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I figli di 4 prigionieri internati dai nazisti:
«Mio padre tornò che era uno scheletro»
«Il mio arrestato perché carabiniere» (Foto )

DALLE MARCHE – Nel Giorno della memoria il prefetto Isabella Fusiello ha consegnato le medaglie d’onore nel corso di una cerimonia in Provincia. «Siamo in un periodo delicato, la pace è in bilico e tutta la comunità democratica deve combattere affinchè sia sempre presente nelle nostre società». Il sindaco Sandro Parcaroli: «Sono stato educato al rispetto per ogni essere umano. Ho avuto la testimonianza di quel periodo da mio padre, prigioniero di guerra a Norimberga»
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Le onorificenze consegnate oggi

di Mauro Giustozzi

 

(Foto di Fabio Falcioni)

 

La memoria come ricordo per affrontare il presente ed il futuro affinchè le tragedie del secolo scorso non si ripetano. Stamattina alla sala del Consiglio provinciale il prefetto Isabella Fusiello ha consegnato le Medaglie d’Onore, concesse con decreto del Presidente della Repubblica, ai cittadini italiani, militari e civili, deportati o internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra ed ai familiari dei deceduti.

Le onorificenze sono state concesse a Giuseppe Ciccola di Montecosaro, Giuseppe Pesaresi di Morrovalle, Arturo Pierdominici di Camerino e Tomassino Teodori di Appignano.

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Il prefetto Isabella Fusiello e il presidente della Provincia Sandro Parcaroli

«Ricordare è fondamentale –ha detto il prefetto Fusiello – soprattutto per le nuove generazioni che sono un po’ distaccate da certe realtà. E’ giusto che le istituzioni e le varie associazioni vadano nelle scuole a ricordare quello che è accaduto nello scorso secolo e che soprattutto costituisca un monito affinchè non avvenga mai più. Siamo in un periodo delicato e critico, dove la pace è in bilico e quindi tutta la comunità democratica deve combattere affinchè la pace sia sempre presente nelle nostre società. Bisogna essere tolleranti in una società come quella in cui viviamo».

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L’assegnazione delle Medaglie d’onore

Presenti le massime autorità provinciali delle forze dell’ordine, l’onorevole Irene Manzi, la consigliera regionale Anna Menghi, l’assessore comunale Katiuscia Cassetta.

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«E’ importante sensibilizzare le giovani generazioni e la comunità tutta per prevenire ogni forma di discriminazione in un periodo in cui il contesto globale è drammatico e preoccupante – ha affermato il presidente della Provincia, Sandro Parcaroli -. Le istituzioni debbono essere attente e percepire ogni rischio per la democrazia e, ognuno cittadino, ha il dovere morale di trasmettere ai propri figli e nipoti lo sdegno più profondo per quanto accaduto, educando al rispetto per ogni essere umano. Con questi principi sono stato cresciuto ed educato, ho avuto la testimonianza di quel periodo da mio padre, prigioniero di guerra a Norimberga, quindi mi sento il dovere di educare i miei nipoti verso questi principi di amore e rispetto verso le persone che ci sono vicine e lontane».

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L’obiettivo di questa giornata è di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

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Il rettore John McCourt

«Ricordo e consapevolezza di quanto accaduto ci unisce in questa giornata – ha ribadito il rettore di Unimc, John McCourt -. La fine della seconda guerra mondiale ha segnato la fine degli orrori del nazifascismo, un sistema che non solo ha seminato distruzione, ha perseguitato e sterminato il popolo ebraico. Ha tentato di cancellare non solo vite ma intere civiltà, una cultura, una storia. Abbiamo una responsabilità collettiva, ricordare non deve essere solo retorica o un atto simbolico ma un impegno concreto. La memoria deve essere un filo che lega le generazioni, un ponte attraverso il tempo che rafforzi la coscienza collettiva. Dobbiamo insegnare ai giovani a combattere l’indifferenza e sviluppare un forte senso critico, a ripudiare ogni forma di odio, integralismo e violenza. Oggi attorno a noi abbiamo segnali preoccupanti di estremismi, muri di intolleranza, violenza, anche in paesi che furono storicamente culle di diversità, apertura e ospitalità. I totalitarismi non nascono con grandi eventi ma con piccoli passi, il silenzio di chi vede e non interviene. Questa giornata è un appello a ciascuno di noi: ricordare è una scelta di responsabilità».

La cerimonia è continuata con l’assegnazione delle Medaglie d’Onore ai familiari dei deportati o internati maceratesi in Germania.

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«E’ un ricordo di mio padre morto a 74 anni, che rivive qui –ha detto Ernestina Pesaresi -. Lui è stato sempre un lavoratore, la sua prigionia è stata una sofferenza perché quando è tornato a casa pesava 44 chili (era alto 175 centimetri), quasi uno scheletro. In Germania venne torturato, lavorò nelle miniere: era militare fu catturato in Italia e deportato per 4 anni in Germania».

Nerio Ciccola ha ricordato «mio padre l’ho perso che avevo appena 6 anni ed oggi è un momento significativo. Lui fu fatto prigioniero in Grecia e poi deportato in un campo di lavoro dove faceva il falegname e durante la prigionia in Germania si ammalò di nefrite che lo accompagnò al suo rientro in Italia, una malattia che all’epoca non si curava e che lo portò alla morte. E’ un riconoscimento che viene dato alla sua memoria».

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Gianni Teodori ha raccontato che «Di mio padre sapevo solo che era stato fatto prigioniero dai nazisti lui ne parlava pochissimo di questa esperienza, ripeteva sette parole in tedesco ma non ha mai voluto dire che cosa aveva subito durante la sua prigionia in Germania. Successivamente ho fatto delle ricerche storiche scoprendo che fu arrestato perché a 19 anni era un carabiniere, deportato nel 1943 direttamente perché si rifiutò di aderire al nazifascismo».

Infine Cesare Pierdominici ha detto che «mio padre in gioventù era stato inevitabilmente fascista. Dopo l’8 settembre del 1943 fu uno degli internati italiani in Germania dopo essere stato catturato a Padova. Rientrò in Italia nel 1945. Mio padre subì sofferenze, patimenti e umiliazioni. Lui parlava poco e mal volentieri di quel periodo. Tuttavia non l’ho mai sentito maledire quel passato tragico. Come figlio apprezzo questo riconoscimento che oggi viene dato alla sua memoria, come tanti altri italiani ha vissuto da giovane ventenne momenti tragici e durissimi».

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