di Walter Luzi
Queen e nostalgia. Tutte le cover band hanno notoriamente compiti molto ardui per reggere il confronto con i rispettivi originali, ma quando il metro di paragone sono i Queen di Freddie Mercury allora la vita per questi temerari si fa dura davvero.
Vale anche per i Vipers un gruppo di ragazzotti lombardi che solo in questo 2024 ha inanellato una ottantina di concerti in tutta Europa. Un numero che parla da solo sul livello di questa formazione, che però non riesce, malgrado fama e valore, a riempire, come avrebbe meritato, il teatro Ventidio Basso. Il grande pubblico, forse scoraggiato anche dal continuo fiorire di interpreti ed eventi dedicati alla leggendaria band inglese, non c’è. Peccato per loro, perché chi è venuto non se ne è pentito. I capelli bianchi e le pelate abbondano in platea, ma, confortante, ci sono anche bambini e ragazzi cresciuti dai genitori a pane e Queen. Padri e mamme che meriterebbero un premio al merito per aver impartito ai propri figli oltre alle educazioni basilari, a cominciare dalla (pressochè scomparsa) civica, anche quella musicale. Indispensabile, vista l’orda di inqualificabili soggettoni di moda oggi.
Qualcuna si ricorda bene ancora, e si bulla, di averlo visto dal vivo, da ragazzina, un concerto dei Queen. Quelli veri. Quelli finiti nei libri di storia del rock. Quelli che non smetteremo mai di amare. Quelli usciti davvero come da una bella favola moderna senza lieto fine, come narra la voce che ci guida sullo schermo, fra una serie di pezzi e l’altra. Quasi due ore filate senza respiro per i cloni dei Queen. Il front man è Beppe Maggioni, quarantacinquenne della bergamasca già visto in tv, una decina di anni fa nel talent “The voice of Italy”. Voce solista, e pianoforte ovviamente, indispensabile quando ci sono da attaccare le prime inconfondibili note di “Bohemian Rhapsody”. Il chitarrista e voce Luca Rossi ha iniziato a studiare pianoforte, ma è rimasto presto soggiogato dal richiamo delle chitarre, dalla classica alla elettrica rock, guidato dai migliori maestri. Il batterista e voce è Roberto Previtali, studioso delle tecniche dei tamburi fin da bambino. Al basso e voce Mitia Maccaferri.
Erano tutti, forse, appena nati, quando i Queen erano già famosi nel mondo. Una cover band, fra arrivi e partenze, comunque sulla breccia dal 2002. Che non cerca, o privilegia, la somiglianza fisica a costo della inevitabile carnevalata che ne uscirebbe fuori, ma l’esecuzione forte, coinvolgente, nella quale la gran voce di Maggioni, risuona, con devozione, quanto meno degna di un omaggio all’immortale Freddie Mercury. Il pubblico si scalda sulle note di “Crazy little thing called love“. Molti si alzano in piedi a ballare.
Missione compiuta, anche stavolta, per i Vipers, lungamente acclamati alla fine, quasi con gratitudine, per averci saputo riportare, almeno per due ore, indietro nel tempo ai nostri anni migliori. Applauditi con calore quasi come fossero davvero loro Brian May, John Deacon, Roger Taylor e Freddie Mercury. Un ragazzo bruttarello forte, Farrokh Bulsara, nato in Tanzania nel 1946 e, si racconta, bullizzato nelle scuole frequentate in India prima che i suoi si trasferissero nel Regno Unito e lui diventasse il leader della rock band più famosa del mondo. Grazie a quella capacità di suggestionare e stupire, di affabulare e rapire.
Quella abilità di sperimentare sonorità nuove, mescolare i generi più diversi e lontani fra di loro, miscelare suoni e vocalizzi, rompere le regole, infrangere tutti gli standard imperanti, e sfidare, fin dagli inizi, la potenza dei grandi network radiofonici e televisivi con le loro idee musicali rivoluzionarie. Le loro visioni. Che li hanno fatto amare in tutto il mondo e che, in larga parte, erano geniale emanazione della straordinaria personalità di Freddie Mercury. Immenso e sregolato. Dominatore della musica, ma schiavo di coca e festini omosex. Animale puro da palcoscenico e potenza vocale fuori misura. Magnetico e trascinatore con i suoi look, a volte esagerati, a volte minimalisti, portati con la stessa naturalezza esibizionistica. Una presenza scenica fuori dal comune. Con i jeans, le scarpe da ginnastica, la canottiera bianca, e l’asta del microfono brandita come strumento di seduzione per le folle.
Ci piace ricordarlo così Freddie Mercury, sul palco planetario del Live Aid di Wembley quel 13 luglio 1985, quando, già aggredito dall’Aids, spazzò via dalla scena, come una vera Regina, tutte le altre star internazionali presenti a quell’evento. Morirà sei anni dopo. Portandosi dietro l’affetto eterno dei suoi milioni di fans. Portandosi dentro l’amore per i suoi gatti e per Mary Austin. Love of my life. L’unica donna che aveva amato davvero per tutta la vita, e che custodisce ancora, l’unica a saperlo, il luogo segreto dove sono custodite le sue ceneri.
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