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Monsignor Frisina incontra le diocesi del Piceno nel segno di San Francesco

ASCOLI - In occasione dell’ottavo centenario delle stimmate del Santo di Assisi, il noto compositore e direttore di musica sacra, accompagnato dal vescovo Palmieri e dai cori parrocchiali del territorio, ha guidato una catechesi molto partecipata, tra musica e riflessioni
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di Federico Ameli

 

In una chiesa del Cuore Immacolato di Maria ad Ascoli gremita, un gran numero di religiosi e laici si sono ritrovati insieme nella serata di ieri, domenica 15 settembre, per celebrare l’ottavo centenario delle stimmate di San Francesco in compagnia di un ospite molto speciale.

Monsignor Marco Frisina dirige il coro al fianco del vescovo Gianpiero Palmieri

 

Per l’occasione, infatti, a guidare la catechesi serale in occasione della ricorrenza delle stimmate del poverello di Assisi è stato monsignor Marco Frisina, noto compositore e direttore di musica sacra che, affiancato dal vescovo di Ascoli e San Benedetto-Ripatransone-Montalto Gianpiero Palmieri, ha condotto i fedeli in un suggestivo viaggio tra canto e preghiera sulle orme di San Francesco.

 

«È un carissimo amico, ci conosciamo da molto tempo e ho avuto tante volte l’opportunità di apprezzare il servizio da lui offerto – esordisce il vescovo Gianpiero Palmieri nel suo intervento di saluto – Abbiamo pensato di invitarlo per condividere con lui delle riflessioni su un evento così importante della vita di San Francesco.

 

Questa sera vogliamo entrare dentro la spiritualità di Francesco, la sua persona e la sua vita. Tutto ciò che la parola non può esprimere, in questo caso, è espresso dalla musica e dal genio musicale di monsignor Marco».

 

Il saluto del vescovo Palmieri

Le Lodi di Dio tessute dallo stesso Francesco, sotto la guida di un direttore d’orchestra d’eccezione, aprono la strada della catechesi, coinvolgendo i cori parrocchiali delle due diocesi insieme al resto dei fedeli.

 

Di fronte a una platea estremamente numerosa, monsignor Frisina ha colto l’occasione per soffermarsi sulle tappe principali del suo cammino di fede e sulle molte analogie che legano il percorso di Francesco a quello del Cristo.

 

«Francesco non era un marziano, ma un giovane dotato di tanta umiltà e cuore, che le biografie del tempo ci descrivono distratto dal benessere, dalle amicizie discutibili e dal desiderio di divertimento e di evasione.

 

A farlo cambiare furono due esperienze, la miseria che circondava questa ricchezza e la violenza della guerra.

 

Il Signore, in fondo, spesso ci pone di fronte a delle strettoie, a delle porte dalle quali non riusciamo a passare, se non diventando piccoli. A noi, invece, piace essere grandi e forti, in una vita in cui la paura è una costante. La paura, in questo caso, è quella di diventare ciò che siamo veramente.

 

Il peccato è la sovrastruttura che l’uomo si crea per questa paura, dando vita a delle maschere per non essere più sé stesso».

 

La liberazione da una vita di peccato avviene, per Francesco, attraverso l’abbandono delle sue vesti, primo tassello di un percorso compiuto nel segno dell’adesione alla vita cristiana.

 

«Francesco aveva tutto, ma trova la sua felicità tra i lebbrosi, nella consapevolezza che l’uomo sia fatto per amare e donare, non per trattenere: per questo si spoglia degli abiti che rappresentavano la dipendenza dal denaro e dal potere commerciale del padre».

 

L’episodio delle stimmate, fulcro dell’esperienza francescana, diventa nella catechesi di monsignor Frisina un gesto di condivisione con tutta la comunità cristiana, che da quel settembre 1224 lontano ormai 800 anni tramanda di generazione in generazione il messaggio del Santo di Assisi.

 

«Senza accorgersene, Francesco sta vivendo la stessa esperienza di Gesù. Comprende che è arrivato il suo Getsemani, il momento in cui deve accettare la volontà di Dio che, nella fede, gli fa lasciare tutto.

 

In quell’istante, Francesco chiede al Signore di sentire un poco del suo dolore e un poco del suo amore per noi. Attraverso la figura del Serafino che appare, in un abbraccio Dio imprime sé stesso su Francesco: è l’immagine di un corpo che riflette un altro corpo.

 

Una grazia specialissima, a cui partecipiamo anche noi in quanto noi stessi corpo di Cristo. Nella fede sappiamo che, come Francesco, siamo chiamati a vivere in Cristo. Dobbiamo seguirlo, poi è il Signore a condurci e darci forza».

 


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