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Le storie di Walter: il quarto Natale senza Nazzareno Agostini

ASCOLI - La storia di un visionario, vulcanico benefattore dello sport dilettantistico ascolano, lavoratore infaticabile con la moglie Rita nell’azienda florovivaistica di famiglia che ha attraversato un'epoca
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Nazzareno con la moglie Rita

 

di Walter Luzi

 

Questo Natale è il quarto senza Nazzareno Agostini. Meglio, Zè Agostini. Quello dei campi sportivi, dei vivai di piante, dei fiori, della Pro Calcio. Il lavoratore infaticabile e l’affarista spregiudicato. L’accentratore dall’ego smisurato e il benefattore disinteressato. Il dirigente sportivo appassionato che ha lasciato una impronta profonda nella sua città mettendoci, oltre al suo gran cuore anche molti dei suoi soldi. Condividendo con il suo grande amico Giuseppe Mascetti la visione illuminata di uno sport giovanile inteso come prezioso e disinteressato servizio sociale reso alla propria città. Che mai per altro, a nessuno dei due, né da vivi, né da morti, saprà riconoscere i meriti e, tanto meno, tributare la dovuta gratitudine. Ad elencare i mille aneddoti di una vita piena come la sua ci vorrebbe una enciclopedia. Ma ci basta ricordarlo, in occasione di questo triste anniversario appena trascorso, insieme ai suoi figli. Che, come noi, non dimenticano chi è stato Nazzareno Agostini.

La famiglia di Alfredo Agostini

 

La scuola di Falecò

 

Era nato il giorno del Corpus Domini del 1931. Nella campagna coltivata di una zona di Monticelli alta che tutti chiamavano Africa. Nasce in una delle tante case coloniche della zona dove abitano e lavorano insieme le terre i due fratelli Natale e Alfredo Agostini. Gente tosta, abituata da generazioni a lavorare duro per guadagnarsi il pane. Alfredo ha sposato presto Pasqualina Valianti, originaria del Marino, che è fatta della sua stessa pasta. Dura e pura.

 

Se li ricorda ancora bene Peppino Angelini, lei e il piccolo Nazzareno tirare il loro carretto della frutta e verdura fino al mercato in centro. Ogni giorno, con ogni tempo, anche al gelo. Alfredo e Pasqualina avranno quattro figli, due maschi e due femmine. Vincenzina, classe 1927, Nazzareno, 1931, Luciano 1934, ed Elsa 1937. Zè frequenta le scuole fino a quelle di avviamento, ma ha inciso nei geni il valore del lavoro. Impara molto presto a coltivare e lavorare la canapa e a raccogliere le ghiande.

A16 anni in consegna di fiori

 

Quando la famiglia si traferisce alla Croce di Tolignano iniziano le prime coltivazioni di fiori. Dalie e garofani soprattutto. Alfredo è portato per il giardinaggio, ma ricorda spesso i suoi trascorsi nell’arma dei Carabinieri. L’orgoglio di aver frequentato a Pinerolo la gloriosa scuola militare di cavalleria. E Zabaio, il suo cavallo che non aveva mai dimenticato. Il giovanissimo Zè muoverà presto alla scoperta del mondo grazie al cognato, che diventerà il suo maestro di vita. Giuseppe Mancini, che sposerà la sorella Vincenzina, più noto con il soprannome di Falecò, è un personaggio che ricopre, insieme ad un altro mito cittadino, Caciola, il ruolo di indiscusso capo della tifoseria calcistica ascolana.

 

Comincia ad accompagnarlo nei lunghi viaggi di lavoro verso il sud, per comprare frutta e verdura fra il basso Lazio e la Campania. Vanno con il vecchio camioncino OM, che ha marce molto dure da scalare, e che Zè impara a guidare anche senza avere la patente, e neppure la maggiore età. Le strade di montagna sono tutte brecciate, spesso poco più che mulattiere. Sono veri e propri viaggi avventura. Una volta a Roccaraso rimangono bloccati dalla neve e solo grazie al soccorso delle locali guardie forestali riescono a proseguire nel viaggio. Giuseppe Falecò è il suo mito. Da lui impara la furbizia nel commercio, ma anche l’umanità nei rapporti, l’arte di coltivare i contatti con clienti e fornitori, e quella, più difficile, che gli riserverà qualche delusione, di saper riconoscere la vera natura delle persone a prima vista.

Agostini da ragazzo

 

Pionieri delle onoranze funebri

 

Nel 1957 acquistano un terreno alle porte di Ascoli dove sorge attualmente il comparto Firenze. Allora era aperta campagna.

 

I primi cuscinetti funerari li confezionano in un laboratorio alla fine di corso Mazzini quasi davanti alla chiesa di Santa Maria del Carmine. Ottengono il permesso di impiantare le prime serre su una area di proprietà della facoltosa famiglia Luciani, dove oggi sorgono i giardini pubblici. Quelle di Damiani&Mascaretti e di Agostini sono le prime imprese di pompe funebri a sorgere in Ascoli. In una traversa di via Dino Angelini apriranno un laboratorio per il confezionamento dei cuscini, un piccolo ufficio e un deposito delle bare. Qui dava una mano loro il vecchio Frangì “Tabbaccò”. Più tardi anche un negozietto di fiori a piazza Roma.

La famiglia di Zè nei primi anni 70

 

Il primo carro funebre è una Opel che verrà utilizzata anche per girare una scena del film ambientato in Ascoli “Alfredo Alfredo”. Nel 1960 Nazzareno sposa Rita Babinelli. Classe 1937, è una vicina di casa in via della Repubblica. Una grande donna, che viene da una altrettanto grande famiglia di nove figli decimata da due caduti in guerra. Un altro, miracolosamente sopravvissuto, era tornato a piedi, irriconoscibile, dal fronte albanese.

 

Dalla loro unione nasceranno tre figli maschi: Alfredo nel 1961, Domenico nel ‘64, e Massimo nel ’68. Ricordano tutti ancora oggi quegli anni Settanta meravigliosi, e quella 600 Multipla con la quale se ne andavano tutti insieme in gita a Colle San Marco. Bastava poco davvero per essere felici, allora.

 

Fiori, piante e campi di calcio

Con i figli Massimo e Meco nel 1972

La famigliola si è stabilita subito nella nuova grande casa di via della Repubblica. Casa e bottega. Perché al pianterreno Zè e Rita aprono, nella seconda metà degli anni Sessanta, il garden più fastoso della città. L’architetto Costantini è l’ideatore dell’avveniristico negozio-esposizione come quelli che trovi solo nelle metropoli. Un progetto fortemente innovativo che privilegia materiali e soluzioni di tendenza. Piante secche, e creazioni in polistirolo.

 

Ma è con l’inizio degli anni Settanta che l’attività, grazie all’intuito di Zè, si impenna. Ottiene concessioni demaniali lungo la sponda del Tronto, all’altezza del Marino per impiantare un vivaio di piante e alberi. Quando c’è da fare scelte azzardate è molto meno riflessivo del padre, che, invece, ci va sempre più cauto. Ze’ agisce sempre d’istinto, velocemente, seguendo il suo infallibile fiuto per gli affari.

 

Sempre con l’entusiasmo di concretizzare sogni, di realizzare cose belle e utili, più che per incrementare il saldo del conto in banca. Come i campi di calcio che costruisce davanti alla cartiera Mondadori, vicino a Cametta, su un’area che destina inizialmente a piantagione di abeti.

Premia i suoi ragazzi

 

Il boom del miracolo calcistico dell’Ascoli di quegli anni e i grandi investimenti che il Gruppo Sportivo Elettrocarbonium del suo amico Giuseppe Mascetti sta facendo in proprio, lo inducono però a votare quell’area al calcio. Il fabbricato che adibisce a spogliatoi ospitava un vecchio frantoio. Sposta gli abeti e pianta erba e pali delle porte per ricavarci i campi che portano, almeno quelli, ancora il suo nome. La Pro Calcio la prende nel 1973. La prima sede nei locali sottostanti la chiesa di Piazza Immacolata. Con lui fra i primi protagonisti di quell’avventura figurano il segretario storico Pippo Fioravanti, Zè Sospetti e “Gigione” Paoletti. Arrivano subito i successi con la promozione in prima categoria dilettanti della formazione di mister Montanari.

 

Zè Agostini ne resterà sempre l’anima e il presidente onorario, pur delegando spesso nel tempo ad altri cariche e incarichi. Perché è uno che si fida degli amici. A volte anche troppo. Un trentennio d’oro in cui la sua Pro Calcio non arriverà mai a militare oltre la prima categoria, ma che vedrà passare due generazioni di giovani calciatori ascolani dal suo quotato settore giovanile. Agostini non concepirà mai un fine di lucro per le sue attività sportive. È un mecenate puro, disinteressato, entusiasta solo di poter fare qualcosa di buono per la collettività e per la sua città. Al quale basta già, da sola, la soddisfazione per la realizzazione di un’opera, di tenere al suo campo di gioco ragazzi difficili, che stanno attraversando, nelle loro vite, momenti delicati, o vivendo sfide di quelle quasi impossibili da vincere. Una visione del mondo illuminata che lo accomuna al suo omologo Giuseppe Mascetti.

Con Pippo Mascetti

 

Rivali, si fa per dire, da presidenti delle due massime espressioni dilettantistiche cittadine dell’epoca, ma alleati in ogni iniziativa legata al calcio giovanile. I pini che ancora oggi ornano il lato est del campo San Marcello, Zè Agostini li pianta con le sue mani. Quando Mascetti vara il torneo giovanile Città di Ascoli lui mette subito a disposizione il suo impianto. Entrambi, per quanto nelle loro possibilità hanno fatto il massimo. Due benemeriti dello sport cittadino inteso, innanzitutto, come servizio sociale che non hanno mai ricevuto, come detto, la giusta e meritata considerazione. Ma non dimenticarli è un dovere morale.

 

Zè, uno di noi

 

Pochi lo sanno ma i primi campi in erba sintetica della provincia li ha realizzati lui già nei primissimi anni Novanta. Sempre un passo avanti il grande Zè. Sia i campi Agostini che il “San Marcello” diventano principalmente luogo di sana aggregazione per i giovani, scuole di vita prima che di calcio. Il campo e la sala della Pro Calcio sono spesso teatro di feste in famiglia organizzate in ogni occasione propizia. I momenti conviviali con i suoi ragazzi saranno una costante.

Con Pelè

 

Zè Agostini era uno di loro. La figura di un presidente mecenate-tifoso-guida-padre che manca tanto al nostro calcio contemporaneo. Non solo dilettantistico. Di un dirigente sportivo anche, quando serve, fuori dalle righe come una domenica mattina di Carnevale che vedeva la sua Pro Calcio giocare in trasferta. Riesce a recuperare, uno ad uno, a stento, undici elementi più o meno assonnati, ma tutti brilli, reduci da una notte di bagordi. Quando arrivano finalmente a presentarsi in campo l’arbitro sta per fischiare la fine, da regolamento, dopo il primo tempo trascorso aspettandoli. Zè Agostini si precipita da lui per evitare la sconfitta a tavolino, a tentare di giustificare il ritardo spiegandogli che ad Ascoli il Carnevale è sacro. E si vede anche. Perché lui indossa ancora una maschera, i grandi occhiali finti senza le lenti con cui argomenta, serioso e supplichevole, clemenza per i suoi ragazzi.

 

I sogni realizzati

Le aziende di Zè Agostini arriveranno a contare fino a una ventina di dipendenti ma lui non smetterà mai di lavorare. Non toglierà mai quei jeans sdruciti da lavoro. Come la moglie Rita non si è mai fermato. Ma continua anche, di pari passo, a perseguire con passione i suoi obiettivi, a realizzare i suoi sogni. Di fede calcistica juventina aveva profondo rispetto per il grande Torino, cancellato dal disastro aereo di Superga nel 1949. Una tragedia che lo aveva turbato moltissimo. Poi era stato ammiratore di Puskas, Nordahl e aveva un idolo sopra tutti, Pelè.

In Canada con l’Ascoli nella foto con Pietro Anastasi e Bruno Ferretti

 

Metà anni Ottanta. Parte per la maratona di New York senza averne mai corsa una. All’avventura, quella vera, l’ennesima, insieme al suo amico Hombre del bar Salaria. Un altro personaggio, titolare dell’unico bar aperto tutta la notte in città. Al Rockefeller Center di New York riescono ad imbucarsi, non si sa come, ad una festa del concorso di bellezza Miss Universo. La giacca e la cravatta se la sono comprata apposta per l’occasione. Dentro, fra gli invitati vip c’è anche Edson Arantes Do Nascimiento, in arte (calcistica) Pelè. Con quella foto sorridente vicino al suo campione preferito, Zè Agostini corona un altro sogno della sua vita.

 

Per la cronaca a quella maratona newyorkese arriva fra gli ultimi, dopo sei ore e trentasei minuti di corsa sfiancante. Ma arriva, comunque, a tagliare anche quel traguardo. E per ogni maratoneta questo rappresenta sempre una vittoria. Zè è stato testimone diretto di tanti mondiali di calcio al seguito della nazionale. Ai mondiali di Spagna i figli a casa lo vedono passare, per caso, in televisione durante un servizio sui festeggiamenti dei tifosi italiani dopo una delle tante vittorie a quel mundial. Sombrero in testa e bicchiere in mano balla sul tavolo di un locale. È proprio lui. Ma nessuno si stupisce, sono cose da Zè Agostini.

 

È stato anche consigliere dell’Ascoli Calcio. Al suo seguito partecipa, nel 1980, alla memorabile trasferta dei bianconeri in Canada per la The red leaf cup che l’Ascoli si aggiudica battendo in finale i Rangers di Glasgow. Quando Domenico, Meco per i tanti amici, suo figlio, arriverà ad esordire in Serie A con l’Ascoli di Carlo Mazzone, Zè non si esalta. Anzi lo fa restare ben piantato con i piedi per terra, criticando anche ferocemente talune sue prestazioni in campo. Nei ritagli di tempo, soprattutto quando c’è da fare, Meco continua a dare una mano nell’attività di famiglia.

 

Una mattina, particolarmente piena, mentre è intento a infiorare una corona capita in negozio il suo compagno di squadra Dirceu. Ha bisogno di un furgone per un piccolo trasloco. Zè lo guarda e lo apostrofa: «Vieni qua. Dacci una mano anche tu a infilare i fiori. Poi te lo presto il furgone, ma prima dobbiamo finire il lavoro». E così il grande campione brasiliano fu costretto anche lui a sedersi a quel tavolo da lavoro per finire di confezionare le corone di fiori. Cose da Zè Agostini.

 

Dietro un grande uomo c’è Rita

 

Domenico, Meco, Agostini ha giocato 121 partite fra Serie A e B, ed è rimasto nella storia del calcio italiano per quel gol al Pisa segnato il 22 novembre 1987 grazie ad una memorabile, spettacolare sforbiciata volante. Il fratello Massimo, Mamo per gli amici, si è fermato invece al campionato Interregionale. Alfredo, il primogenito, di calcio, invece, non ne ha voluto sapere. Sono rimasti tutti molto legati alle loro radici.

Con Costantino Rozzi

 

Ha detto Meco: «La nostra è stata una famiglia straordinaria. Noi figli abbiamo fatto il possibile per essere degni dei nostri genitori, ma non abbiamo il loro talento». Un affetto e una riconoscenza che è indirizzato anche alla loro mamma.

 

«Mamma è stata una grande donna – raccontano in coro – se babbo non avesse avuto lei accanto, ma un’altra persona, amante delle agiatezze e della bella vita, non avrebbe combinato nulla di buono neppure lui. Lei era una maestra fiorista che conosceva bene la materia e aveva buon gusto, ma soprattutto una gran lavoratrice. Che si alzava alle quattro di mattina magari per confezionare i bouquet per le spose. O che sotto Natale, da specialista ricercata, si faceva in quattro per preparare in tempo tutti i mazzi di fiori prenotati. Abbiamo saputo, solo dopo la sua scomparsa, che aveva fatto, in silenzio, all’insaputa di tutti, anche molte opere di beneficenza».

 

Conosceva bene anche il significato della parola amicizia Zè Agostini. È uno dei pochissimi infatti ad andare a trovare spesso a casa il suo vecchio amico Pippo Mascetti. Gravemente ammalato, allettato, ma quello, che è peggio, abbandonato e dimenticato da tutti, l’ex dirigente dello stabilimento e anima del glorioso gruppo sportivo Elettrocarbonium che fu. Morirà nel 2011.

 

Ma l’oblio è già sceso su entrambi e sulle loro grandi imprese. Il mondo sta cambiando in peggio. Non è più il loro. Rita se ne va nel 2018. Due anni prima del marito, vinto dal covid la sera di Natale del 2020. Due anni in cui, senza Rita, Nazzareno era andato calando progressivamente sotto tutti gli aspetti. Oggetto di scherno persino da qualche miserabile, in una città dove anche i meriti e le qualità più grandi, spesso, non vengono esaltati dall’ammirazione, ma seppelliti dall’invidia.

 

Cattiverie, miserie umane, polverizzate da una telefonata ricevuta da Meco Agostini qualche giorno dopo il funerale del padre. «Non ci conosciamo. Ho pianto per la morte di tuo padre. Se oggi ho una famiglia e un lavoro lo devo solo a lui. Mi aiutò ad uscire dalla droga quando ero un ragazzo, portandomi al campo a giocare a pallone…»,

 


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