di Pier Paolo Flammini
Non sembra ci sia nulla di ufficialmente definito, e dunque l’errore può ancora non essere commesso. Parliamo del fantomatico “Museo dello Sport Sambenedettese” (ne avevamo già accennato qui, ora lo dettagliamo), di cui si parla ormai da qualche decennio, che l’Amministrazione Spazzafumo vorrebbe far nascere in uno spazio ricavato nell’area ormai identificata come Ex Ballarin, che si spera possa avere presto un nome identificativo privo del prefisso “ex” come tante zone a San Benedetto, segnale di una urbanistica irrisolta dopo l’espansione novecentesca (alla quale si sta aggiungendo il termine “ex sede comunale” in relazione al Palazzo di Piazza Battisti).
Ci sono così tante motivazioni avverse alla scelta, e solo una, misera, a favore, che si fatica a capire come si possa rischiare un passo tanto avventato. L’unica a favore rispetto al Museo dello Sport, che poi è nei fatti un Museo della Samb più gli altri sport cittadini (e, ci auguriamo, almeno di tutta la Riviera, e non solo, picena) è la sua realizzazione. Né più né meno. In quell’ubicazione attrarrà semmai qualche turista della vicinissima Grottammare – tra l’altro in molti, specie nella parte sud di Grottammare, pensano di soggiornare a San Benedetto.
Il vero motivo per cui si pensa di realizzare il Museo dove sorgeva il Ballarin è legato alla volontà di ricordare il luogo come fulcro dell’epica sportiva sambenedettese: ma a quel punto si dà ragione a chi preferiva realizzare un campo da calcio…
Vediamo cosa, invece, non riporta:
1. Che senso ha un museo dello sport posto in un’area ricreativa e a ridosso della zona portuale? Da questa domanda ne discendono altre: è stato fatto uno studio, un approfondimento, una valutazione circa l’attrazione di un museo siffatto in quella zona, in termini di numero di visitatori, costi di gestione, spazi necessari?
2. Il Parco dell’ex Ballarin avrà bisogno di uno spazio coperto? Per carità, la struttura è stata progettata dall’architetto Canali su indicazione dell’Amministrazione Comunale, ma le rigide temperature dell’inverno 2025 ricordano come, da queste parti, non sia sempre possibile stare all’aria aperta anche nei mesi più freddi. O in caso di pioggia o forte vento, ovviamente. Un piccolo riparo dalle intemperie, spesso se improvvise (anche d’estate, e ne sappiamo qualcosa) crediamo avrà una utilità maggiore di un luogo che per forza di cose resterà chiuso per il 90% del tempo per i costi del personale e gestione (illuminazione, pulizia, acqua, riscaldamento e raffrescamento).
3. I musei dello sport si realizzano dove si dirigono persone interessate allo sport, non alle passeggiate, all’attività di pesca o di balneazione. E’ così ovvio che è imbarazzante scriverlo. I vicini “Musei del Mare” si trovano infatti a ridosso del porto, non al Ponterotto. La Juventus, che in Italia è un esempio di marketing, ha il Museo della Juve – per inciso: la prima squadra italiana per seguito e una delle più famose al mondo – esattamente nel proprio stadio di proprietà.
4. A San Benedetto c’è una strada chiamata “Viale dello Sport” e quasi tutte le strutture sportive si trovano lì. Ci sarà un motivo? Che senso ha un Museo dello Sport in zona portuale/ricreativa e lasciare a quattro chilometri di distanza una via che è già chiamata “dello Sport” e dove insistono lo stadio “Riviera delle Palme”, il PalaSpeca, la pista di Atletica, la Bocciofila, la Piscina Comunale, l’ex Campo da rugby Rodi (temporaneamente adibito a Beach Arena), il Campo Europa, l’Arena sulla spiaggia dell’ex Camping (trasformabile esso stesso in un punto fitness all’aperto) e in qualche modo conduce, oltre, al campo da rugby Mandela e alla pista di pattinaggio in zona Agraria. In più: l’intera Area Brancadoro sta per essere trasformata in un San Park dalla Sideralba, con concentrazione estrema di attrazioni sportive a ridosso dello stadio. Aggiungiamo infine che gli eventi sportivi cittadini all’area aperta si svolgono sul lungomare, tra Campo Europa e Viale Buozzi, senza mai svalicare verso Grottammare.
5. Perché il Museo dello Sport si deve trovare nella zona stadio/Brancadoro. Perché la rispettabilissima storia dello sport sambenedettese e piceno e della Samb è pur sempre una storia di provincia, non equiparabile a quelle di Juventus, Real Madrid, Barcellona e via dicendo. In queste città il flusso di visitatori è continuo, la visita allo stadio principalmente è un passaggio della visita alla città. Eppure i musei delle squadre sono ubicati saggiamente allo stadio: così gli spettatori (che ruotano molto di più rispetto a quelli di San Benedetto) vanno alla partita e si recano al museo e poi nell’area shopping. Se arrivano centinaia di atleti e le loro famiglie per tornei di basket, pallavolo, calcio a 5, calcio, nuoto, atletica, e via dicendo, cosa c’è di meglio che offrire loro anche una rapida visita al Museo, tra “Riviera delle Palme” e “San Park”?
Ma davvero si spera che qualcuno parta da Roma o Milano per arrivare a San Benedetto per vedere il “museo dello sport”? O forse non sarebbe meglio mettere la porta di ingresso proprio dove si concentrano di solito persone interessate allo sport?
6. I Musei delle squadre di calcio sono privati e gestiti dalle squadre di calcio. Un “museo dello sport” ha una base pubblica, ma un “museo della Samb” concentra il suo interesse su una squadra di calcio che è privata per quanto svolga un ruolo pubblico indiscutibile. Restando a Juve, Real e Barcellona, si tratta di musei privati all’interno di stadi privati o pubblici in concessione, gestiti dalle società private nell’ambito di un pacchetto che contiene: ingresso allo stadio (con o senza partita), merchandising, promozione del marchio, museo. Perché il Comune di San Benedetto deve realizzare con soldi pubblici e poi pagare con la gestione un museo a favore di una società privata, o almeno del suo passato, ponendolo a sei chilometri di distanza dal suo centro di attrazione (lo stadio) oltre che, come visto, della gran parte dei fruitori e visitatori con finalità turistico-ricreative-sportive della città?
7. Il Museo dello Sport e della Samb va realizzato allo stadio “Riviera delle Palme” o al massimo al “San Park”. Più facile ovviamente la prima soluzione, perché lo stadio è pubblico mentre il San Park è un’area privata. Certo, occorrerebbero spazi, magari il Comune a quel punto potrebbe valutare un contributo per garantire un certo periodo di apertura, ma questo è un passaggio successivo. Prima, occorrerebbe ripensare lo stadio, valutare non solo le concessioni ma progetti di riqualificazione, a 40 anni dalla realizzazione. E ovviamente far tornare allo stesso tavolo il presidente della Samb Vittorio Massi e il sindaco di San Benedetto Antonio Spazzafumo.
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