di Walter Luzi
Castignano, orrore e speranza racchiuse in pochi chilometri. Ma mentre il recente, gravissimo, fatto di sangue fa diventare famosi in televisione, le storie di amore, accoglienza e solidarietà non fanno notizia. Come quelle della “Casa di Gigi”. Una storia lunga sedici anni, ma in moltissimi non sanno neppure che esiste, di una comunità educativa di accoglienza per minori provenienti da realtà familiari problematiche.
Nata da un dono per donare. In un’epoca dove tutto, ma proprio tutto, si compra e si vende. La generosità di Caterina che vuole fare in modo che il suo Gigi continui a vivere in quella sua casa, in questa maniera, anche se non c’è più. La donazione, le porte di una casa donata aperte a più piccoli, i più vulnerabili e indifesi. Ce ne sono passati una sessantina fino ad oggi, dalla “Casa di Gigi” in età compresa fra gli zero e i diciassette anni. A cercare di curare le ferite invisibili dell’anima, che fanno molto più male, e molto più a lungo, di quelle, più visibili, di tanti, anche sul corpo.
L’impegno di educatori, medici, psicologi, tutti volontari, in progetti di recupero personalizzati, tesi a un reinserimento nella vita in completa autonomia sotto ogni aspetto. In questa ottica è stata preziosa negli ultimi anni la collaborazione con la rete di famiglie affidatarie “Tabgha-Insieme per accogliere”. Una comunità quella della “Casa di Gigi” aperta anche a mamme e nonne, quando ci sono, e quando hanno bisogno anch’esse di supporto, per recuperare appieno la loro funzione genitoriale. Che poi è il vero nocciolo della questione, in ogni famiglia cosiddetta “normale”, fino a quando il disagio non esplode, e finisce in televisione e sui giornali.
Perché i nuovi mostri nascono e crescono in mezzo a noi. Frutti deformi della moderna sub-cultura, malata e imperante. Concetto di “autorità” azzerati in ogni ambito. Papà e mamme, nonni e zii, diventati fans accecati e servi sottomessi. Maestre e prof in ambito scolastico, e allenatori in quello sportivo, che rompono, meglio, stressano. A quel paese tutti. Soprattutto quando capita, raramente, come a casa, che dicano qualche no, invece di sempre si. Allora, oggi, ci vuole lo psicologo.
L’applicazione di pochi, sacrosanti, principi, che una volta bastavano da soli a far crescere sani teste e cuori, è decaduta. Il diritto come conseguenza del dovere, il rispetto incondizionato per il prossimo, il sacrificio come arricchente compagno di vita, sono diventati concetti desueti. Da scansare con cura. Troppa fatica. Meglio cazzeggiare per ore con il telefonino, nuovo rifugio fatato e tossico. Meglio stordirsi con la musica, e, purtroppo anche con i testi, di questi pseudo-cantanti di gran moda. Che hanno successo blaterando di sesso violento e botte, di relazioni morbose spacciate per passioni, di orgasmi sublimati dalle sberle.
I buoni sentimenti non fanno audience. Violento, invece piace. Come apparire sempre belle e fighe, tatuati e duri. Almeno fuori. Strafottenti e vuoti. Come fare tanti soldi facili senza sudarli, e diventare famosi senza avere qualità. Come vendersi senza vergogna. E prevaricare senza pudore. L’amore, che, come l’odio, può essere insegnato, non si insegna più da nessuna parte.
Per questo ci ha colpiti molto questa iniziativa spontanea di mamme e bimbi della scuola elementare di Poggio di Bretta, nata per pura solidarietà. Per sostenere, in clima prenatalizio, una benemerita realtà locale, che spesso accoglie, dopo drammi umani vissuti da vittime e carnefici, gli innocenti che restano. Una semplicissima, genuina pesca di beneficenza, come quelle di una volta. Senza squilli di tromba e annunci tronfi. Tutte le attività commerciali ed economiche della frazione che contribuiscono con entusiasmo.
Il locale, attivissimo, centro culturale e ricreativo che mette a disposizione la sua sede. Vecchi e bambini uniti da nobili intenti. Il Comune di Ascoli che dà anch’esso, una mano. La cifra raccolta, non banale per i tempi, consegnata insieme a tutti i giocattoli e gli oggetti rimasti non estratti. La gratitudine espressa dalla responsabile della comunità Anna Saveria Capriotti in una lettera. I telegiornali nazionali non ne parleranno mai di cose come queste. Ma ci piace pensare che, come a Ripaberarda, a poca distanza da tanto orrore, possa sopravvivere, sotto un raggio di luce, anche la speranza.
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