di Pier Paolo Flammini
Torniamo, per un passaggio obbligato e importante, alla nostra inchiesta sul “Rita Evelin“, il motopeschereccio misteriosamente affondato il 26 ottobre 2006 che è stato interessato dal libro della scrittrice sambenedettese Antonella Roncarolo “Quel silenzio in fondo al mare” (clicca qui) e da alcuni articoli del giornalista d’inchiesta Gianni Lannes (clicca qui).
Attraverso la lettura della documentazione, abbiamo già evidenziato alcuni aspetti inquietanti, come quello delle macchie di vernice riportate dal cavo d’acciaio, piegato a 21 metri di profondità, strano segnale di un ipotetico contatto che potrebbe aver coinvolto l’imbarcazione causandone poi l’improvviso affondamento (clicca qui).
Insomma, c’è ormai tutto per porre i due quesiti fondamentali al fine di far luce, per quel che si può a distanza di 18 anni e con il relitto del Rita Evelin che giace a 80 metri di profondità al largo di Pedaso.
Uno, ovviamente, ci porta al contatto che ci potrebbe essere stato tra il cavo e quello che al momento chiamiamo un “oggetto non identificato”. «Durante le operazioni di recupero dell’attrezzatura da pesca si è riscontrata, inoltre, a circa 21 metri dall’estremità poppiera un’anomala piega sul cavo d’acciaio di sinistra con la presenza, lungo lo stesso tratto, di tracce di vernice di colore rosso» si legge nella relazione dell’allora Comandante della Capitaneria di Porto di San Benedetto Luigi Forner, in merito al tentativo, andato vano, del recupero del relitto.
La domanda, che coinvolge nell’interesse l’ampio numero di rappresentanti cittadini, siano essi consiglieri comunali, assessori, il sindaco stesso di San Benedetto, gli enti provinciali e i rappresentanti regionali, siano essi consiglieri regionali sambenedettesi e non che gli assessori di riferimento, oltre ovviamente i parlamentari del territorio, riguarda l’accesso agli archivi relativi ai movimenti di eventuali sottomarini in quella zona e in quell’esatto giorno.
L’ipotesi del sottomarino, si sa, è circolata nei giorni successivi all’episodio nella marineria sambenedettese come una spiegazione plausibile a un affondamento senza alcuna spiegazione, essendo avvenuto con mare calmo, assenza di vento e cielo stellato. Ma un cavo piegato e macchiato di vernice rossa a 21 metri di distanza dall’imbarcazione, sott’acqua, va giustificato razionalmente oppure, altrimenti, va indicato come fenomeno para-normale.
Qualcuno può porre, a livello istituzionale, questa domanda a partire dagli archivi della Marina Militare?
La seconda domanda, invece, riguarda la stabilità dell’imbarcazione. Il Rita Evelin, con stazza lorda di 17,20 tonnellate, entrò in servizio nell’anno 2000, era dunque un peschereccio relativamente recente al momento del naufragio. Fu costruita dai Cantieri Ravenna Srl (numero di costruzione 09/99). Aveva una propulsione garantita da una elica e un motore con una potenza di 101,20 Kw. Era obbligata a verifiche periodiche di sicurezza ogni tre anni, tanto che l’ultima avvenne, con esito positivo, il 9 agosto 2006.
Dati che dovrebbero essere tutti archiviati, ad esempio dal Registro Italiano Navale/Rina.
Queste verifiche e i criteri di costruzione erano tali da garantire, in caso di incidente interno (ad esempio una rottura di una tubazione nelle cabine), di mantenere saldo il baricentro dell’imbarcazione?
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati