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Il gafio, balcone dei Longobardi

NELLE AREE dell’entroterra montano della Laga è ancora possibile imbattersi nei resti di strutture dal modesto valore architettonico ma con una storia antica, risalente addirittura all’epoca dell’invasione longobarda. Sono i caratteristici balconi di legno, sporgenti dalla facciata delle case e costruiti con una tecnica rimasta immutata nei secoli
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A Olmeto di Valle Castellana. Quel che rimane di due gafi (foto G. Vecchioni)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Le montagne della Laga e l’area del cosiddetto Appennino perduto (ricadente, in gran parte, nell’Acquasantano) sono, per l’escursionista che ama la wilderness, un autentico paradiso: una full immersion della natura, con panorami ampi e diversificati per la difformità dei displuvi, con sentieri che scompaiono nella macchia per riapparire sui crinali, immersi in un mare di verde nelle tonalità più diverse, interrotto solo dal grigio delle rocce e con lo sfondo sonoro dello scorrere delle acque dei ruscelli. Il viandante fa una scoperta dietro l’altra: un sentiero nel bosco da percorrere in silenzio, un muretto di pietra a secco, una casa diruta, una mulattiera. Qualche itinerario potrà presentare una certa difficoltà per via della vegetazione che ha nascosto la via, ma permetterà un «ritorno al passato», perché si raggiungeranno borghi e case isolate nell’unico modo possibile, a piedi, come una volta.

A Collegrato. Casa con gafio assediata dai rovi (foto R. Gualandri)

 

I gruppi di case, isolati come villaggi antichi (le ben conosciute fare di memoria longobarda), sono collegati tra loro da sentieri e mulattiere, arterie pulsanti di un territorio dall’orografia tormentata. Sentieri e mulattiere erano le vie che cucivano il tessuto sociale, permettevano i commerci e consentivano agli abitanti di vivere una vita autonoma. Lungo le mulattiere si ritrovano le tracce degli uomini, i casolari, i resti dei mulini, i muretti dei terrazzamenti e gli orti ormai abbandonati. In molte case, una struttura lignea attrae l’attenzione: è il gafio, il balcone di legno, sicura memoria di una struttura portata dai Longobardi, all’epoca della loro invasione.

 

Per inciso, anche la parola “balcone” è di origine longobarda e anch’essa ricorda strutture lignee (deriva da balko, trave). A prima vista, il gafio appare come un semplice, modesto balconcino di legno. In realtà, si tratta di una struttura più complessa, frutto dell’esperienza costruttiva di popolazioni abituate a utilizzare il legno per le loro realizzazioni.

 

In diverse frazioni dei comuni dell’area appenninica si incontrano balconi con struttura interamente in legno (l’orditura della struttura, i parapetti e i montanti che collegano il balcone al tetto): sono da ricollegarsi al già citato tipo di balconata in legno conosciuta come gafio, tipica dell’edilizia civile. Nei paesini di montagna (nei borghi abruzzesi come Valzo e Laturo ma anche in altri posti, nelle Mar­che) è facile trovare, sporgenti dai muri di pietra, queste strutture legate alla tradizione importata in Italia all’epoca della già citata dominazione longobarda (secc. VI-VIII). Molti di questi “balconi” (costruiti, ricordiamo, in materiale deperibile) sono fatiscenti, e spesso irrecuperabili. La scomparsa dei gafi è dovuta al naturale degrado del legno, lasciato senza manutenzione per decenni a causa dello spopolamento e l’abbandono dei paesi di montagna per il disagio abitativo, legato spesso alle difficoltà di comunicazione (per la mancanza di strade o le condizioni pessime delle stesse); un’altra causa è la loro sostituzione con elementi di cemento armato e metallici (ringhiere), con nessun rispetto della tradizione edilizia antica e con risultati pessimi dal punto di vista estetico.

A Laturo. Un gafio in pessime condizioni di conservazione sporge dalla facciata laterale di una casa in arenaria (foto G. Vecchioni)

 

«È facile intuire che solo l’abilità di un popolo abituato a operare quotidianamente con il legno potesse pensare una così perfetta struttura che si autoreggesse dai carichi troppo elevati della neve abbon­danti nella zona dei Monti della Laga e che usa come struttura portante l’intero complesso spaziale, composto da piano di calpestio, balaustra e copertura. Una struttura a sbalzo non è facilmente otteni­bile se i materiali a disposizione sono esclusivamente legno e pietra (C. Ferrante, 2003)».

 

La parola “gafio” deriva da waifa, che in longobardo significava “terra di nes­suno” ed era usata per indicare un balconcino in legno coperto da una tettoia. Come molte delle parole longobarde entrate nei dialetti italiani, essa rimanda all’esperienza quotidiana: la parola non è una semplice derivazione se­mantica ma un segno che collega il gafio alla civiltà e alla cultura dei Longo­bardi. La tradizione germanica voleva che gli edifici fossero costruiti interamente di legno: il gafio deriva direttamente da quella tradizione e, nel Teramano e nelle zone limitrofe, è esclusivamente di legno.

 

Il gafio non presenta particolare rilevanza artistica; è però interessante dal punto di vista storico-antro­polo­gico, come testimonianza dell’influenza barbarica (longobarda) sui modi di vita delle popolazioni di montagna, specialmente quelle dei Monti della Laga. Non è un semplice balcone in le­gno ma una struttura articolata, adattata in modo esemplare alla tipologia di casa presente nei nostri territori montani.

 

Il gafio si presenta(va) come una sorta di balcone adat­tato ai solai tradizionali con travi e tavolato di legno; comunque, esso non è un elemento architettonico che nasce con il resto dell’edificio: il terrazzino in legno “inizia” come semplice tettoia, trasformata poi in balconcino con il piano di calpestio realizzato con tavole di legno e, infine, viene “finito” con l’inserimento di qualche trave.

A Valloni, le travi sporgenti dal muro indicano dove era posizionato un balcone ligneo (foto F. Mosca)

 

La regolamentazione “moderna” di questo tipo di costruzione risale al 1440 (gli Sta­tuti di Teramo e quelli del Castello di Ancarano descrivono il gafio come un elemento edi­lizio sporgente e ingombrante). Erano vietati nelle città, a causa dell’intralcio che potevano creare ostacolo alla libera circolazione di carrozze e gente a cavallo: per questo, i gafi rimasero confinati nei paesini, dove venivano co­struiti quasi sotto i tetti, dove l’ingombro era minimo.

 

Questo tipo di balcone di legno era piuttosto diffuso, oltre che nell’area della Laga e dell’Arquatano, anche sulle montagne picene, nei borghi dei Sibillini. Se ne occupò Enzo Tavoletti in un articolo del 1984 sulla rivista locale Flash. L’autore riportava brani di uno scritto del 1892 di Don Pietro Ferranti nei quali informava che nel 1504 il Cardinal Farnese (futuro Papa Paolo III) decretò l’abbattimento di una «moltitudine di proferni [sono i “nostri” balconi di legno, NdA] che tenevano le vie troppo occupate, sporgendo da ciascun piano di ogni casa»: la stessa situazione che aveva portato al divieto del 1440 (del quale avevamo scritto in precedenza) che ne aveva impedito l’utilizzazione nelle città del Teramano.

A Valle Piola. Gafio “ricostruito” (foto F. Mosca)

 

Vediamo come il Tavoletti descrive questi artefatti che «abbondavano in tutto l’appennino centrale. Costruiti per lo più artigianalmente, con legname di castagno, molto resistente alle intemperie e all’umidità, occupavano di preferenza le facciate assolate delle abitazioni, quasi per intero. Poggiati su robusti tronchetti squadrati, infissi nei muri in corrispondenza dei piani della casa e aggettanti per circa un metro, venivano collegati tra loro dal balcone più basso alle travi del tetto – che si protraeva a coprirli abbondantemente – tramite lunghi e solidi montanti. Avevano pavimenti di robuste tavole, fissate ai tronchetti di sostegno con chiodi manufatti dai fabbri locali, e balaustre di assicelle verticali, strette fra lunghi passanti orizzontali alle estremità…».

7. Un altro gafio ricostruito. Qui siamo a Leofara (foto F. Mosca)

 

Considerazioni conclusive. È sempre più difficile imbattersi in questi tipici balconi lignei che, come abbiamo visto, vanno scomparendo per la deperibilità dei materiali e per la mancanza di manutenzione, e sono spesso sostituiti, dai residenti con i più “comodi” balconi in muratura. Non si dimentichino, poi, gli eventi geologici distruttivi: le nostre terre di montagna sono state sempre sede di sismi devastanti come quelli che le colpirono già nel sec. XVIII (1703 e 1739). Per questo, è stata fatta la scelta di utilizzare, per le foto a corredo dell’articolo, anche immagini di qualche anno fa, per meglio illustrare le loro caratteristiche costruttive.

 

Il gafio costituisce una peculiarità storico-architettonica dei borghi montani ed è (o meglio, sarebbe) importante mantenerne qualcuno in efficienza, con le caratteristiche originarie. Anche se in questo particolare momento storico è difficile perorare la causa del mantenimento di strutture tutto sommato “inutili”, solo per la conservazione della memoria storica dell’ambiente, sarebbe opportuno farlo proprio perché “senza memoria non c’è identità”.

 


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