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“Arquata e le altre”, i social che raccontano il sisma: «Qui per il diritto di continuare ad esistere»

SISMA - I sette anni di vita della pagina Facebook rappresentano l'occasione per raccontare da una prospettiva diversa quanto sta accadendo nei luoghi devastati dal terremoto. A parlare è la fondatrice Eleonora Tiliacos: «La stanchezza è tanta, ma c'è anche molta speranza e determinazione. Importantissimo l'inizio della ricostruzione a Tufo, la frazione più piccola e decentrata»
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«Partendo dal principio che ci si salva insieme, ho creduto fosse necessario parlare anche delle “altre”, cioè le altre località terremotate, in particolare quelle più duramente colpite dal sisma, dalla A di Amatrice e Accumoli alla V di Visso, passando per Camerino, Castelsantangelo sul Nera, Fiastra, Montegallo, Norcia, Pieve Torina, Preci, Rubbiano di Montefortino, Ussita. Insomma, parlare di tutte le località che sono altre rispetto ad Arquata, ma di Arquata sono sorelle nel tentativo di affermare un diritto: quello di continuare a esistere».

Arquata nell’immagine principale della pagina

 

I sette anni di vita della pagina Facebook “Arquata e le altre” rappresenta l’occasione per raccontare, di nuovo e ancora, quanto sta accadendo nel cratere da una prospettiva diversa. A parlare è la fondatrice e amministratrice del gruppo, che ad oggi vanta quasi 8.000 followers, Eleonora Tiliacos, che vive a Roma ma è profondamente legata al piccolo borgo devastato dal terremoto del 2016/2017.

 

«Arquata è la mia origine, la mia storia – racconta -. In una casa sulla piazza, il 31 marzo 1924, è nata mia madre Ottavia Angelini. Da lì la mia famiglia ha dovuto andarsene più volte, la prima quando mia nonna rimase vedova con sette figli, e più volte però è tornata. Quello con Arquata è un legame forte, sostanziale. Nelle Sae ho parenti e amici, e voglio rivederli in una vera casa, la loro. Come molti altri non ho mai considerato il paese un semplice luogo di vacanza, ma parte essenziale della mia vita».

Eleonora Tiliacos

 

Perché la scelta di creare una pagina e non un gruppo?

 

«Sono l’unica persona a gestirla, ma è di fatto una community: gran parte dei post provengono da suggerimenti e segnalazioni che arrivano dalle persone residenti nei paesi terremotati. Sono loro a proporre temi o a porre domande che sono di interesse collettivo, non solo per quanto riguarda la ricostruzione in senso stretto, ma anche per ciò che concerne situazioni che già prima del sisma richiedevano estrema attenzione: dallo spopolamento alla carenza di servizi, dalla viabilità carente all’uso sbilanciato o improprio di risorse comuni».

 

Com’è gestire una pagina che parla di un argomento così delicato?

 

«A volte è stato faticoso, ha richiesto il sostenere contraddittori e illazioni al limite del diffamatorio: talvolta anche solo condividere un articolo significa toccare situazioni assurde e stagnanti, sfiorare presunti feudi personali. Ma ben più significativo e importante è il lato positivo: sarò sempre grata per l’affetto arrivato alla pagina, anche da molto più lontano di Arquata. Nel marasma e nell’incertezza ho trovato persone rare, malgrado tutto generose e grandi, che considererò amiche per sempre. “Arquata e le altre” è il mio piccolo contributo alla causa, ma se un merito c’è va assolutamente diviso con ognuna delle persone che seguono la pagina: sono tutte, ognuna a suo modo e secondo le sue possibilità, delle colonne portanti».

La Sae di Borgo sotto la neve, nel 2020

 

Fino ad oggi qual è stata l’utilità di “Arquata e le altre”?

 

«La mia speranza, sin dal primo giorno, è stata di far circolare le notizie dove altrimenti mai arriverebbero. In tal senso la situazione dei villaggi Sae, dove dal 2016 non ci sono più nemmeno i giornali, è drammatica: nei moduli non esiste predisposizione per linea telefonica e Internet fissa, le connessioni via cellulare sono labili, la diaspora seguita al terremoto ha reso più isolate le persone perché interi blocchi di comunità sono altrove. Non c’è più la piazza, la panchina, il camino acceso davanti al quale riunirsi anche con i vicini. E sono del tutto mancate iniziative semplici, ma a mio avviso auspicabili e indispensabili: mi sarei aspettata che in questi anni  i Comuni terremotati dedicassero periodicamente degli open day agli sfollati (perché anche chi sta sa sette anni nelle Sae, ricordiamocelo, è tuttora uno sfollato); che dagli uffici municipali qualcuno ogni tanto scendesse a valle o salisse a monte per aprire gazebo informativi nelle aree Sae, per aiutare a ottenere indicazioni e a compilare domande chi palesemente non sa da dove cominciare a farlo».

 

La cosa che l’ha piacevolmente colpita?

 

«Capire che la pagina serviva non solo per i suoi post pubblici, ma anche e soprattutto per quanto avveniva “dietro le quinte”. Nel cratere il vuoto informativo è grande, molto grande. In questi anni mi hanno scritto centinaia di persone, con i dubbi più incredibili: gente che non sapeva neppure se il suo paese fosse o meno perimetrato, a 3 o 4 anni dal decreto di perimetrazione; gente disperata perché le venivano chiesti soldi non dovuti prima della presentazione del progetto, quando tutto è incluso nel contributo di ricostruzione; gente convinta di aver affidato un incarico, che in sei o sette anni non aveva mai firmato un mandato, e via dicendo. In generale moltissimi non sanno chi ha competenza e quindi responsabilità in cosa. Persino la possibilità di verificare lo stato delle domande sui report degli Usr, facilmente rintracciabili su web e aggiornati quotidianamente, per molti è stata un’assoluta rivelazione».

La partenza dei lavori a Tufo

 

Secondo lei, perché?

 

«La burocrazia post sisma è complessa e lo sport preferito per anni è stato lo scaricabarile, spesso spudorato e purtroppo mai definitivamente tramontato. Troppi temono di esporsi, di mettere per scritto le loro domande, anziché accontentarsi di fugaci e spesso contraddittorie risposte verbali. A tutti consiglio di prendere il sano vizio di inviare Pec, indirizzandole agli enti competenti e per conoscenza anche a chi in catena gerarchica sta sopra di essi; spesso i risultati sono buoni. La questione “quello è amici, quello è parente, me l’ha detto Tizio o Caio al bar” non funziona più, gli interessi in ballo sono troppi. Bisogna saper verificare le informazioni».

 

 

In che modo la pagina contribuisce all’informazione nel cratere?

 

«Nel selezionare il materiale giornalistico, purtroppo sempre più raro, che riguarda proprio il cratere 2016. Tendo a scartare per principio proclami partitici, articoli palesemente non aggiornati o inesatti, dichiarazioni propagandistiche prive di qualsiasi sostanza informativa. Oltre al selezionare, è importante anche raggruppare le notizie, anche quelle di puro servizio  – scadenze, riunioni pubbliche, opportunità di sussidio e sostegno (che vista la grande fragilità sociale servono, eccome ) – a beneficio di chi dovrebbe altrimenti cercarle con un certo affanno. Penso soprattutto agli anziani, a quelli che non hanno l’autonomia per andarsi a comprare un giornale a venti chilometri di distanza o che hanno poca confidenza con il web. E teniamo conto che trovare notizie in rete è sempre più difficile: all’anno nono del post sisma il terremoto sta mediaticamente passando di moda».

Il sindaco Franchi

 

Cosa accade oggi ad Arquata?

 

«Dopo il varo del bando legato alle opere pubbliche (consolidamento della rupe, secondo l’innovativo progetto della Fondazione Eucentre di Pavia, che costituirà un modello a livello internazionale anche per la prevenzione antisismica, oltre che per la ricostruzione post sisma) siamo in attesa dei risultati della gara: a fine gennaio dovremmo sapere chi si aggiudicherà l’appalto unitario da 71 milioni, come da Ordinanza speciale 75/2024 del Commissario straordinario. Nell’ultimo anno le scadenze indicate dal commissario Castelli e dall’Usr Marche sono state puntualmente rispettate, ed è giusto sottolinearlo; confidiamo quindi che anche l’affidamento lavori arrivi nei tempi previsti, cioè entro febbraio. Si arriva a questo punto dopo anni di importanti studi preliminari (quelli dell’Università Roma Tre, con l’équipe diretta dal professor Zampilli), di atti di pianificazione (studio Mate/Boeri), di calcoli di fattibilità realizzati dall’Usr Marche».

 

Poi?

 

«C’è grande attesa anche per la cosiddetta ordinanza “Arquata 2”, quella che riguarda opere pubbliche e sottoservizi delle frazioni perimetrate, ivi inclusa Pescara del Tronto: fondamentale che l’eroismo dei pescaresi, da sette anni confinati in un’area Sae stretta fra l’umidità del Tronto e il traffico della Salaria, sia finalmente premiato con una ricostruzione voluta, attesa, conquistata anche contro molte volontà inaspettatamente espresse “dal basso”».

 

Che aria si respira?

 

«La stanchezza è tanta, ma c’è anche molta speranza e determinazione. E un fatto nuovo, importantissimo, è l’inizio della ricostruzione a Tufo: la frazione più piccola e decentrata ha mostrato uno spirito di comunità e una tenacia che sono d’esempio per tutti. Il lavoro del Comitato Ricostruire Tufo è stato davvero instancabile e ha fornito strumenti anche alle altre associazioni di proprietari, a cominciare da quella di Arquata capoluogo».

 

Guido Castelli

Quali le prospettive per il 2025?

 

«Fondamentale è che ora la ricostruzione si diffonda in tutto il Comune: finora ha toccato Spelonga, Trisungo, un po’ di Borgo (dove però la chiesa duecentesca di San Francesco e l’ex convento, ben dieci abitazioni, sono ancora inspiegabilmente ferme al 2016 malgrado la mole di dati su materiali, calcoli statici, indicazioni progettuali fornita dal Politecnico di Milano mediante ben due convenzioni stipulate con il Comune di Arquata, per un totale di 4 anni di lavoro). Lasciare più di metà del Comune nell’attuale desolazione equivarrebbe a farlo morire: per questo speriamo che nel 2025 la ricostruzione attecchisca, finalmente, anche sul versante sinistro dell’Alta Valle del Tronto. Lo dobbiamo a chi coraggiosamente resta, ma anche a chi ha perso la vita il 24 agosto e (fuori da ogni conteggio ufficiale ma non dal grande dolore), nei mesi e anni successivi al terremoto, sopraffatto dall’attesa e da un grande vuoto che è nostro dovere colmare di futuro».

 

Da questo può dipendere anche parte del futuro del nostro Paese?

 

«Sì, cedo che la ricostruzione dell’Appennino terremotato sia lo spartiacque tra rinascita e decadenza anche per l’Italia: da quei borghi e dalla conservazione dell’ambiente naturale di cui sono storicamente i custodi dipende molto del nostro futuro. Le aree interne sono almeno il 65% del nostro territorio nazionale, sono la sua ossatura storica e il suo “segno particolare”: basta con il teorema della sottrazione, con la marginalizzazione, con l’abbandono che tanto ha immiserito e snaturato l’Italia tutta. Non mi accontento della ricostruzione della casa di mia sorella, che la notte del 24 agosto si è salvata per miracolo, nello stesso punto del paese in cui tre persone che sempre porteremo nel nostro cuore – la piccola Marisol Piermarini, Stefano Sciubba e sua madre Giulia Calvelli  – hanno perso la vita. Vorrei che tutti possano scegliere di riavere una casa e tornare, se vogliono: finché anche uno solo rimane indietro di rinascita non possiamo parlare».

 

 


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