di Gabriele Vecchioni
Il territorio dell’Ascensione e una delle sue caratteristiche principali (quella dei calanchi) sono stati analizzati sulle pagine di Cronache Picene in diversi servizi. In un articolo precedente, era stato posto l’accento sull’aspetto geografico del territorio; in questo pezzo invece, l’attenzione è focalizzata su un capitolo della storia antica.
Nei tempi remoti, la geografia dell’area del Monte dell’Ascensione era, probabilmente, diversa; l’oronimo medievale (Monte Nero) ci fornisce un indizio: probabilmente, le pendici del rilievo erano ammantate da fitti boschi e le ferite dei calanchi erano meno evidenti. La montagna era un punto di riferimento importante e visto da lontano, sullo sfondo delle colline coltivate, il rilievo appariva scuro, quasi “nero”. Nonostante il terreno impervio e la presenza di aree calanchive (potenzialmente franose) diversi studiosi ritengono che qui passasse una via di comunicazione di epoca romana, la cosiddetta Via Statia.
Qualche anno fa, il ritrovamento di un cippo miliario nei pressi di Porchiano ha legato in maniera indissolubile il nome del borgo alla viabilità romana antica. Vediamo, nel prosieguo dell’articolo, un breve approfondimento sul tema.
La via consolare che collegava Roma e il Reatino alla costa adriatica (la Via Salaria, la “via breve” di Strabone) passava per Asculum. Dalla città picena alcune vie minori arrivavano alle aree interne, toccando le falde del Monte dell’Ascensione. Il Colucci, nelle Antichità picene, scrive di due strade secondarie che partivano da Ascoli verso nord, una diretta a Faleria e una a Firmum, l’attuale Fermo. Un vorsus (la deviazione) iniziava nei pressi del ponte augusteo dell’attuale Porta Solestà, risaliva il torrente Chiaro e le pendici del Monte Polesio, aggirava le sorgenti del Tesino e arrivava nella valle dell’Aso; il secondo diverticolo si distaccava dall’altro nei pressi di Venarotta. Una delle vie passava vicino a Porchiano, come testimonia il ritrovamento del cippo miliario di età repubblicana (II sec. AC).
Il cippo lapideo. Il segnacolo stradale (definito, nel Catalogo generale dei Beni Culturali come «un cippo troncoconico in pietra travertinosa») fu ritrovato a Valle Fiorana, in contrada Cresima di Porchiano, vicino alla frazione ascolana di Colonnata, alle pendici del rilievo, appoggiato alla parete meridionale della casa colonica della famiglia Cannella. Il miliario, attualmente esposto nelle sale del Museo Archeologico Statale di Ascoli Piceno, ha un diametro di poco meno di 50 centimetri e costituisce un corpo unico con il plinto basale che era infisso nel terreno. Il plinto ha un’altezza di poco meno di 10 centimetri e la parte che fuoriesce dal piano stradale misura circa 70 centimetri .
Del testo inciso sulla pietra tratteremo diffusamente più avanti. Qui ricordiamo che il cippo era un’infrastruttura viaria di un diverticolo urbano della Via Salaria e il testo inciso sulla superficie rievoca l’azione del prefetto romano Gneo Stazio: è la più antica iscrizione nota di Ascoli romana ed è importante perché testimonia un intervento infrastrutturale romano in un territorio che era pertinenza di Asculum, una città che a quel tempo era ancora autonoma.
Dalla scheda descrittiva del già citato Catalogo generale dei Beni Culturali apprendiamo che «Lungo questo stesso percorso si trova un altro cippo ritenuto antico e rinvenuto presso Montemisio, tra Capradosso (Comune di Rotella) e Montedinove, con l’indicazione della distanza di nove miglia da Ascoli. Il miliario di Valle Fiorana attesta anche la precoce importanza del collegamento diretto tra i centri romani di media valle, lungo un percorso che interessava anche l’area del santuario ellenistico di Monterinaldo».
L’importante santuario romano di età tardo-repubblicana è situato in località La Cuma, nell’alta valle del fiume Aso; legato all’elemento naturale dell’acqua, era frequentato da fedeli interessati ai riti della sanatio, come testimoniano i ritrovamenti di statue votive.
Il miliario era un segnacolo della Via Statia, così denominata per l’iscrizione incisa sulla pietra, riferita a Gneo Stazio, figlio di Manius; il numerale III indica la distanza da Asculum in miglia romane (il termine deriva da milia passuum, mille passi, corrispondenti a 1.480 metri). La scritta sul segnacolo è su tre linee, in lettere capitali e con grafia arcaica: la dicitura recita CN(aeus) STATIUS M(ani) F(ilius) PRAIF(ectus) III.
La carica del personaggio citato è indicata con il termine arcaico praifectus e il fatto che ci sia il suo nome indica una intromissione di Roma nell’ager degli alleati piceni, nominalmente autonomi, già in anni antecedenti alla guerra sociale del 91-90 AC. Il fatto che i Romani costruissero una strada militare per permettere un rapido spostamento di truppe verso l’appena costituita colonia di Fermo (negli anni intorno al 100 AC) in un territorio di cui non avevano piena disponibilità fa pensare a questa come a una delle cause di risentimento che scatenarono la rivolta degli Italici (il sanguinoso conflitto portò alla distruzione funditus (= dalle fondamenta) della città picena).
La presenza di un ampio incàvo circolare sulla testa del miliario va relazionata a una sua diversa utilizzazione (forse fu trasformato in un mortaio) nel tempo.
Porchiano, frazione di Ascoli Piceno. Il nome e la storia. Il piccolo borgo di Porchiano è una frazione del comune di Ascoli Piceno, ubicata su in panoramico crinale dal quale si gode una magnifica vista sulla vasta area calanchiva sottostante e sul caratteristico profilo gradonato del Monte dell’Ascensione.
Nella Toponomastica marchigiana (1952), l’Amadio fa derivare il toponimo “Porchiano” dal latino porculanus, un aggettivo riferito a un allevatore di porci. Il Celani confuta questa attribuzione (1977), suggerendo che il termine possa attribuirsi a un ager porculanus, riferito a un terreno lavorato “a porchie”, cioè a solchi paralleli.
Nel Medioevo, fin dal 1237, Porchiano era uno dei 32 castelli di Ascoli Piceno. Lo statuto della città, nel 1377, lo inserì come Podesteria di III grado (la categoria dipendeva dall’entità dei contributi forniti alla città picena).
Nel 1527, il paese fu assediato dai Lanzichenecchi in marcia verso il Regno di Napoli sotto il comando di Odetto di Foix, visconte di Lautrec. Il castellano, il marchese Alvitreti, si rifiutò di aprire le porte del maniero per permettere il rifornimento alle truppa mercenarie che appiccarono il fuoco alle abitazioni e massacrarono più di 100 persone. L’Alvitreti fu gettato nel vuoto, dall’alto della rupe, a sfracellarsi al suolo. Dopo questo episodio, gli ascolani permisero l’entrata in città della soldataglia che, passando per Porta Solestà, si abbandonò al saccheggio della città.
Il borgo, ricostruito dai superstiti, lentamente ma con caparbietà, subì una seconda distruzione alla fine del ‘600: la causa fu un’enorme frana che causò la rovina del castello e di numerose abitazioni. Ancora riedificato, rimase sotto il governo di un Podestà ascolano fino al 1808; diventò poi comune autonomo con il nome di Porchiano dell’Ascensione e tale rimase fino al 1866, anno della soppressione.
La Via Statia. Il percorso della cosiddetta Via Statia è stato ricostruito puntualmente da Campagnoli e Giorgi (2001) nel lavoro sulla viabilità minore antica nel settore ascolano, nel paragrafo relativo ai diverticoli della Salaria. Nel testo è inserita anche una interessante osservazione sull’area calanchiva del rilievo dell’Ascensione superato dal tracciato.
«Due importanti diverticoli avevano origine dal tratto urbano della Salaria, diretti rispettivamente a nord e a sud: il primo […] usciva dalla città attraverso il ponte di Borgo Solestà e percorreva le pendici del colle dell’Ascensione, allora ancora boscose e non soggette a fenomeni calanchiferi, per guadagnare la valle del Tenna. Questa direttrice, che con alcune sue ramificazioni più settentrionali si raccordava anche alla viabilità montana che faceva capo al diverticolo di Surpicano [l’attuale Arquata del Tronto, NdA], raggiungeva gli odierni abitati di Porchiano, Capradosso, Rotella, Ortezzano, Petritoli e Fermo, da dove si poteva poi scendere nella valle del Chienti.
La strada, di certo ampiamente utilizzata in età augustea e per tutta l’età imperiale data l’attestazione nella Tabula Peutingeriana, doveva essere già costituita in età repubblicana.
Lungo il suo percorso, infatti, si trova un cippo con l’indicazione delle tre miglia di distanza da Ascoli, il miliario di Porchiano, rinvenuto appena a nord della città a Valle Fiorana, non lontano dalla sua posizione originaria. Il testo ricorda l’opera del prefetto romano Gneo Stazio, che nella seconda metà del II secolo a. C. fu incaricato di soprintendere al lavoro di quella che Gianfranco Paci definisce via Statia».
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