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Le storie di Walter: la famiglia Castelli, un secolo di passione per la terra 

ASCOLI - Da Adamo fino al nipote che porta il suo stesso nome, e ai suoi figli. Contadini con orgoglio a Cartofaro. Un amore per la terra, mai tradito, lungo cento anni, di una famiglia di coltivatori diretti e allevatori di Campolungo. Arrivata alla sua quarta generazione senza mai perdere l’entusiasmo nel sacrificio, tramandato dagli avi   
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Le tre generazioni dei Castelli del Cartofaro

 

di Walter Luzi 

 

Adamo Castelli, classe 1875, era originario di Ripatransone. Passando, di terreno in terreno, dalle campagne di Offida a quelle di Castorano, si era stabilito infine a Campolungo nel 1924. Tempi davvero duri quelli per i contadini in cerca di appezzamenti da coltivare per conto dei latifondisti. I villici venivano pagati con quello che si mangiavano raccogliendo i frutti della terra che coltivavano, oltre all’alloggio nella casa colonica. In premio per le loro fatiche ricevevano solo una scarpa all’anno. In due anni, oltre al vitto e un tetto, si guadagnavano solo un paio di calzature nuove. Un lusso. A Castorano, con lui, la terra la coltivano la moglie, Teresa Gasparini, nativa di Offida, e le quattro figlie. Carina, Annunziata, Gina e Linda nell’ordine. 

Adamo Castelli il capostipite

 

Che non hanno bisogno di leggi sulle pari opportunità per farsi un mazzo così, come fossero uomini. Lavorano le terre anche i loro mariti, a cominciare da Francesco Brandi, consorte della primogenita Carina, che diventa presto un punto di riferimento per tutta la famiglia. Subito dopo la fine della grande guerra Adamo emigra in America. Lavora diversi anni nelle miniere di carbone della Pennsylvania. E’ uno sgobbone. Fa molti straordinari e si priva di tutto, anche di pasti decenti, per rimandare quanti più soldi può a casa. Quando torna, grazie ai risparmi accumulati in quegli anni duri di sudori, lacrime e sangue trascorsi oltreoceano, riesce ad acquistare, a Campolungo, sei ettari di terra e una casa colonica tutta sua. E’ il 1924.

Teresa Gasparrini la moglie di Adamo Castelli

 

L’impresa, per i tempi, ha dello  straordinario. Un contadino padrone della terra che lavora sa quasi di schiavo affrancato. Le cedenti sono le eredi del conte Carlo Saladini, la moglie Medea Edelweis De Angelis con le figlie Romana ed Anna. 85.400 lire il costo dell’operazione, comprese “…le scorte morte e vive, e ogni attrezzo o macchina rurale…”. Tre anni dopo, nel 1927, nasce Benito, un maschio, finalmente, dopo quattro femmine. Il padre, contentissimo, soleva commentare ” Scavando, scavando, alla fine l’ho trovata l’acqua…”. 

(Il testo continua dopo le immagini) 

 

La prima pagina del contratto di acquisto del terreno di Adamo Castelli del 1924

La relazione di stima dei beni oggetto della compravendita del 1924

Benito fra i due Adamo 

Adamo Castelli con le sue figlie e i rispettivi generi a Cartofaro di Campolungo lavorano vigneti e uliveti. E fienagione per qualche capo di bestiame da macellazione nelle stalle. Muore nel 1942, in piena seconda guerra mondiale. Il lutto non è stato ancora smaltito dalla sua famiglia, quando un reparto di tedeschi in ritirata si acquartiera a casa sua. La moglie Teresa deve fare da mangiare per tutti. Con le sue tagliatelle fatte in casa al sugo di papera rabbonisce gli invasori evitando a tutti guai molto peggiori. Dopo la morte di Adamo, con la successione, la proprietà si smembra. A Benito rimangono ventisette tavole, poco più di due ettari e mezzo, di terreni con la vecchia casa colonica. Ha solo quindici anni ma non si perde certo d’animo. Oltre alla terra lavorerà come anche trattorista e ruspista. Sarà lui a spianare il terreno dove sorgerà il nuovo stadio di Ascoli delle Zeppelle poi intitolato ai fratelli Del Duca. Dopo il matrimonio con Maria Gatti, una vera colonna della sua vita, si dedica invece completamente ai suoi campi. 

Benito Castelli il giorno del suo matrimonio con Maria Gatti

Adamo Castelli da bambino

Mette su una stalla con mucche da latte, che sono delicate, ma rendono bene. Nel 1957 nasce Adamo, che porta il nome del nonno. Nel 1972 arriva la sorella Anna Teresa, che per il fratello potrebbe essere quasi una figlia, perché quando nasce Adamo frequenta infatti già il secondo anno di Agraria allo storico Istituto ascolano intitolato a Celso Ulpiani. Dopo il diploma, nel 1977, e il servizio militare di leva prestato a Milano nel corpo dei Bersaglieri, va a lavorare subito come perito enologo nella cantina Colli Venarottesi di Venarotta, quindi in una abruzzese, di Roseto, la Casal Thaulero. 

Adamo Castelli il giorno della Prima Comunione

Adamo Castelli bersagliere

Adamo con alcuni amici il giorno della prima comunione della sorellina

Da pendolare però dura poco. Anche perché non può lasciare l’azienda di famiglia tutta sulle spalle del padre. Sfrutta subito, nel 1980, la possibilità di rientrare in Ascoli come insegnante di materie tecnico pratiche proprio all’Istituto Tecnico Agrario dove si era da poco diplomato. Vi insegnerà fino al 2010. Offrendo anche a tanti studenti la possibilità di vivere proprio presso la sua azienda le prime esperienze sul campo con l’alternanza scuola-lavoro. Diventa presto inoltre, nel 1990, responsabile dell’azienda agricola dell’Istituto in contrada Marino del Tronto. Ma dalla sua terra non riuscirà a staccarsi mai. Anzi.

Adamo e Rosella da fidanzati

 

Dal 1975 con il padre liquida co-eredi e acquista nuovi terreni coltivabili tutt’intorno alla contrada Cartofaro. Investe ogni risparmio, non per speculare su future lievitazioni di valore delle aree, o per installarci magari, come faranno in tanti, distese di pannelli fotovoltaici. Ma solo per poterla rendere fertile lavorandola, perché produca pane e frutti, come fin dalla notte dei tempi. Spendendo le stesse cifre per il mattone piuttosto che per le terre, avrebbe potuto mettere insieme un piccolo impero immobiliare. Ma in famiglia non ci si pensa neppure. Terra e uliveti. Pascoli per gli animali e vigneti. Tavole e tavole di terra madre su cui sudare e sudare ancora. Confidando nel Cielo. E nella Provvidenza. Perchè piova a sufficienza senza grandinare, e splenda il sole senza portare siccità. I raccolti abbondanti sono sempre appesi a un filo. Un filo sempre più pericolosamente sottile a causa dei rovinosi cambiamenti climatici in atto.

Adamo e Rosella il giorno del loro matrimonio

 

Le acquisizioni dei Castelli trovano ancora maggiore impulso a partire dai primi anni Novanta. Nonostante qualche traversia burocratico-finanziaria patita, ma ripartire, anche da zero, non lo spaventa. E’ sempre pronto per la prossima sfida. Gli fa più male qualche dispiacere di troppo, ma è un buon incassatore. Sa guardare solo avanti. E, fra le tante, una dote non comune. Sa trasmettere la sua passione. Rendere contagioso il suo entusiasmo. Ed ha la fortuna di riuscire a trascinare tutta la sua famiglia dietro ai suoi sogni. Le sue visioni. Non ama il cemento. Lascia a vista le pietre antiche dei muri della sua nuova casa che ristruttura. Che ricordano i buoni, antichi anch’essi, sentimenti. Ama il bello. Meglio, il ben fatto. E il sobrio. L’essenziale, ma con gusto. Adamo, insieme al padre, punta tutto sull’agricoltura e affronta nuove sfide. Scommette sul futuro in un settore che in tanti stanno continuando ad abbandonare. 

 

Nel 1987 ha sposato Rosella Micheli, una bella e santa donna, lavoratrice instancabile anche lei, che si ritroverà, talvolta, anche travolta dalle vulcaniche iniziative del marito. Una coppia unita ed omogenea che concepisce presto un’altra coppia di fenomeni. Nel 1988 arriva Manuel. Nel 1989 Tiziano. 

Nonno Benito, un grande 

Stessa stoffa. Stessa pasta dei Castelli. Crescono entrambi fra i campi e la stalla, sotto la guida del migliore maestro che potessero desiderare. Il nonno Benito.

La famiglia di Adamo Castelli con i bimbi piccoli

 

«Nonno era un grande – ricordano entrambi in coro – ha perso il padre a quattordici anni e ha dovuto fare tutto da solo. Era di carattere ombroso e taciturno, ma oltre ad essere un gran lavoratore aveva anche un grande cuore. Una persona buona, che ci voleva bene e che noi due abbiamo adorato».

 

Non frequentano ancora le scuole elementari quando mamma Rosella già stenta a farli rientrare in casa. Sempre come sono dietro al nonno. Nelle vigne, sul trattore o nella stalla ad accudire con lui gli animali insieme a nonna Maria. Una coppia come quelle di una volta. Unita per la vita. Oltre ogni difficoltà. E che in campagna diventa una gioiosa macchina da guerra. A metà degli anni ottanta Benito riconverte la produzione del latte in allevamento di bovini, razza marchigiana, da macellazione.

 

Manuel sul trattore con il nonno

«Con lui o imparavi o imparavi – raccontano sempre i nipoti Manuel e Tiziano – ma con poche parole. Lui non poteva stare a perdere troppo tempo per spiegarti le cose. Non gradiva due domande di fila. Dovevi osservare attentamente e capire da solo, memorizzare i suoi gesti, sforzarti di intuire e apprendere senza necessità di troppe spiegazioni. Era anche geloso dei suoi attrezzi. Solo crescendo, e dimostrandocene degni, ci ha concesso poi di poterli usare». 

 

Nonno Benito è uno che insegna loro, prima di tutto, l’amore per la grande madre terra. Che per i Castelli di Cartofaro è semplicemente infinito. Che si portano scolpito, tutti, nel loro dna. Con il valore del lavoro, e la virtù del sacrificio. E poi le smisurate conoscenze che occorrono per lavorarla bene e renderla generosa.

 

Come l’arte, perché tale è, di saper trarre da essa ogni frutto benedetto. L’orologio eterno delle stagioni che detta i tempi di semine e raccolti. La previsione, solo scrutando il cielo, o osservando il volo degli uccelli, di tutto quello che, di buono e di brutto, sta per piovere dal cielo. Tramonti e albe che annunciano pioggia provvidenziale o canicola asfissiante, grandine maledetta che porta fame, o neve benedetta che porta pane. Da molto prima che arrivino in aiuto le previsioni meteo del colonnello Bernacca e i modelli matematici dell’atmosfera impazzita di oggi. Lui, nonno Benito, più e prima dei loro genitori, rappresenta la loro stella polare, il loro maestro, più e prima che di scienze agrarie, di vita. Rivela loro l’amore per la libertà assoluta, la grazia di ogni giorno che sorge senza avere padroni. 

Una veduta dei terreni di Campolungo

 

Il piacere del sole e del vento sulla faccia che ti inebria portandoti i mille profumi della campagna. E’ un nonno che li rende orgogliosi del proprio lavoro, delle radici comuni del proprio sapere, e delle proprie, precoci e notevolissime, capacità. Che è esempio nobile nel privilegiare il dovere, nel resistere ad ogni privazione, nell’ignorare la stanchezza, il freddo, il caldo, la fame, il buio, fino a quando il lavoro non è completato. Ben fatto. Si pranzerà, o si cenerà, e ci si riposerà, solo dopo. Perchè essere contadino significa non avere mai orari fissi, né ferie, né festività comandate, nè altre priorità che non siano quelle dettate dalle esigenze delle coltivazioni e degli animali. E confidando, ogni giorno, nell’aiuto del Cielo. 

Manuel e Tiziano in una delle ultime foto con il nonno

 

Si addolcirà in vecchiaia nonno Benito, soprattutto dopo la morte della sua Maria. Fino a quell’ultima potatura fra i filari della vigna. Insieme ai suoi due nipoti. Come sempre al fianco di nonno Benito, che in ottantanove anni non ha mai conosciuto un medico, una iniezione, la febbre o un ospedale. Che si corica, stanco e felice anche quella sera, per risvegliarsi, all’alba, nel cielo che spetta solo ai giusti.   

Il cuore grande di Cartofaro 

Adamo Castelli, che ci vede sempre lungo, ha attinto a diversi piani di sviluppo sovvenzionati da vari enti, ed è andato via via sempre più potenziando le attrezzature della sua azienda agricola. Indebitandosi anche, ma sempre con passi ponderati, uno alla volta, mai più lunghi della gamba. Contadino. Scarpe grosse, come recita il vecchio detto, e cervello fino. 

Cartofaro

 

«Quando ci siamo imbarcati nel primo grosso piano di sviluppo – racconta la moglie Rosella – i nostri figli erano poco più che sedicenni. L’impegno economico sarebbe stato grosso, di circa mezzo milione di euro, e ci siamo fatti scrupolo di caricarli di responsabilità che sarebbero potute essere troppo grandi per le loro spalle. Ma loro due non si sono mai tirati indietro. Anzi. Ci hanno sempre dato dentro con un impegno crescente, con una autonomia, di pensiero e di azione, che in pochi, credo, possono vantare alla loro età. E spesso anticipando le attività, cercando sempre di sgravare il padre, per quanto possibile, delle fatiche più grosse». 

Adamo Castelli con la moglie Rosella

 

In un mondo si sta “scatafasciando” come dice lei, è orgogliosa dei suoi ragazzi. Senza la solita miopia materna, quella che vede “ogni scarrafone bello a mamma sua”. Siamo già convinti che non è certo il suo caso. «Quando erano ancora dei bambini – racconta – vedendoli instancabili sempre intenti all’opera, temevo che qualcuno chiamasse…il telefono azzurro. Era la campagna il loro parco giochi. A chi ci ha rimproverato di aver “schiavizzato” i nostri figli, rispondo che non c’è mai stato bisogno di comandare loro qualcosa. Abbiamo lavorato, e lavoriamo, tutti e quattro, insieme, duramente. Ma sempre in armonia. E con soddisfazione».

 

Una scelta di vita coraggiosa e condivisa. Stare dietro ad un  centinaio di ettari di colture, undici di proprietà e le altre in affitto, non è facile. Cinque ettari di uliveto, vista mare, anche a Cupra Marittima, vicini alla splendida Villa Boccabianca. Vigneti e uliveti in affitto a Offida, Appignano, Maltignano, Sant’Egidio, Castel di Lama ed Ascoli. Nella fattispecie, quest’ultima, proprio sotto casa, nella ex tenuta agricola dei marchesi Sgariglia, che non può essere recuperata produttivamente, come meriterebbe, solo perché l’attuale proprietario, il Comune di Ascoli, si ostina a continuare a proporre irragionevoli contratti di affitto annuali. 

Villa Sgariglia a Campolungo immersa nel verde

I campi incolti a Campolungo, sullo sfondo l’antica Villa Sgariglia

 

Mandando così in malora, insieme alla villa, un gioiello monumentale del 1700, anche duemila ulivi e interminabili filari di vigneti. L’uva, peronospera e grandine permettendo, i Castelli la vinificano alla cooperativa Cantina dei Colli Ripani, di cui la Cartofaro è socia. Carni fresche di bovini, razza marchigiana, allevati in casa. Truck-food per le varie manifestazioni gastronomiche di strada, il frantoio e il punto vendita diretto Campagna Amica in Ascoli, alle Caldaie, sono gli altri rami d’azienda della Cartofaro. Che si appoggia su due giovani e forti colonne. Due fisici bestiali costruiti naturalmente, fin da ragazzini, nella grande palestra dei campi. I loro bilancieri sono state le ballette di fieno. E due anime pure, che traspaiono dai loro sguardi. E’ la quarta generazione dei Castelli. 

Manuel e Tiziano Castelli quarta generazione

 

Manuel & Tiziano 

Tiziano, diplomato in Agraria come il padre, si occupa in prima persona del frantoio di famiglia, appena inaugurato nel 2004, quando lui aveva solo quindici anni. Quest’anno, con l’azienda agricola di famiglia che ne compie cento, festeggia i suoi primi vent’anni di attività lì dentro. Due mesi a tutta birra quando l’annata è buona. Molitura con estrazione in due fasi.

«All’inizio lavoravamo – spiega Tiziano – 350 chili di olive all’ora. Oggi, con le nuove macchine, arriviamo a 1.200. Quantità, ma, soprattutto, qualità. Lo scorso novembre a Fano, a margine della manifestazione “L’oro delle Marche” abbiamo vinto il primo premio assoluto. Sono soddisfazioni».

 

Lui ha naso e passione. Non esce olio dalla molitura che non lo soddisfi appieno.

Tiziano Castelli nel moderno frantoio della Cartofaro

 

E non molla fino a quando non ha raggiunto il suo obiettivo. Anche a costo di dormire tre ore per notte per un mese di fila, mangiando qualcosa in piedi, se e quando ce n’è il tempo. Per questo i coltivatori di olive che vengono al Cartofaro a far spremere le loro olive vogliono solo lui. Per tutto il resto dell’anno tira la carretta insieme al fratello e al padre fra vigneti e uliveti. Si occupa dei trattamenti e, con il fratello, della stalla. La moglie Marika dà volentieri anche lei una mano in azienda. Ha due figli maschi ancora piccoli. Ascanio di cinque anni e Andrea di appena sei mesi.

I due fratelli Castelli nella stalla

 

Manuel ha interrotto i suoi studi di agraria al secondo anno. «La scuola non faceva per me – conferma convinto – rivivessi altre cento volte, cento volte rifarei la stessa cosa. Anche un po’ prima magari…». 

 

D’inverno pota ulivi e vitigni, d’estate fa il fieno, che va falciato, ranghinato e pressato in rotoli, ma ogni giorno c’è qualcosa da fare. Fronteggia, da solo infatti, ogni guasto, ogni emergenza. Meccanico, elettricista, saldatore, è lui a riparare ogni macchina in avarìa in azienda.

I fratelli Castelli con i loro trattori

 

«Chi fa questo lavoro – spiega – deve saper fare un po’ di tutto. Si comincia con il desiderio di rendersi utili in famiglia, smaniosi di dimostrare il proprio valore, le proprie capacità, e pian piano questo lavoro ti entra nel sangue come una malattia. Una sorta di dipendenza di cui non riesci più a fare a meno. Quello del contadino prima di essere un lavoro è una passione. Qualcosa che ami più di te stesso». 

 

Quaranta vacche a cui badare ogni giorno non possono aspettare i tuoi comodi. E neanche quindici ettari di vigneti. Se devi falciare il fieno maturo e il lunedì è prevista pioggia devi andarci la domenica. Sennò marcisce.

 

«Siamo una industria a cielo aperto – continua Manuel – senza tetto, e in società con il padre eterno, per quello che ci farà piovere dal cielo. Ci investi la vita, e anche la tua salute. Tutto quello che hai. Con il rischio concreto di raccogliere poco o niente. Perciò ti deve piacere. Ma tanto, tanto…». Una grandinata a luglio può compromettere i raccolti vitivinicoli per due anni. Ricavi, e un anno di fatiche, vanno in fumo nel giro di qualche minuto. 

 

Poi ci sono i predatori da fronteggiare. Negli ultimi anni tre attacchi di lupi gli sono costati nove pecore. Sono soldi. Con tutto il rispetto per i lupi. Ha conseguito tutte le patenti per guidare ogni tipo di mezzi pesanti, con e senza rimorchio, trattori, e macchine operatrici, agricole ed edili. Gli manca solo quella per guidare gli autobus. Ma ancora per poco. Ha due figlie femmine. Lucrezia Maria, di sei anni, e Bianca, di cinque. Due tesori con gli occhi azzurri, sempre fatali in ogni donna. Ha già sofferto qualche grosso dispiacere nella vita, e nel gran lavorare che fa cerca anche, forse, di annegarlo.

Adamo Castelli oggi con la moglie Rosella

 

«Ci sei nato dentro, e ti piace – conclude Manuel – non riesci più a farne a meno. Come quelli che giocano con le slot-machine. Ci si rovinano magari, ma non ce la fanno mai a smettere. Se conti le ore, e timbrassi un cartellino, sarebbe tutto straordinario. Durante la fienagione esci alle cinque la mattina e rientri all’una di notte. Ci possono essere giornate in cui, se ti va bene, riesci a dormire tre ore. Magari appollaiato sul sedile del trattore. E si fa sempre più fatica a conservare buoni margini di guadagno. Produrre costa sempre di più e spesso, quando dice male, si può stentare anche a coprire le spese. È solo la grande passione che ti fa andare avanti. Ma di questo passo…». 

Tre generazioni di Castelli alla raccolta dell’uva


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