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«Il Carnevale di Ascoli esiste almeno dal 1229, ne abbiamo le prove»

LA RICERCA - Lo storico Augusto Agostini ha ripercorso al teatro Filarmonici la storia della manifestazione carnascialesca, citando documenti e opere inoppugnabili
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Augusto Agostini

 

di Peppe Ercoli

 

«L’importante e che voi, uscendo da qui, a chi vi domanda da quando è presente con certezza il Carnevale di Ascoli potrete dire dal 1229».

 

Così il dottor Augusto Agostini ha concluso la sua esposizione al teatro Filarmonici in occasione del convegno sul “Carnevale di Ascoli, fra storicità e attualità“, ospiti molte maschere provenienti da tutta Italia. Agostini ha tenuto a specificare che la data del 1229 indica una certezza, essendo basata su documenti incontrovertibili, ma questo non significa che possa essere ancora retrodatata. Su questo punto si continuerà a studiare.

 

Quello di Agostini, medico oculista con la passione e la curiosità di scavare nella storia di Ascoli, è stato un viaggio a ritroso nel tempo che ha calamitato l’attenzione del pubblico presente al teatro Filarmonici. Lo studio che ha compiuto è basato sui documenti conservati all’Archivio di Stato dove si trovano documenti di consigli comunali e del monastero di Sant’Angelo Magno.

 

 

Seguiamo allora lo schema proposto dallo storico ascolano, andando a ritroso nel tempo a caccia di tracce del Carnevale di Ascoli, cominciando dall’Ottocento.

 

«Nella mia ricerca – ha esordito Agostini – ho trovato non frequentemente il sostantivo Carnevale come esclusivo punto di riferimento cronologico, cioè: questa cosa si fa dentro carnevale, questa cosa si fa dopo carnevale, senza che si specificasse cosa questo volesse dire o in che cosa consistesse. E quando invece c’erano queste informazioni erano riferite prevalentemente alla nobiltà, quindi poco della tradizione popolare che caratterizza il nostro carnevale che non era solo libagioni, cantare, ballare, ma c’erano anche tradizioni consolidate che purtroppo sono andate perdute con il tempo. Come la festa dei moccoletti che è stata ritratta molte volte in maniera pittorica a Roma; era diffusa, credo, nello Stato Pontificio, del quale Ascoli faceva parte. E in che cosa consistesse? Ve lo lascio dire, da Charles Dickens, del suo Pictures from Italy. “Ognuno dei presenti sembra animato da un solo proposito e cioè spegnere la candeletta degli altri e mantenere accesa la propria. E tutti, uomini, donne e ragazzi, signore e signore, principi e contadini italiani e stranieri, vocio, strillano e urlano incessantemente ai vinti ‘senza moccolo’, senza moccolo”».

 

«Pare che chi avesse spento il proprio moccolo dovesse cavarsi la maschera e mostrare il proprio volto. Ad Ascoli – ha aggiunto – un testimone diretto, del quale il professor Luca Luna ha trovato il diario, scrive che si usavano dei mazzi di candelette accese. Seconda informazione sull’800 è che quando noi parliamo di carnevale popolare e ovviamente facciamo riferimento al presente, ci si può vestire come si vuole, si può dire quello che si vuole, si può scrivere ciò che si vuole sempre nell’ambito della legge, ma nello stato della Chiesa, almeno adesso non so negli altri luoghi, non era così. C’erano limitazioni pesantissime. Ad esempio ‘nessuno potrà mascherarsi con abiti indecenti e satirici, né imitare il vestiario ecclesiastico o quello dei pubblici funzionari’. Se io mi fossi presentato in piazza vestito da alto prelato, sarei stato accompagnato nelle carceri vescovili in Sant’Ilario».

 

Nel ‘700 il carnevale d’Ascoli è prevalentemente andare a teatro.

 

«I nobili chiedevano l’utilizzo del teatro al Comune e i deputati al teatro, nel caso la richiesta fosse stata esaudita, stilavano un contratto in cui si assegnava il teatro e si elencavano le cose presenti, dalle sedute alle chiavi per i palchetti, a tutto l’apparato scenico e la pena nel caso si fossero fatti dei danni. Quando io parlo di teatro nel ‘700 – ha spiegato lo storico ascolano – parlo del teatro di legno, parlo del teatro presente nell’attuale Sala della Vittoria in Pinacoteca. È certo che si chiamasse Ventidio Basso perché c’è una bolla di consegna di materiale del 1803 in cui si dice ‘consegna al Teatro Ventidio Basso’. Inoltre, i nobili chiedono di poter usare il teatro anche di notte, per un veglione che si faceva quindi anche nel ‘700».

 

 

Il carnevale ad Ascoli è presente anche nel ‘600? «Certamente. Padre Tassoni, un gesuita, scrive nel 1679 “La vita della venerabile serva di Dio, Gerolama Veramonti” e dice che pochi anni prima, nel 1611, dopo che Gerolama si sposò, fu l’ultimo di carnevale e si fece in Ascoli una giostra, ordinario e gradito intrattenimento di quella nobiltà più che altro guerriera. Questa informazione ci dice che il carnevale esiste nel 1611 e che si faceva una giostra che non ha nulla a che vedere con la Quintana che già non esisteva da più di un secolo, ma uno scontro tra cavalieri, probabilmente con armi cortesi» ha spiegato Agostini.

 

Lo storico ascolano Augusto Agostini

 

Il Comune invece pensa al concreto. «Compra la carne indebitandosi; fa un’asta a cui chiunque può partecipare e la può vendere con prezzi rigidamente controllati. “Stante il bisogno grande che abbiamo delle carni per tutto il carnevale, abbiano gli deputati alle carni di pigliare in prestito, in nome pubblico scudi 50 da chi sia e quelli restituire la prima settimana di Quaresima”. Quindi il Comune pensa al sostentamento concreto della popolazione, non deve mancare il cibo».

 

Il ‘500 è un periodo, come dicono i testi, di gravi dissezioni cittadine. Ci sono lotte feroci fra le fazioni guelfe e ghibelline. «Nel 1520 il consiglio comunale decide che non ci si possa mascherare, perché mascherandosi è più facile commettere malefici, cioè reati senza essere visti – ha raccontato il dottor Agostini -. Sant’Angelo Magno è una miniera di informazioni nel registro delle entrate e delle uscite. Il frate addetto ai conti scrive il 28 settembre 1551: “abbiamo dato due bolognini (che era la moneta più comune ndr) allo zoppo, che era una delle tante persone che giravano intorno al monastero e lo servivano per tutte le necessità, per una girella di ottone per fare i ravioli”. Invece in un inventario del monastero, nel 1580 trovo che c’è nella cucina una padella per i ravioli. Naturalmente anche qui le preoccupazioni sono per il cibo e il monastero fa le spese per carnevale».

 

 

Anche tragici fatti in quegli anni. «La notte di Natale del 1535 monsignor Quieti decide di dare fuoco al nostro palazzo comunale per stanare i seguaci ghibellini di Astolfo Guiderocchi. In questo tragico evento – ha aggiunto Agostini – va a fuoco la storia dei primi anni del Comune. Per fortuna una parte documentale abbastanza consistente era conservata nella sacrestia di San Francesco e questo ‘corpus documentale’ prende il nome di ‘archivio segreto anzianale».

 

Agostini ha mostrato una lettera scritta da un Alvitreti ad Astolfo Guiderocchi in cui gli dice che dopo aver fatto cose ad Ascoli, “tornerò a Macerata, finito carnevale” «certificando, di fatto, che il carnevale non è un neologismo, non è una neofesta, non è un qualcosa nato di lì a poco. E’ qualcosa consolidata».

Il convegno al teatro Filarmonici

 

Esiste il carnevale ad Ascoli nel ‘300? «Certamente. E la fonte è la massima che possiamo leggere e cioè gli statuti del Comune di Ascoli. Nell’elenco di 80 feste, la maggior parte religiose, troviamo il carnevale accanto alla Pasqua, accanto al Natale con queste parole: “non si può lavorare, lo martedì de Carnevale”. Non solo, ma nel libro terzo che sarebbe il diritto penale si dice che chi lavora due giorni prima di carnevale o lo stesso giorno di carnevale avrà la pena raddoppiata».

 

Arrivato al 1300, il dottor Agostini ha continuato a scavare nella storia del Carnevale di Ascoli. «Ho trovato allora una pergamena dell’Archivio di Sant’Angelo Magno, grazie al lavoro del dottor Emanuele Tedeschi. Era in un libricino tascabile di 600 pagine; è stata scritta nel momento in cui quello di Sant’Angelo Magno è il monastero femminile più potente, più ricco, più influente, con possedimenti che arrivavano fino a Fermo. Che cosa ci dice questa pergamena? E’ riportata la vendita di un orto e che l’acquirente deve pagare 50 soldi entro il carnevale prossimo. Questa pergamena è stata vergata il 18 gennaio 1229, 796 anni orsono. Ora, se in un monastero di questa grandezza si parla del carnevale come una cosa che tutti conoscono, evidentemente esisteva da tempo».

 

Il rilievo in corso Mazzini 237 ad Ascoli

 

In che cosa consistesse il carnevale nel 1229 non è semplice dirlo. «I testi dicono che prima del ‘500 le maschere non si utilizzavano più. Noi abbiamo visto che nel ‘600 nel carnevale si facevano i tornei cavallereschi. E allora questa cosa mi ha fatto venire in mente un rilievo presente ad Ascoli che si trova al numero 237 di Corso Mazzini in cui ci sono due cavalieri che si affrontano. E perché l’ho messo qui e non l’ho messo nel Seicento? Perché questo rilievo, come ha dimostrato scientificamente Bernardo Carfagna, avvalendosi della consulenza di esperti che sono in grado di datare guardando le armi, le gualdrappe, gli speroni, l’elmo, insomma tutto, hanno datato con certezza questo rilievo alla fine del 1100. Quindi questo rilievo sta lì dalla fine del 1100, praticamente quasi come la pergamena che ho mostrato. Però – ha concluso Augusto Agostiniquesta è una suggestione. La certezza è, documenti alla mano, che il Carnevale di Ascoli esiste dal 1229».


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