di Walter Luzi
I banchi della piccola cappella al settimo piano dell’ospedale “Mazzoni” stavolta non sono bastate. Per il passaggio ufficiale delle consegne fra il parroco uscente, don Francesco Simeone, e il subentrante, don Francesco Mangani, domenica sera 22 dicembre, c’è il pienone delle grandi occasioni. Capita in tutte le parrocchie, quando ad officiare arriva il vescovo Gianpiero Palmieri.
Ma, stavolta, sono venuti tutti solo per salutare don Simeone, che si appresta a fare ritorno, fra le proteste dei suoi parrocchiani, nella natìa Puglia. Ancora increduli per una decisione che scontenta, e sconcerta, tutti. Lui per primo. Una testimonianza di affetto commossa, palpabile, certamente non comune che si concretizza già dopo la benedizione finale. Non gli danno il tempo neanche di rientrare in sacrestia, a spogliarsi della pianeta e dei paramenti sacri. I più vicini sono rimasti fino a tarda ora a cercare di rincuorarlo.
Ad abbracciarlo, materialmente, fra i tantissimi, è venuto anche, in forma privata, il sindaco Marco Fioravanti. Ma ci sono ex malati e dipendenti dell’Ast, volontari e diaconi, sanitari e parenti di pazienti che non ce l’hanno fatta, ma che anche dopo la dolorosa esperienza sono rimasti legati a questo giovane prete. Fidei donum si dice in gergo ecclesiastico, “prestato” cioè dalla diocesi di Taranto a quella ascolana nel 2017 su espressa richiesta dell’allora vescovo della curia ascolana Giovanni D’Ercole.
Ma è dal primo gennaio 2019 che don Francesco Simeone passando alla guida della parrocchia delle parrocchie, come la definisce lui, quella dell’ospedale “Mazzoni” comincia a farsi conoscere, presto apprezzare, da molti amare. Sei anni vissuti intensamente, segnati dal dramma della pandemia, contrassegnati da una presenza costante, discreta, sentita. Quando l’isolamento dei malati, lo scoramento dei più fragili, la loro disperazione in molti casi, sono stati vinti anche grazie a questo coraggioso ingegnere di Martina Franca, che ha lasciato pure un posto fisso statale per abbracciare la vocazione. Che la mascherina FFP2 non la toglierà più, dentro e fuori l’ospedale, anche quando l’incubo covid sarà alle spalle. La manterrà solo per continuare a proteggere i malati più deboli ed esposti alle infezioni, i tesori di Dio li chiama lui, che ogni giorno aspettano la sua visita nei loro letti di sofferenza.
La toglie stasera quella mascherina, quando la celebrazione volge ormai al termine, e gli altri concelebranti hanno già detto la loro. «Avevo promesso di toglierla – esordisce don Simeone – solo quando avrei cambiato mestiere. Non lo cambierò. Ringrazio la diocesi ascolana per avermi sopportato in questi otto anni. Perché, mi conosco bene, non sono sempre facilmente gestibile, e, a volte, anche abbastanza duro».
«La ringrazio soprattutto per avermi concesso la possibilità di fare questa esperienza in ospedale al servizio dei tesori di Dio più preziosi, i deboli, i fragili – continua -. Sicuramente l’esperienza sacerdotale più proficua per me, all’interno di una comunità vastissima e che varia continuamente. Che conta i tanti ragazzi dell’università, che ti offre la possibilità di creare relazioni con persone di ogni ceto sociale, perché malattia e morte sono le cose più giuste che esistono. Perché toccano tutti. Ringrazio il mio successore per aver accettato questo incarico di nuovo cappellano. Una figura che negli ultimi anni non è stato facile reperire e che il vescovo, dopo essersi prodigato, nella sua sapienza, è riuscito a trovare. Ci si chiede spesso se valga qualcosa il Bene che si fa nella propria vita. Non muore niente. I veri gesti di amore vivono per sempre. Torno a Taranto con un amore vivace nel mio cuore. Grazie di tutto il bene che mi avete dato. Vi amo tutti».
L’applauso che segue è interminabile. In apertura di celebrazione il vescovo Palmieri, prima di leggere il decreto di nomina del nuovo cappellano del “Mazzoni”, aveva espresso il suo desiderio di non tornare sulle polemiche nate nelle ultime settimane.
«È stato un momento faticoso – ha detto – sofferto da più punti di vista, e spero che questa Eucarestia segni una svolta, un passaggio. I cristiani possono anche dividersi, ma intorno all’Eucarestia possono tornare insieme». Poi storpierà tutte le volte il cognome di don Francesco Simeone, chiamandolo sempre Simeoni. Imperdonabile. E dispiace a tutti anche questo.
Don Francesco Mangani, figlio di un benvoluto e benemerito medico ascolano che ha trasformato la sua professione in una vera e propria missione, dopo vent’anni di sacerdozio, fa il grande salto alla guida di una parrocchia veramente importante. «Un salto inatteso nel tabernacolo della malattia – lo chiama – un santuario di Cristo sofferente che può diventare porta di speranza». Poi ringrazia anche il suo predecessore «Che ha saputo dare dignità al suo servizio piantando semi che daranno frutti buoni e preziosi. C’è sempre chi semina e chi raccoglie. Il bene che ha fatto non verrà mai perduto, né dimenticato».
Staremo a vedere. Silenzio assordante intanto dalla Diocesi di Taranto, da dove non si è riuscito ad avere ancora conferme ulteriori sulla spiacevole vicenda di don Francesco Simeone. Né, tanto meno, su quale sarà, dopo l’ormai prossimo ritorno in Puglia, il suo nuovo incarico. Strano davvero per un rientro così, almeno pare, perentoriamente sollecitato.
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