di Pier Paolo Flammini
Un’inchiesta giornalistica a 18 anni di distanza dai fatti, con il principale reperto che resta a 76 metri di profondità in fondo al mare. Ma nonostante le difficoltà di ricostruire quanto accaduto, il passato parla. Il giornalista di inchiesta Gianni Lannes, pugliese, che si è occupato per anni, tra le altre cose, di questioni legate all’Adriatico e agli scenari di guerra, sta realizzando un documentario sull’affondamento del motopeschereccio sambenedettese Rita Evelin, avvenuto il 26 ottobre 2006 e di cui, da un anno a questa parte e negli ultimi mesi, Cronache Picene è tornata ad occuparsi con costanza (in coda a questo articolo i nostri precedenti servizi).
Il tema è noto: un peschereccio affondato in una notte di mare calmo e cielo stellato, assenza di vento, mentre era intento in una battuta di pesca al largo di Pedaso. Tre le vittime, un superstite, tratto in salvo da una imbarcazione pugliese. E poi tanti misteri: i ritardi per il recupero dei corpi, il ritardo per l’arrivo del pontone per il recupero dell’imbarcazione che poi non venne recuperata (il relitto è ancora in fondo al mare), gli errori iniziali di attribuzione del processo, la notizia data per prima dalla Pravda in Russia, il messaggio di cordoglio dell’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema.
E poi elementi che non furono considerati all’epoca: il cavo d’acciaio della rete trovato piegato con macchie di vernice rossa a 21 metri dall’attacco con l’imbarcazione, ad esempio. Ma ora Lannes, forte di tante dichiarazioni che ha già raccolto e delle ultime che sta per ottenere per il suo documentario oltre che dalla visione di un video girato da un robot dieci giorni dopo l’affondamento, parla apertamente di un affondamento provocato da un sottomarino.
«Dalle immagini e dai filmati subacquei si evince che il motopesca Rita Evelin è stato agganciato e sprofondato a morire. Non è stato un incidente. L’unità militare investitrice non si è fermata a prestare soccorso. Uno dei cavi d’acciaio di sostegno della rete a strascico risulta tranciato di netto ed è ben visibile. Eppure questo elemento di prova non è mai stato preso in considerazione da tecnici, magistrati, ufficiali della capitaneria e avvocati. Il minimo dovuto alle vittime a bordo del Rita Evelin è riaprire il processo penale con una rogatoria internazionale che illumini le disumane responsabilità. Quando non vi è giustizia, occorre almeno far emergere la verità» scrive qui.
Nell’articolo del 2 dicembre sul suo blog “Su la testa” intitolata Una strage di pescatori e il Muro di Gomma Lannes scrive espressamente di un «sottomarino militare alleato». Il 28 novembre invece Lannes fa riferimento alla «maggior indiziata è la speciale unità militare NR-1 a propulsione nucleare che vanta un grave precedente nel 2001 proprio in Adriatico, quando s’ingarbugliò nelle reti del peschereccio San Pietro di Monopoli».
Un sottomarino che, nella foto pubblicata da Lannes, ha la parte superiore verniciata di rosso. Rosso, lo stesso colore della vernice rinvenuta sul cavo d’acciaio di sinistra: «Durante le operazioni di recupero dell’attrezzatura da pesca si è riscontrata, inoltre, a circa 21 metri dall’estremità poppiera un’anomala piega sul cavo d’acciaio di sinistra con la presenza, lungo lo stesso tratto, di tracce di vernice di colore rosso».
Ma c’è di più: Lannes sta osservando fotogramma per fotogramma le immagini registrate dal Rov il 6 novembre. Tra le cose emerse, anche un secondo cavo d’acciaio tranciato. Da chi? Come può un cavo di simile resistenza essere tranciato, mentre l’altro, appunto, è stato piegato?
Insomma, da quello che emerge l’inchiesta è tutt’altro che conclusa e inoltre si preannunciano possibili rivelazioni a breve. Con la speranza che anche i rappresentanti istituzionali, dalla città di San Benedetto alla Regione a coloro che si trovano a Roma, escano da un torpore non adatto a chi ricopre un ruolo deputato a richiedere, in tutte le sedi, la verità.
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