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Le storie di Walter: la Giacobba, mito indimenticato del passato 

ASCOLI - Fra le figure leggendarie dell’ascolanità la escort, come si direbbe finemente oggi, più celebre di tutti i tempi è stata lei. Dopo le poesie che le aveva dedicato Anna Speranza Panichi, ora il nuovo omaggio in versi le arriva da Giulia Civita. Due donne ascolane come lei, da sempre impegnate nell’opera di tramandare la memoria dei fatti e dei personaggi che hanno contraddistinto la storia della città. Un viaggio nelle antiche trasgressioni “romantiche” di provincia nell’epoca delle moderne sex workers digitali 
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di Walter Luzi

 

La Giacobba la conoscevano tutti in Ascoli. E tutti se la ricordano bene. Con affetto anche. Due donne, come lei, le hanno dedicato poesie. I suoi clienti locali più affezionati per primi non l’hanno certo dimenticata, così come le migliaia di giovani militari della scuola allievi ufficiali di complemento dell’Esercito passati, dal 1952 fino al 1975, dalle Casermette. Moltissimi dei quali transitati dalle sue alcove nelle libere uscite alla ricerca di sesso facile a pagamento in centro.

La Giacobba

 

Una piccola cittadina di provincia, Ascoli, bella quanto vuoi, ma che però non offriva un granchè sotto l’aspetto a luci rosse. Solo, ancora per poco, il piccolo casino di Porta Cartara, e diverse, note, intrepide freelance che operavano, come lei, fra le ruette del centro storico. Perchè la Giacobba è sempre stata una lavoratrice autonoma. Libera. Come poche altre, che ricorderemo tutte insieme a lei, più esposte al rischio economico di impresa. E al chiacchiericcio della gente, irriverente e pettegolo ma mai veramente malevolo, che non ha precluso alla Giacobba di essere ricordata, per sempre, come uno dei personaggi caratteristici dell’ascolanità più amati.

 

Il mestiere più vecchio del mondo

 

Sacra già sumeri, fin dal 1300 avanti Cristo, e poi a greci e romani, la prostituzione, di cui si trovano tracce anche nel libro della Genesi, ha accompagnato la storia dell’Umanità. Nella Roma antica le prostitute richiamavano suggestivamente nel buio della notte i loro clienti ululando come lupae. Da qui deriva uno dei nomi delle sedi delle loro attività. I lupanare. Alcuni dei quali ben riportati alla luce grazie anche agli affreschi riemersi dagli scavi di Pompei.

Affreschi che lasciano poco all’immaginazione

 

Nel Medioevo si contano i primi bordelli in Francia, Germania e Inghilterra, mentre in Italia è il conte di Cavour ad istituzionalizzare, nel 1859, le prime case di tolleranza. Nel senso che lo Stato le tollerava e le controllava. Diventano chiuse ventinove anni dopo, nel 1888, quando la legge Crispi le obbliga a tenerne sempre chiuse, appunto, le persiane delle finestre. Durante la grande guerra vengono allestite dallo Stato Maggiore dell’Esercito, nelle retrovie, apposite baracche per ospitare gli incontri fra la truppa da rinfrancare e le eroiche dispensatrici di godimento. Infaticabili anche, viste le lunghe code di utenti in ordinata fila e fremente attesa, che si formavano davanti alle porte. L’ultimo piacere della loro breve vita, in molti casi, per quei ragazzi, prima di essere ammazzati al fronte. In quegli anni ad Ascoli aveva già aperto i battenti il postribolo cittadino. La signora Loreta ne fu la prima tenutaria in rua del Crocifisso. Quando tutta la zona, nei primi anni Cinquanta, venne spianata per fare spazio al nuovo Palazzo di Giustizia, l’attività si trasferì a Porta Cartara. Nel frattempo anche il fascismo aveva esaltato il ruolo dei bordelli.

La virilità è obbligatoria infatti per i gagliardi giovani in camicia nera. Ardimento e maschia prestanza, così cari al Duce, vanno dimostrati anche sotto le lenzuola delle signorine. Una legge del 1923 rende obbligatori i controlli igienico-sanitari sulle operatrici nei postriboli statali. La politica demografica del regime, che mira a disporre al più presto di milioni di baionette, e incentiva dunque le nascite, trasforma le donne-mogli in fattrici e angeli del focolare, dedite alle cure amorevoli della casa e della patriottica e numerosa prole. In alternanza costante fra le condizioni di gravide e puerpere.

 

A loro rimangono così ben poco tempo, ed energie, a disposizione da poter dedicare anche alla lussuria nei talami. Le maschie esuberanze vanno convogliate dunque nelle case del piacere a pagamento, anche per evitare che possano attentare alle sacre e inviolabili virtù di donne già maritate. I periodici ricambi delle ragazze nelle case vengono pubblicizzati con lunghi giri delle stesse a bordo di carrozze scoperte nei centri abitati. Corpi generosamente in mostra e sorrisi ammiccanti, sconvolgenti per il maschio dei tempi, a lanciare l’invito spudorato. I bordelli si riempiono così di maschi infoiati di ogni età ed estrazione sociale, accomunati dall’orgoglio testosteronico nazionalistico, e dagli ormoni in subbuglio. Che nelle sale al pianterreno possono ben osservare la merce disponibile, prima di salire in camera a braccetto con la prescelta e la marchetta in mano appena acquistata alla cassa.

 

Ma tanti anche i semplici spettatori squattrinati, costretti alla sola gratificazione visiva, ma gratuita, delle signorine poco vestite. La Giacobba e le sue colleghe ascolane libere professioniste di quel periodo, non hanno mai vissuto in questo mondo. Anzi hanno costituito in strada l’unica concorrenza, e alternativa, sul mercato, ovviamente con tariffe più basse, alla prostituzione legalizzata. Almeno fino a quando la legge 75, passata alla storia della Repubblica come la legge Merlin, dal nome della sua battagliera promotrice e prima firmataria, la senatrice socialista veneta Angelina Merlin, abolirà per sempre la prostituzione di Stato.

 

La senatrice socialista Lina Merlin

Il 20 settembre 1958 infatti, tutti gli oltre seicento bordelli italiani, compreso quello cittadino di Porta Cartara, chiuderanno per sempre i loro portoni. Circa, si stima, tremila professioniste del sesso, restano senza un posto di lavoro fisso.

Con loro anche ‘Ndonina la baffuta, storica ed energica cassiera e fiduciaria di quello ascolano. Un vero e proprio trauma anche per il maschio italico, a cui persino le coniugi legittime avevano riconosciuto di buon grado, per un secolo, il diritto di una capatina, di tanto in tanto, nei letti delle signorine delle case chiuse. Insomma “…l’uomo – come ribadiva sempre convinta, sottomessa e devota al consorte, anche mia nonna, classe 1911 – dove si gira il cappello ben gli sta…”.

 

Le fonti

 

Molte delle notizie che riportiamo sono attinte dagli scritti di Anna Speranza Panichi. Ex insegnante, ispirata poetessa e prolifica scrittrice di fatti ascolani in diverse, preziose, pubblicazioni che ci hanno tramandato fatti e personaggi caratteristici del passato.

 

Anna Speranza Panichi

 

 

Ci sentiamo, in questa occasione, di ringraziarla per la sua corposa opera di custodia e divulgazione dell’ascolanità. Altre testimonianze ci sono giunte poi dai vecchi frequentatori occasionali di quelle professioniste. Gli ultimi sopravvissuti di quell’epoca che definire “romantica” può suonare azzardato, ma i cui lontani ricordi fanno ancora brillare gli occhi agli attempati co-protagonisti di quegli incontri mercenari.

 

La storia

 

La vita per Natalina, la Giacobba, non deve essere stata facile fin dall’adolescenza. Sembra infatti che, giovanissima, avesse avuto una figlia senza avere un marito. E neppure un aspirante tale disposto al matrimonio riparatore. Disonorata, era stata costretta ad iniziare a fare quella vita perché ripudiata anche dalla sua famiglia, e spinta dal bisogno di mantenere sé e la sua creatura? O forse, come mormoravano le malelingue, era una figlia di nn che i suoi genitori non li aveva mai neppure conosciuti? Non siamo riusciti a trovare risposte certe a queste domande. Così come sulle date certe di nascita (1920?) e di morte (2010?).

 

Per di più non è che madre Natura fosse stata precisamente generosa con lei. Anzi. Di bassissima statura e un po’ tozza di forme, non disponeva infatti di fisico e sex appeal che, per intraprendere certe carriere, sono irrinunciabili. Finta bionda, a volte rossa ramata, faccia tonda non graziosa, sempre impiastricciata di cerone bianco, e, immancabile, il rossetto sempre debordante, colore rosso vermiglio, sulle labbra. Gap fisici ed estetici che non le hanno impedito, comunque, di conquistare e mantenere negli anni fette di mercato considerevoli. Ingrossate dai giovanotti in divisa. Fin da quelli polacchi, a lungo di stanza in Ascoli nell’immediato dopoguerra, applicando, fin dalla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta, tariffe più basse per invogliare la clientela a preferirla alle più avvenenti concorrenti del casino. Faceva spendere infatti dalle 100 alle 150 lire. Da via delle Canterine  passerà poi ad esercitare in rua dei Filodrammatici e poi in via del Teatro. Rapporti ovviamente non protetti.

La copertina di uno dei libri di Anna Speranza Panichi

 

«E chi ce li dava i soldi anche per i preservativi…!», racconta uno dei suoi più assidui clienti, oggi quasi novantenne. Un altro, appena quindicenne nel 1960, anno della sua iniziazione sessuale ad opera della Giacobba, ricorda ancora perfettamente la sua casa alle Canterine.

 

«Dopo la chiusura del casino di Porta Cartara – va avanti la Giacobba aveva rincarato le sue tariffe abituali portandole a 500 lire. In via delle Canterine aveva un piccolo appartamento su due piani. La cucina al pianterreno. Le camere al primo. In una delle due, dove riceveva i suoi clienti, però il letto non c’era. Solo due sedie. Una, riservata all’igiene intima dei clienti, di cui era, volendo, disponibile anche ad occuparsi lei, su cui erano appoggiati il bacile con la brocca dell’acqua e un’asciugamano. L’altra dedicata alla …consumazione vera e propria».

 

Posizione e modalità dell’amplesso facilmente intuibili anche senza una approfondita conoscenza del kamasutra. Banditi i preliminari, non previsti nel menù della casa, e le protezioni, non consentite invece, principalmente, come detto, dalle tasche vuote dei suoi clienti.

 

La concorrenza

 

Gli aneddoti sul conto della più anziana Bettina sono passati agli annali cittadini. Era lei che, alla vista di un uomo, potenziale cliente, si tirava su la gonna per mostrare …la mercanzia. Per sua disgrazia cercò di adescare in questa sua efficace maniera, un giorno, anche un solerte questurino che, turbato oltremodo dalla mancanza della mutanda là sotto, la denunciò. Davanti al giudice la condanna per atti osceni in luogo pubblico fu inevitabile. Una multa salata e otto giorni di cella sentenziò il magistrato. Al che Bettina obiettò: «Vostro onore, ma non si potesse fare tutta cella?…». Fraintendendo, volutamente, fra le risate dei presenti, il nome dialettale dell’organo a lei più famigliare, con quello della piccola stanza deputata alla reclusione dei detenuti.

 

M’ddiola era invece una donna piacente, alta ed elegante. Passeggiava spesso, discreta e distinta, dalle parti della Fontana dei cani. Era riservata alla clientela con maggiore capacità di spesa. Impiegati pubblici e benestanti in genere. In centro esercitava anche, in rua del Teatro, Anna la storta. Prima concorrente della Giacobba, vi condivideva la mancanza di avvenenza, e il fatto di avere avuto un figlio anche lei. A Lu guf’, che gravitava nel quartiere Filarmonici, avevano affibbiato quel soprannome proprio a causa dell’estetica non eccelsa, ma poteva contare, in compenso, su un bel gran fisico. Ma la regina delle squillo ascolane era la  signora Secondina.

 

La numero uno, distinta e giunonica, soprannominata La Bolognese, era arrivata dall’Emilia dopo l’alluvione nel Polesine del 1951, e soleva agganciare i clienti passeggiando sul lungo Tronto. Quando alle Casermette cominciano ad arrivare gli allievi della neonata scuola ufficiali di complemento, tutti dai portafogli ben forniti, il suo volume di affari si impenna. L’attività, ubicata in via d’Apollo, negli orari di libera uscita, diventa una specie di distaccamento della caserma Clementi.

 

Le poesie per lei

 

Da due donne concittadine sono arrivate, come detto, negli ultimi anni, gli omaggi poetici in vernacolo ascolano dedicati alla Giacobba. Anna Speranza Panichi l’ha inserita prima fra nella vasta galleria delle macchiette ascolane nel 2017, e poi in una successiva raccolta nel 2019. Giulia Civita invece, quest’anno, con la poesia “Na signora cuscì cuscì” a lei dedicata, ha partecipato al premio letterario regionale Pagine marchigiane, ed è stata inserita dall’associazione culturale Versante nella raccolta Marcheingegno insieme ai poeti e narratori dialettali marchigiani.

 

Giulia Civita

Versi che raccontano le sue imprese e le sue giornate. Gli sfottò offensivi dei giovinastri a cui rispondeva lanciando le pietre che si portava sempre nella borsetta. Il suo coraggio e i suoi profumi. Il desiderio di rispetto. E la fede, riscoperta in tarda età, fra i banchi della Cattedrale.

 

Ci fanno tenerezza oggi la Giacobba e le altre, con le loro vite di emarginazione e solitudine. Le aveva difese anche la senatrice Merlin.

 

«Non chiamatele prostitute – disse in Parlamento – sono donne che amano male perché furono male amate».

Vale ancora. Forse. Oggi che il pianeta a luci rosse oggi è a portata di click h24. La pornografia sdoganata a tutte le fasce di età, e una nuova pornostar può rivelarsi in ogni condominio. Intimità vendute da sex workers digitali, creators di contenuti erotici, come le chiamano oggi. La piattaforma Onlyfans conta quasi duecento milioni di utenti registrati. Il calippo tour furoreggia fra le giovanissime. Narcisismo esibizionista e soldi facili. Milioni di followers sui social per sesso ostentato. In alta definizione, ma senza anima e senza emozioni. Di plastica, come tutto il resto.

 

Senza quei batticuore sulla sedia della Giacobba. Senza quell’odore forte di umanità varia, e vera, respirata in un bordello.

 


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