casa. Dal veronese, in compagnia di un commilitone di Pagliare del Tronto, si mette in marcia. A piedi ovviamente. Rimediano degli abiti civili per disfarsi delle divise militari. Non si sa mai.

Francesco Tempera sotto le armi

Si rifocillano, lungo la strada, approfittando dell’ospitalità dei contadini. Di quelli che si fidano, ovviamente, e non si barricano in casa per paura di questi forestieri malmessi e affamati. Si muovono di notte e si nascondono di giorno per evitare di fare brutti incontri. I nazisti stanno risalendo infatti la penisola in senso contrario con l’appoggio dei collaborazionisti fascisti e ostacolati dalle bande partigiane. Arriva in Ascoli dopo oltre un mese di cammino.

E’ debilitato dalla fatica e dagli stenti. Sua madre impiega qualche minuto per riconoscere in quel corpo scheletrito il proprio figlio del quale non aveva avuto più notizie da tempo. Finita la guerra con l’aiuto di Emidio, il fratello più giovane, e della mamma Maria, apre nel fondaco sotto la vecchia casa paterna a Castagneti il suo primo laboratorio per la cura delle olive. Tutte tenere ascolane. Perché solo quelle locali c’erano.

Sono tempi durissimi. Si fatica molto, ma si guadagna poco. Anche perché, non essendoci ancora un mercato esterno da soddisfare, quasi tutte le tante famiglie contadine della zona qualche pianta di ulivo nei campi ce l’hanno anche loro, come, soprattutto, la possibilità di alimentarsi con gli altri frutti della terra senza bisogno di acquistare le olive dei Tempera.

I pochi che ci vanno portano con sé l’unica unità di misura …omologata e deputata per la quantificazione del prodotto da acquistare: la cazzarola.

 

CON IL CARRETTO AL MERCATO – I due fratelli Tempera riescono a sbarcare il lunario solo grazie alle vendite di olive che fanno al mercato cittadino di piazza della verdura al chiostro di San Francesco. Partono la mattina prestissimo con il loro carretto carico di fusti di olive. Cecchì lo tira davanti, e Mimì lo spinge da dietro. Al ritorno la fatica, in discesa e con minor peso, è minore, ma all’andata è davvero dura.

In centro i migliori clienti dell’epoca che servono sono due. Il primo store, anche alimentare, della città, appena aperto dalla famiglia Gabrielli in Piazza Roma, antesignano dei loro moderni supermercati, e il Caffè Meletti, autentica istituzione cittadina, in Piazza del Popolo.

«Si può ben dire – continua Davide – che il primo punto vendita della nostra azienda sia stata quella seconda colonna del chiostro di San Francesco, proprio davanti al teatro Ventidio Basso. Era quella la loro postazione abituale, dove riuscivano a racimolare qualche soldo per poter tirare avanti».

Sul finire degli anni Cinquanta però le cose cominciano a migliorare notevolmente. I fratelli Tempera iniziano ad acquistare la materia prima, le olive, nel foggiano, a Cerignola. Sono più grandi, saporite, e soprattutto disponibili in quantità più elevate rispetto alla tradizionale tenera ascolana. Le olive Tempera cominciano così a farsi conoscere anche fuori dai ristretti confini della loro città. «Con la sua Millecento – ricorda sempre Davide – mio padre è stato il primo a far conoscere le nostre olive nel maceratese e nell’anconetano».

 

CASTAGNETI – I volumi di vendita, insieme ai ricavi, aumentano, e nel 1963 i fratelli Tempera hanno già messo da parte abbastanza risparmi per pensare di comprarsi, a Castagneti, vicino al bar-alimentari della famiglia Brugni, il terreno dove edificheranno la loro casa e, ovviamente, il loro nuovo, sottostante, laboratorio artigianale. Casa e bottega come si dice.

Cecchì Tempera il giorno del suo matrimonio. Subito dietro il fratello Mimì

Castagneti. Tante famiglie contadine e pochi mezzi. Spesso più conosciute con i soprannomi della famiglia che con i loro cognomi. Quelli d’ Cannò (Morganti) e d’ C’ndi’uol’ (Celani), d’ L’v’rì (Ferri) e d’ Passaritt’ (Cocchieri), d’ Magnavina (Castelli) e d’ M’cuol’ (Gagliardi), d’ Schiantella (?).

Numerose e più benestanti sono quelle dei Ticchiarelli, con il loro frantoio, e dei Gagliardi, con i loro vigneti.

Anche se i signori veri sono i proprietari delle ville a ridosso della collina, residenze per lo più estive, del conte Massè, dei Marini e dell’avvocato Franchi.

Ma le famiglie di agricoltori, come detto, sono le più numerose. Fra le altre quelle d’Pompa (Novi) e d’ Scataccio’ (?), d’ Cannavina (?) e d’ Frang’cò (Spinucci) d’ Schiantella (?) e d’ D’rinz’ (Durinzi), di Gar’bald’ (?) e d’ Mattè (Nepi), d’ C’ccò (Cicconi) e d’ C’uttò (Ciotti).

Lavorano tutti quelle terre fertili, e i prati verdi in inverno diventano accoglienti pascoli per la transumanza degli ovini. Tutti vivono come fratelli. E ci si aiuta a vicenda, alla bisogna. Come in occasione della trebbiatura, o della vendemmia. O come si può. Pio Gagliardi, per tutti Piucc’ , il nonno di Ilario che aprirà poi il mitico bar Quattro ruote nel vicino, nuovissimo quartiere dell’Inacasa, presta a Francesco Tempera tre milioni di lire per fargli ultimare i lavori di costruzione. Sono una montagna di soldi, per l’epoca. E basta loro solo una stretta di mano per siglare l’operazione. Niente di scritto, nessuna garanzia, nessun interesse da corrispondere per il finanziamento, nessun limite di tempo per restituire indietro il denaro.

«Quando potrai me li ridarai – gli disse Piucc’ Gagliardi – l’importante e che tu e tuo fratello possiate finire presto la vostra casa». Sembra impossibile a raccontarlo oggi. Dove nessuno si fida più di nessuno. Dove se vai in banca a chiedere un prestito le fideiussioni a garanzia non bastano mai, ti fanno firmare una montagna di carte, e i tassi di interesse ti spolpano vivo.

«Fino a quando non restituì a Piucc’ l’ultimo centesimo di quel prestitoricorda ancora Mafalda, la moglie di Francesco, novanta primavere compiute proprio quest’anno, che Dio la benedica – in casa Cecchì ci fece fare la fame a tutti…». E detto da lei, che la fame l’aveva conosciuta per davvero, c’è da crederle.

«Mamma – ricorda sempre Davide – mi raccontava che da bambina, lei che abitava in via Pietro Dini, con altre affamate amichette, andavano a sbirciare dalla vetrine del Caffè Meletti solo per guardare, immaginate con quali occhi, i fortunati che potevano permettersi il lusso di mangiarsi un gelato. Me lo ha ricordato, quasi con le lacrime agli occhi, quando ho acquistato proprio dalla nipote del cavalier Silvio una delle residenze dei Meletti a Fonte di campo».

 

Cecchì e Mafalda il giorno del loro matrimonio con Mimì alle loro spalle

GLI ANNI DEL BOOM – Mafalda Angelini e Francesco Tempera si sono sposati nel 1961. Avranno tre figli. Stefania nel 1963, Luigi nel 1966 e Davide nel 1972.

A lui i genitori hanno spiegato che è stato concepito, come molti terzi figli, per sbaglio.

Il papà aveva 49 anni, la mamma 39, troppi per l’età procreativa media dell’epoca. Anche Emidio Tempera era già convolato, poco prima, a giuste nozze con Teresa Cittadini, recentemente scomparsa anche lei.

Mimì Tempera abbassa la serranda del laboratorio di famiglia. Sullo sfondo il bar della famiglia Brugni a Castagneti

Dalla loro unione nasceranno Maria Ida, universalmente meglio conosciuta come “Cicetta”, nel 1955, e Ivana, nel 1960.

«La mia più grande fortuna – commenta Davide quasi commuovendosi – è stata quella di avere avuto due madri e due padri sotto lo stesso tetto. Appartamenti separati, ma la famiglia è stata sempre una sola. E sempre unitissima».

 

Nei primi anni Settanta l’azienda è già decisamente avviata. Florida. Tempi decisamente in miglioramento anche per le fortune calcistiche dell’Ascoli, di cui i fratelli Tempera sono tifosi sfegatati. La seguono, anche in trasferta, da sempre, nonostante i tempi siano stati, fino a quel momento, avarissimi di soddisfazioni.

 

Stefania Tempera con il papà allo stadio Del Duca

Con l’avvento dell’accoppiata Rozzi-Mazzone, vivono invece, finalmente, i trionfi dell’esaltante epopea del miracolo Ascoli.

Luigi Brugni, che diventa a breve, sposando Cicetta, genero di Mimì Tempera, organizzerà tanti pullman al seguito della squadra per i tifosi di Castagneti di cui il suo bar è sempre affollato punto di ritrovo.

In occasione di ogni trasferta Cecchì e Mimì portano sempre con loro le olive all’ascolana già fritte nella borsa.

Da mangiare, ma, soprattutto, da offrire per fare assaggiare a chiunque capiti.

Nessuno, ancora, infatti, fuori dei confini comunali, ne conosce la prelibatezza. Il successo è sempre assicurato.

Anisetta e olive ripiene restano ancora i biglietti da visita di Ascoli più famosi. Se oggi sono conosciute in tutto il mondo un po’ di merito ce l’hanno avuto anche i fratelli Tempera.

 

Francesco ed Emidio Tempera sull’uscio di casa a Castagneti con Davide

TRADIZIONE E MODERNITA’ – Le donne intente alla cernita, in ascolano “a capà la liva”, ossia a selezionare il prodotto scartare le impurità intorno a “lu schife”, il grande tavolo di legno che si vede nelle foto d’epoca, non ci sono più.

L’automatizzazione, con tramogge e nastri trasportatori, bins in inox e relativi svuotatori, ha ridotto di molto il lavoro manuale. I tavoli di legno sono diventati di acciaio, i mestoli di vimini sono stati soppiantati da quelli di plastica, materiale che ha sostituito anche il cemento delle vasche, e il legno dei fusti.

 

Ma le olive continuano a maturare ancora, “a cuocere” come si dice in gergo, sotto acqua e soda, prima di finire in salamoia.

Cioè immerse in sale ed acqua.

Allegra tavolata con il piccolo Davide, Silene Brugni a destra e Mimì Tempera a capotavola

I segreti e gli insegnamenti antichi dei padri, sono rimasti sacri.

Le tecnologie, fin dalla fine degli anni Novanta, hanno contribuito decisamente solo a ridurre le fatiche fisiche. Il passaggio generazionale di consegne avviene nel 1995.

I tre figli di Cecchì entrano in azienda.

Stefania gestisce la vendita al dettaglio oggi nel nuovissimo spaccio aziendale. Luigi la produzione. Davide il commerciale.

Mimì Tempera con i piccoli nipotini Davide e Massimiliano Brugni

Emidio, che cede volentieri tutte le sue quote ai nipoti, alla firma dell’atto dal notaio ha solo una richiesta da fare ai nuovi titolari. Quella di poter continuare, fino a quando ce la farà, a venire in laboratorio per dar loro una mano. Solo per continuare a respirare quell’odore di olive che ha accompagnato tutta la sua vita. Morirà nel settembre 2014.

Il fratello Francesco lo aveva preceduto di poco, nel novembre 2011. Proprio quel giorno Mimì aveva cominciato a farsi morire anche lui.

Avevano condiviso ogni fatica ed ogni successo per una vita intera.

Bisticciando quasi ogni giorno, ma solo per le inezie.

La posizione di un fusto, o lo spostamento di un contenitore magari. Ma i loro cuori avevano battuto sempre all’unisono. Forte. L’uno per l’altro.

 

 

Davide con il papà al ricevimento per il matrimonio di Pupa Brugni a sentire la cronaca della partita dell’Ascoli alla radio

TEMPI MODERNI – Tempera, da piccola azienda a gestione famigliare con cinque operatori, diventa una solida realtà economica che conta oggi una ventina di dipendenti.

Il laboratorio si è esteso dai 400 di Castagneti agli oltre 2.000 metri quadrati della nuova sede di Campolungo, con un altro magazzino aperto di recente a Controguerra.

Il prodotto trattato è passato dai 1.500 quintali degli anni Novanta ai correnti oltre 8.000.

«Sono cresciuti ovviamente, di conseguenza, i fatturati – spiega Davide che ha mantenuto la saggezza antica degli avi – ma anche i… buffi…».

I fratelli Luigi, Stefania e Davide Tempera, con il Francesco (figlio di Luigi) che porta il nome del nonno

Che oggi però si chiamano, più modernamente, investimenti finanziati da linee di credito a lungo termine. Nel 2020, poco prima dello scoppio della pandemia da covid, entra in azienda anche Francesco, neo laureato in Scienze dell’alimentazione, il figlio di Luigi e che porta il nome del nonno.

I due figli di Davide invece, Sofia Diletta, 17 anni, e Samuele, 14, sono ancora studenti, entrambi in Ragioneria.

Oggi Tempera lavora olive di grande pezzatura da destinare alla farcitura all’ascolana, ma anche secche al forno, leccino e piccanti per la gastronomia, i mercati ortofrutta, la ristorazione, il catering e la grande distribuzione, o piccole pezzature per la panificazione e le conserve.

La lavorazione di oliva tenera ascolana non supera neppure la misura del 10%. Una coltivazione che è andata sempre a scendere a fronte di una richiesta del mercato sempre maggiore.

Olive disponibili in quantità provenienti dalle colture di Sicilia, Puglia e Grecia soprattutto, hanno sopperito in proporzioni sempre crescenti al fabbisogno.

«E’ sbagliato dire che siano migliori quelle d’importazione – spiega sempre Davide  – rispetto alle nostre. Sicuramente sono diverse. A partire dalla pezzatura, più piccola la tenera, e anche più delicata, che si ammacca facilmente, ma questo per me può essere anche un pregio.

Dal caratteristico sapore più croccante, ma che si lavora decisamente molto peggio delle altre, soprattutto durante la fase di denocciolatura. Ma sei vuoi rispettare appieno la ricetta dell’antica tradizione culinaria, devi usare solo l’oliva tenera ascolana».

 

STORIE DI IERI E DI OGGI – Le prime olive verdi farcite all’ascolana risalgono alla fine dell’Ottocento. Un summit di cuochi delle principali famiglie nobili ascolane concordano un sistema per cercare di evitare gli sprechi della carne cotta avanzata. All’epoca infatti, senza i frigoriferi, la conservazione dei cibi rappresenta un grosso problema.

Prendono spunto dai frati benedettini, che farciscono le olive denocciolate con un composto di erbe. Sostituendo il composto vegetale con la carne macinata e friggendo le olive dopo averle panate, scoprono che il risultato è ottimo anche per il palato.

Ad uso e consumo, inizialmente, e anche comprensibilmente, solo delle famiglie più benestanti. Una ricetta di recupero, che aveva già visto nascere, secondo gli stessi intenti, anche il frecandò.

Oggi la fama dell’oliva ripiena all’ascolana, “li pallett’”, come le chiamiamo noi autoctoni, è pressoché planetaria, superando i ristretti confini compresi, per quasi un secolo, fra Mozzano a Brecciarolo.

Sono conosciute, e confezionate più o meno bene, ovunque.

E la domanda di oliva per questo utilizzo si è impennata senza però poter trovare soddisfacimento.

«A partire dagli anni Settanta e Ottanta – spiega sempre Davide Tempera – le piante di oliva tenera da pasto sono state via via dismesse dai coltivatori perché poco redditizie rispetto a quelle da olio. Quando poi negli anni Novanta si è riusciti ad ottenere il marchio Dop su un prodotto che, nelle lodevoli intenzioni, avrebbe dovuto fare da volano a tutta l’economia del territorio, si è capito che, forse, il percorso era da intraprendersi al contrario.

E cioè, prima si sarebbero dovuto incentivare le coltivazioni, fino ad arrivare ad un regime accettabile di produzione, e poi fregiarlo di un marchio.

Diversamente, come accaduto, si va a tutelare un prodotto locale rimasto, troppo di nicchia».

Intristisce e sconcerta in proposito lo sfregio dei duemila ulivi lasciati, da almeno un ventennio, al completo abbandono sui terreni dell’ex tenuta Sgariglia a Campolungo, proprio mentre l’ennesimo conato di orgoglio sovranista nazionale ha decretato d’ufficio, di recente, Ascoli, addirittura, immaginifica “città dell’olio”.

«Mi piacerebbe anche – conclude Davide Tempera – che un’oliva ripiena di buona qualità, prodotta artigianalmente con tutti i crismi e tutti gli ingredienti della tradizione, non costasse al consumatore meno di un cremino, o di uno spiedino. Una vera mortificazione questa, per il lavoro che richiede, e per la sua fama. Prima vittima di una guerra fra poveri dettata da una concorrenza spietata che non conviene a nessuno».

L’ultimo atto d’amore della famiglia Tempera per il loro lavoro, sta nella scelta della pianta per adornare la vecchia casa-laboratorio paterna di Castagneti. E’ ormai quasi finita, dopo i lunghi lavori di ristrutturazione imposti dai sisma del 2016 e 2017.

Non hanno voluto aspettare nemmeno di togliere le transenne di cantiere.

Proprio davanti alla facciata, fronte strada Piceno Aprutina, perennemente congestionata di traffico, Stefania, Luigi e Davide hanno voluto piantare un grande ulivo.

Anche i fratelli Tempera, Lassù, hanno sorriso. La loro storia continua.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




X