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Francesco Ceci, paralimpiadi da spettatore: «La delusione più cocente»

ASCOLI - A 35 anni è stato costretto a saltare la sua terza olimpiade. La maledizione a cinque cerchi continua per il grande sprinter, nonostante la maglia iridata vinta sei mesi fa e l’invidiabile palmares di allori nazionali conquistati in carriera. La collaborazione con un’azienda ascolana per lo sviluppo di una nuova bici supertecnologica. Obiettivo: Los Angeles 2028
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di Walter Luzi

 

I campioni del mondo, le Olimpiadi paralimpiche se le stanno vedendo in tv, da casa loro. Sembra un paradosso, ma è così. L’ascolano Francesco Ceci e il comasco Stefano Meroni, tandem azzurro iridato a Rio appena sei mesi fa, non sono stati convocati infatti dalla nazionale per i Giochi in corso di svolgimento a Parigi. La decisione della federazione era già stata comunicata loro ai primi di giugno durante un ritiro collegiale. L’ufficialità è arrivata a fine luglio. Paris adieu.

Meroni e Ceci

 

«Ci contavamo e ci speravamo commenta il plurititolato pistard ascolano se non altro in virtù della nostra crescita, registrata in poco più di un anno avuto a disposizione per  prepararci in coppia».

 

La maglia di campione del mondo appesa incorniciata ad una parete, sa, ora, di beffa.

 

«Sono state fatte determinate scelte tecniche – spiega Ceci – che, come atleti, possiamo solo rispettare. Molti dei nostri antagonisti, battuti da noi sia a Glasgow che a Rio, stanno gareggiando a Parigi. Le loro federazioni, in qualche caso con più posti a disposizione, in altri no, hanno fatto, evidentemente, scelte diverse».

 

I posti riservati ad ogni singola nazione vengono assegnati sommando i punteggi di tutto il ciclismo paralimpico riferiti all’ultimo biennio di gare internazionali. L’Italia, per il ciclismo, di tutte le specialità, ne aveva a disposizione per Parigi 2024 solo otto, da assegnarsi a discrezione del settore tecnico della federazione.

I due in pista

 

«È stata fatta la scelta di privilegiare il settore strada – ci dice sempre Francesco Ceci – che ha una sua storicità in ambito paralimpico, a differenza della pista che è un movimento più giovane, nato da poco. Una disciplina la nostra, ci hanno detto, che era già previsto di prendere in considerazione in funzione dei Giochi 2028. E noi due, ripeto, possiamo solo rispettare questa decisione”.

 

Si tratta della terza Olimpiade mancata. Una vera maledizione a questo punto. Quella dei Giochi di Rio 2016 resta comunque l’esclusione più cocente?

 

«Senza dubbio – continua -. Due anni di qualifiche olimpiche superate con successo a marzo sembrava fatta. Anche i giornali avevano anticipato la nostra partecipazione a quelle olimpiadi brasiliane, quando improvvisamente, sono cambiate le carte in tavola. La geopolitica dello sport mondiale decide di togliere un posto all’Europa per favorire l’Asia. Dall’oggi al domani l’Italia scala a ruolo di prima riserva, e la “mia” Olimpiade sfuma. Sì, quella è stata davvero la botta più grossa».

 

Anche Tokyo 2020, l’Olimpiade successiva segnata dal Covid, sfuma, quasi alla vigilia, per il plurititolato pistard ascolano. Stavolta è un infortunio a metterlo fuori gioco.

 

«A causa di caduta durante una gara internazionale di qualificazione olimpica mi sono fratturato la clavicola – spiega -. È uno di quegli incidenti di percorso fanno parte del gioco. Che possono starci nella vita di un atleta».

 

L’anno dopo arriva la sua discussa esclusione dal giro azzurro. Da campione italiano in carica, e imbattuto, nella sua specialità. Una decisione che scatena polemiche feroci. Non le sue. Lui incassa il colpo basso da gran signore. E continua a pedalare. Vince un altro titolo italiano, l’ennesimo, anche lui ha perso il conto di quanti sono in tutto, prima della nuova chance paralimpica.

 

«A sorpresa anche stavolta, mi sono ritrovato fuori dai programmi della Nazionale e, conseguentemente, dal mio gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre –  conferma -. Sono rimasto fermo un anno. Poi è arrivata la nuova opportunità nel settore paralimpico».

 

Francesco ricomincia ad allenarsi in proprio, da zero, nel tandem con l’atleta ipovedente lombardo Stefano Meroni.

 

«Abbiamo subito realizzato che potevamo dire la nostra – racconta sempre Francesco – è arrivato subito infatti il titolo italiano, e, l’anno dopo, l’argento mondiale a Glasgow nel team sprint mixed. Pian piano abbiamo preso consapevolezza delle nostre potenzialità, realizzando di poter rientrare fra i primissimi posti nel mondo, nonostante i pochi mesi di preparazione congiunta che avevamo potuto fare».

 

A marzo scorso, a Rio de Janeiro, arriva l’oro mondiale nella stessa specialità ed un lusinghiero quinto posto nel chilometro da fermo. Fanno segnare anche il secondo miglior tempo nelle qualifiche della velocità, con il settimo posto in finale.  I grossi risultati portati a casa nel giro di appena un’anno non sono stati sufficienti per coronare il grande sogno olimpico di Francesco Ceci. Resta la soddisfazione per gli alti livelli competitivi raggiunti in tandem con Meroni in un tempo relativamente breve.

 

«Al di là della comprensibile delusione, la soddisfazione, e i risultati – ammette – quelli restano. Anche per Stefano, che mai avrebbe pensato di poter arrivare a certi livelli. All’inizio della nostra avventura neppure ci credeva tanto. Era già contento di essere arrivato in nazionale. Poi, strada facendo, dopo i primi successi, ha acquisito consapevolezza del proprio valore».

Francesco segue in tv tutte le gare dei compagni paralimpici azzurri.

 

«Sono contento per i ragazzi dell’inseguimento – commenta – che si sono fatti onore. Non è la nostra specialità. In quella io e Stefano avremmo potuto dare il nostro contributo. Eravamo, e siamo tuttora, convinti di avere le potenzialità per poter arrivare in zona medaglie».

 

E adesso?

 

«Sappiamo entrambi di avere grossi margini di miglioramento – spiega sempre Francesco Ceci – perché abbiamo più tempo davanti a noi per poterci ben preparare, gestendo al meglio anche i nostri orari di lavoro. Ricorrendo, magari, anche a periodi di ferie, o di aspettativa, nei momenti clou della stagione. I sacrifici da affrontare saranno tanti, ma non ci spaventano di certo. Auspichiamo solo una programmazione ottimale, sotto ogni aspetto, da parte della federazione».

Claudio Ceci con i figli Francesco e Davide

 

Francesco, dopo il congedo impostogli dal gruppo sportivo Fiamme Azzurre, lavora infatti presso la casa circondariale di Marino del Tronto. Stefano invece, impiegato amministrativo anche lui, presso il Comune di Lurago d’Erba, nel comasco. Impegni professionali e stanchezza che non riescono a precludere loro dure sedute giornaliere serali di allenamento per tutto l’arco dell’anno. Assorbito il colpo, ora si può solo guardare avanti.

 

«Io e Stefano siamo in stand-by da giugno – conclude Francesco Ceci – e ancora in attesa che venga programmato il prossimo quadriennio. Sicuramente se ne parlerà solo dopo la fine delle Olimpiadi. Quando la federazione lo avrà definito nel dettaglio potremo ripartire con gli allenamenti. E con la realizzazione, finalmente, anche di una nuova bicicletta, altamente tecnologica, studiata su misura per noi».

Vincenzo Ceci

 

La notizia è delle migliori. Anche la prestigiosa industria ascolana HP infatti, che produce componenti in fibra di carbonio per l’aeronautica e i bolidi di formula uno, è impegnata al fianco di Francesco Ceci per mettergli a disposizione una bicicletta super tecnologica. All’altezza del campione che è.

 

«Con la dirigenza dello stabilimento ascolano – annuncia – nella persona dell’ingegner Abramo Levato, stiamo lavorando insieme allo sviluppo di un nuovo telaio superleggero progettato su misura per le nostre caratteristiche. Eravamo pronti per farla esordire già in questa olimpiade francese, ma poi il programma è slittato».

 

Nel 2028 Francesco avrà 39 anni. Il suo compagno di tandem, Stefano, 41. Loro ci credono. E tutti noi con loro. Los Angeles 1984. Los Angeles 2028. Quarantaquattro anni dopo Vincenzo Ceci, suo zio, olimpionico della pista in Usa. Francesco Ceci ha saputo raccogliere la sua eredità, e continua a cullare il suo sogno olimpico, stregato e proibito fino ad oggi, come il sigillo dorato a una carriera strepitosa. Sarebbe l’occasione migliore anche per chiudere il cerchio della lunga vita che una famiglia intera, dal fondatore Alfonso Ceci in poi, ha dedicato al ciclismo. Con amore, passione e sacrificio infiniti. Forza e cuore. Quelli di sempre. Quelli di Francesco Ceci.


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